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Celiaci, Ovvero .. Geneticamente Mortificati
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Celiaci, ovvero .. geneticamente mortificati

Recentemente, dai risultati emersi in alcuni studi, sembrerebbe che l’allergia al grano non dipenda dal grano stesso ma dal modo in cui esso viene coltivato. Non sembra una coincidenza, infatti, che uno dei maggiori pesticidi utilizzati nelle coltivazioni di questo importante cereale sia proprio il Roundup, erbicida prodotto dal colosso Monsanto, un prodotto da anni sotto accusa in quanto ricco di glifosato.Il Roundup non solo uccide tutte le “erbacce”, ma si fissa sul terreno in cui viene utilizzato rendendolo sterile. Intanto i livelli di contaminazione di glifosato sono in continuo aumento. Le erbe infestanti sono diventate più resistenti agli erbicidi, rendendo necessario un loro utilizzo più massiccio, con conseguente accumulo di sostanze tossiche nelle piante; inoltre gli agricoltori si sono resi conto che spruzzando Roundup sulle coltivazioni di grano aumenta la produzione. Il risultato è che questo erbicida viene utilizzato molto più frequentemente e liberamente e gli Americani consumano tracce della sostanza chimica ogni volta che mangiano prodotti a base di grano.Nel 2013, uno studio pubblicato su Interdisciplinary Toxicology ha evidenziato una relazione diretta tra l’aumento della presenza di glifosato nel grano e l’aumento della celiachia, con un andamento quasi identico. In Italia un pacco di pasta su tre è prodotto con grano straniero E’ prodotto con grano straniero un pacco di pasta su tre, così come il 50 per cento del pane in vendita in Italia, ma i consumatori non lo possono sapere perché non è obbligatorio indicare la provenienza in etichetta

 

Negli anni ’70 il grano “Cappelli” venne irradiato in laboratorio con i raggi gamma per renderlo più produttivo e precoce. Ma a quale prezzo? Da allora i casi di intolleranza al glutine (contenuto nel frumento e in altri cereali) sono cresciuti in maniera esponenziale, arrivando all’incidenza di una persona malata ogni 100/150 (negli anni ’60 il rapporto era di uno ogni 1000/2000).

C’era una volta, in Puglia, un grano duro di nome “Cappelli”. Fino agli anni ’60 questo alimento era alla base della dieta della popolazione pugliese, ma questo povero grano, unica varietà coltivata nel Mezzogiorno d’Italia, apprezzato per la qualità, era, purtroppo per lui e per noi, poco produttivo. Così, un bel giorno del 1974, il Professore Gian Tommaso Scarascia Mugnozza, (attuale presidente dell’Accademia delle Scienze) con un gruppo di ricercatori del CNEN (Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare) indusse una mutazione genetica nel grano duro denominato “Cappelli”, esponendolo ai raggi gamma di un reattore nucleare per ottenere una mutazione genetica e, in seguito, incrociandolo con una varietà americana. Dopo la mutazione, il povero grano era diventato “nano”, mostrando differenze, in positivo, in caratteri come la produttività e la precocità nella crescita.

Questo nuovo tipo di grano mutato geneticamente, non OGM, ma irradiato, fu battezzato “Creso” e, con esso oggi si prepara ogni tipo di pane, pasta, dolci, pizze, alcuni salumi, capsule per farmaci, ecc. (con questa farina si prepara circa il 90% della pasta venduta in Italia). Quello che pochi sanno è che, il grano Creso, è responsabile dell’enorme aumento della celiachia, per l’alterazione del pH digestivo e la perdita di flora batterica autoctona, che determinano anomale reazioni anche per l’aumento di glutine che quel tipo di grano mutato geneticamente ha apportato all’alimentazione umana.
(Fonte: www.laleva.org/it)

 

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Recentemente, dai risultati emersi in alcuni studi, sembrerebbe che l’allergia al grano non dipenda dal grano stesso ma dal modo in cui esso viene coltivato. Non sembra una coincidenza, infatti, che uno dei maggiori pesticidi utilizzati nelle coltivazioni di questo importante cereale sia proprio il Roundup, erbicida prodotto dal colosso Monsanto, un prodotto da anni sotto accusa in quanto ricco di glifosato.

Il Roundup non solo uccide tutte le “erbacce”, ma si fissa sul terreno in cui viene utilizzato rendendolo sterile. Intanto i livelli di contaminazione di glifosato sono in continuo aumento. Le erbe
infestanti sono diventate più resistenti agli erbicidi, rendendo necessario un loro utilizzo più massiccio, con conseguente accumulo di sostanze tossiche nelle piante; inoltre gli agricoltori si sono resi conto che spruzzando Roundup sulle coltivazioni di grano aumenta la
produzione. Il risultato è che questo erbicida viene utilizzato molto più frequentemente e liberamente e gli Americani consumano tracce della sostanza chimica ogni volta che mangiano prodotti a base di grano.

Nel 2013, uno studio pubblicato su Interdisciplinary Toxicology ha evidenziato una relazione diretta tra l’aumento della presenza di glifosato nel grano e l’aumento della celiachia, con un andamento quasi identico.

