Le erbe selvatiche, che oggi consideriamo infestanti perché spuntano non richieste nel nostro prato, un tempo aiutavano a sbarcare il lunario. Nei periodi di carestia o di guerra, insaporivano pietanze o costituivano il pasto principale.
Le erbe selvatiche possiedono infatti profumi e sapori che non troviamo nelle verdure comunemente in commercio.
Se decidiamo di raccogliere erbe selvatiche dobbiamo seguire alcuni semplici accorgimenti: non raccogliere piante vicino alle strade, ai campi trattati con concimi chimici o che non conosciamo. In questo periodo dell’anno sono davvero molte le erbe belle e selvatiche che, durante una salubre passeggiata in mezzo al verde, possiamo trovare e utilizzare per insaporire le nostre pietanze o per depurare il nostro organismo.
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Alcune di queste sono molto comuni, altre poco conosciute, ma non per questo meno preziose.
Buone da mangiare
Cardo Mariano (Sylibun Marianum): è una pianta non molto amata, soprattutto dai contadini, a causa dei suoi spini robusti che procurano graffi. È un carciofo selvatico, ha foglie larghe e lucenti e fiori violetti.
Sono molte le leggende nate attorno a questa pianta. La più popolare è quella che fa derivare il nome “mariano” dal latte che la Madonna fece cadere sulle sue foglie, mentre allattava Gesù, durante la fuga da Betlemme; in epoca più recente era il simbolo della casa reale degli Stuart d’Inghilterra.
Con le radici si può preparare una confettura da spalmare sui crostini o buona per accompagnare il lesso.
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Vitalba (Clematis Vitalba): questa pianta rampicante infestante è facile da incontrare durante le passeggiate lungo i sentieri, avviluppata ai tronchi degli alberi. Come tutte le ranuncolacee da adulta è tossica, ma se si raccolgono i germogli, freschi e giovani in primavera, è possibile preparare una buonissima frittata.
Nel passato era conosciuta come “erba dei cenciosi”, perché veniva usata dai mendicanti per procurarsi ulcerazioni e impietosire le persone. Provoca infatti ulcerazioni se sfregata sul corpo.
Ortica (Urtica Urens e Urtica Diona): è una delle erbe selvatiche più conosciute e viene utilizzata per le sue qualità officinali e tessili, oltre ad essere un ottimo alimento per preparare gustosi piatti.
Il suo nome deriva dal latino “urere” (bruciare). La “puntura” dell’ortica, che provoca un fastidioso prurito, è un meccanismo di difesa della pianta dagli animali in cerca di cibo e dall’uomo stesso.
La primavera è il periodo migliore per raccogliere l’ortica perché i suoi getti sono teneri. Munitevi di guanti per evitare il fastidioso inconveniente di grattarvi e riempirvi di bolle.
Valerianella (Valerianella Olitoria): questa erba selvatica si può raccogliere nei campi, soprattutto vicino ai vigneti. Predilige le zone assolate e ha foglie spatolate, tenere e grassette. Fiorisce in primavera inoltrata e i suoi fiori sono piccoli e azzurrognoli.
È ottima da gustare in insalata accompagnata da pancetta a cubetti abbrustolita.
Barba di becco (Tragopogon pratensis): questa pianta ha foglie lanceolate. Il suo fusto può raggiungere il metro di altezza e il suo fiore è una larga margherita gialla che dà origine a un soffione più grande di quello del tarassaco. Si trova nei luoghi erbosi e umidi.
In cucina si usa tutta la pianta, compresa la radice. I germogli giovani assomigliano come sapore agli asparagi.
Il nome “volgare” barba di becco pare derivi dal longobardo “bikk” che significa “becco del caprone”.
Erba cipollina (Allium Schoenoprasum): si può trovare anche “selvatica” nei campi, lungo i fossi e nei luoghi incolti di montagna. Ha steli fini e cilindrici molto simili alla cipolla, il bulbo è biancastro e i fiori sono sferici e color malva.
Si può utilizzare triturata finissima per aromatizzare formaggi freschi, le salse per i crostini, le patate lessate e le uova sode. Oppure si può aggiungere nelle insalate. È una pianta preziosa per chi ama il sapore della cipolla, ma non riesce a digerirla.
Se desideriamo avere a disposizione l’erba cipollina tutto l’anno la possiamo essiccare o congelare. Se la essicchiamo, quando la utilizziamo ricordiamoci di irrorarla con succo di limone.
Confettura di cardo mariano
Ingredienti:
1 kg di radici di cardo mariano – 2 spicchi di aglio – 1 limone – aceto di mele q.b. – olio extravergine di oliva q.b. – sale – pepe.
Procedimento:
Pulite il cardo mariano e conservare solo le radici (le foglie si possono cucinare al forno o utilizzare per preparare una frittata). Lavate le radici in acqua resa acidula dal limone e tagliarle a pezzi regolari, lunghi circa 4 cm.Fate bollire le radici in acqua salata, a cui va aggiunto un bicchiere di aceto di mele per 20 minuti. Una volta cotti, si scolano e si lasciano raffreddare su un canovaccio.
Frullate le radici con l’aglio, un pizzico di sale e pepe, aggiungendo l’olio extravergine di oliva a filo, fino a quando non risulta un composto cremoso. Mettete la confettura in vasi sterilizzati.
Per una buona sterilizzazione i vasi ben chiusi vanno posti in una pentola alta e capiente, con l’acqua che deve superare di almeno 3 cm la capsula di chiusura dei barattoli. Quando l’acqua bolle abbassate la fiamma e fate sobbollire per 30 minuti. Lasciate intiepidire i vasi prima di toglierli dalla pentola e asciugarli.
Appena freddi metteteli in un luogo fresco e possibilmente al buio.
Torta salata con ortiche e ricotta
Ingredienti:
500 gr di pasta brisée – per il ripieno: 500 gr di foglie di ortica – 1 cipolla – 200 gr di ricotta – 2 uova – latte q.b. – sale – pepe.
Procedimento:
Pulite le ortiche, conservando solo le cime tenere. Lavatele e fatele cuocere a vapore per 5 minuti. Tritate le foglie finemente, unite la ricotta, un tuorlo e gli albumi montati a neve. Salate, pepate e amalgamate bene gli ingredienti.
Tenete da parte un po’ di pasta brisée per fare le strisce sulla torta e tirate una sfoglia con cui foderare uno stampo imburrato del diametro di 25 cm. Versate il composto di ortiche e ricotta e ricoprite con strisce ricavate dalla pasta tenuta da parte. Pennellate le strisce di pasta con il tuorlo d’uovo a cui va amalgamato un po’ di latte.
Cuocete in forno preriscaldato a 170° per 30 minuti. Si può gustare sia calda che fredda.
Risotto alla barba di becco
Ingredienti:
250 gr di riso arborio – 1 mazzetto di germogli di barba di becco – 1 l di brodo – 1 cipolla – olio d’oliva – 40 gr di parmigiano reggiano – sale.
Procedimento:
Lessate i germogli di barba di becco in acqua salata per 5 minuti, scolateli e teneteli da parte.
In un tegame soffriggete la cipolla nell’olio d’oliva, unite i germogli di barba di becco, il riso e il brodo, ogni volta che sarà necessario, fino a quando il riso non arriva a cottura.
Togliete dal fuoco, salate e amalgamate con il parmigiano reggiano grattugiato.
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