 

Sempre attraverso tale studio si è evidenziato come l’effetto più dannoso sia proprio a carico dell’apparato digerente: il glifosato va a colpire i batteri “buoni” del nostro organismo, ovvero
quelli utili per la produzione di amminoacidi essenziali per la digestione.

Il glifosato, insomma, è molto più tossico di quanto si pensasse originariamente e se, da una parte, le sperimentazioni del colosso biotech continuano indisturbate (per esempio a Molokai sta
sperimentando nuove qualità di grano in grado di resistere maggiormente ai pesticidi), dall’altra fortunatamente, alcuni Paesi stanno intervenendo per porre freno alla potente multinazionale:
l’Olanda ha detto ’No alla Monsanto’. Il parlamento olandese, infatti, ha recentemente deciso di vietare la vendita di erbicidi a base di glifosato ai privati, a partire dal 2015.
(Fonte: paolodarpini.blogspot.it)

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Febbraio 2016: Quattro navi cariche di grano sono arrivate nel porto di Bari nel giro di 7 giorni. Troppe per Coldiretti Puglia che lancia l’allarme:

“Dipendenti dall’estero. Manca la tracciabilità”.

 

In Italia un pacco di pasta su tre è prodotto con grano straniero

E’ prodotto con grano straniero un pacco di pasta su tre, così come il 50 per cento del pane in vendita in Italia, ma i consumatori non lo possono sapere perché non è obbligatorio indicare la provenienza in etichetta. E’ quanto emerge da un’analisi della Coldiretti presentata in occasione della mobilitazione al porto di Bari con gli agricoltori all’arrembaggio delle navi che scaricano mais, soia e grano provenienti dall’estero per difendere il made in Italy alimentare.

I prezzi del grano duro in Italia nel 2016, rimarca la Coldiretti, sono crollati in un anno del 31 per cento, con valori al di sotto dei costi di produzione che mettono a rischio il futuro del granaio Italia, prodotto da 300 mila aziende agricole e un territorio di 2 milioni di ettari. L’Italia nel 2015, stima la Coldiretti, ha importato 4,8 milioni di tonnellate di frumento tenero, che coprono circa la metà del fabbisogno per la produzione di pane e biscotti, mentre sono 2,3 milioni le tonnellate di grano duro che arrivano dall’estero e che rappresentano il 40 per cento del fabbisogno per la pasta. Secondo la Coldiretti è il risultato di scelte poco lungimiranti fatte nel tempo da chi ha preferito fare acquisti speculativi sui mercati esteri di grano da ‘spacciare’ come pasta o pane made in Italy, per la mancanza dell’obbligo di indicare in etichetta la vera origine del grano impiegato.

(Fonte: bari.repubblica.it)

 


Il trasporto di materie prime alimentari, quali il grano, ammassato nelle stive delle navi per intere settimane, può causare contaminazione da micotossine che non solo deteriorano i cereali, ma possono risultare estremamente nocive per l’organismo;
La pratica di importazione di questo cereale risulta comune anche a quasi tutte le aziende che producono pasta di semola di grano duro in Italia e che si riforniscono dal mercato estero per acquistare il grano, al solo fine di abbattere i costi;

Un’inchiesta giornalistica, pubblicata in prima pagina sul quotidiano La Repubblica del 1o novembre 2011, rileva come un quarto del pane venduto nei supermercati proviene dalla Romania e nell’articolo si lascia intendere, tra l’altro, che lo sfilatino rumeno « precotto, surgelato, riscaldato e mangiato » risulta di scarsa qualità;
teoricamente tutti gli alimenti prodotti e/o importati e/o commercializzati in Europa (compreso il pane rumeno) dovrebbero sottostare ai medesimi requisiti di sicurezza stabiliti nel regolamento (CE) n. 178/02, « general food law ».

Secondo il regolamento tutte le imprese della filiera devono avere i registri relativi alla rintracciabilità dei prodotti alimentari. Nell’articolo però si avanzano anche sospetti sulla bontà della materia prima e riferendosi al pane rumeno, venduto nei supermercati, si denunciano i pericoli derivanti dall’assenza di tracciabilità del cereale utilizzato, in quanto il pane confezionato che viene dall’estero non è soggetto all’obbligo di riportare sull’etichetta la reale provenienza del prodotto; appare chiaro che questo iter porta alla vendita di un pane che costa la metà di quello italiano in quanto una filiera estera, nello specifico, la filiera rumena si basa su un abbattimento dei costi di produzione e manodopera che l’Italia non può e non potrà permettersi;

 

Ne consegue che due prodotti simbolo del made in Italy, come il pane e la pasta, in realtà di italiano hanno poco o niente, tutto a causa della speculazione economica e della massimizzazione dei profitti a danno della salute; la stessa Coldiretti in un comunicato del mese di ottobre 2011 denunciava le distorsioni del mercato e della filiera del pane, ma anche della pasta e di molti altri prodotti, indicando che quasi la metà del grano impegnato per produrre la farina proviene dall’Est Europa ma anche dall’Asia, e proponeva, come alternativa, di promuovere la filiera corta e il grano di qualità che ha come obiettivo quello di sviluppare il grano tenero e ridurre gli sprechi e i rincari legati ai numerosi passaggi nel processo di trasformazione, potenziando così la sostenibilità produttiva

 

 

(fonte: www.ansa.it)

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