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Grandi Maestri : Shirdi, Gesu, Krisnamurti Swami Satyananda Mikao Usui Mere Aurobindo Osho..
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GRANDI MAESTRI : SHIRDI, GESU, KRISNAMURTI – SWAMI SATYANANDA – MIKAO USUI – MERE AUROBINDO – OSHO..

shirdi

 

Un giorno del 1850 arrivò a Shirdi, una piccola località piena di alberi e di giardini fioriti dello Stato di Maharashtra, India, a 100 miglia a nord-ovest di Bombay, un ragazzo di circa sedici anni, dai grandi occhi luminosi sbarrati sul mondo. Fu subito considerato un giovane fachiro, un “pazzo dì Dio”, di cui la comunità di Shirdi doveva prendersi cura.

Veniva da nessuna parte. Non aveva genitori, non conosceva il luogo dove era nato, non aveva un nome. Gli abitanti di Shirdi lo chiamarono Sai e presto tutti si innamorarono di questo giovane saggio che faceva miracoli e a cui obbedivano le forze della natura. Faceva cessare all’istante i nubifragi, spegneva il fuoco a distanza, faceva fiorire gli alberi solo guardandoli.

Viveva nudo sotto un albero neem e spesso era come un bambino che avesse bisogno di tutto e di cui la gente, con le lacrime agli occhi, aveva cura, fino a lavarlo e nutrirlo.

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Ma presto, durante le ore del mattino, cominciò a ritirarsi in un giardino. E qui si trasformava, diventava come un essere invasato. Fiamme s’accendevano attorno a lui e improvvisi forti colpi di vento lo gettavano a terra. Urlava parole di cui nessuno conosceva il significato. Poi usciva dal giardino, calmo e sorridente, si sedeva sotto il suo albero e con aria pensosa cominciava a parlare. Anche gli animali si fermavano ad ascoltarlo. Le sue parole erano un balsamo per l’anima di tutti, perché sembravano parole pronunciate per portare un messaggio individuale a ciascuno. Fu così che la gente cominciò a chiamarlo il “Santo di Shirdi“ e a venire a lui da lontano per chiedere silenziosamente il suo aiuto.

Gli indù lo credettero un avatara di qualche loro divinità, i Musulmani lo credettero un pir inviato da Allah per liberare l’umanità dalle ansie e dall’ignoranza. Per alcuni era l’avatara di Dattatreya, l’avatara di Visnù.

Il saggio del periodo post-vedico, e per altri la reincarnazione di Akalkole Maharaj. Molti gli chiedevano di che religione egli fosse, ma Sai non rispondeva. Li guardava stupito con i suoi grandi occhi, come se non capisse la domanda.

Così fra i suoi fedeli cominciò la battaglia. Gli Indù dicevano che era Indù, i Musulmani che era Musulmano. Nei suoi discorsi citava pagine dei libri sacri degli Indù, dei Musulmani, dei Giainiti e anche dei Cristiani. Sai parlava di Dio, padre di tutti gli uomini e creatore di tutte le cose. Inoltre egli partecipava, con gioia infantile, alle cerimonie e alle feste di tutte le religioni. Cantava con gli uccelli, giocava con i bambini e gli animali.

I primi anni passarono veloci nell’oasi verde di Shirdi e quasi nessuno si accorgeva che Sai stava diventando adulto. Il continuo flusso di gente stava trasformando Shirdi in un luogo santo. La folla attorno a lui cresceva e attorno all’albero neem si dovettero abbattere delle case per allargare la piazza che ospitava i fedeli del Santo di Shirdi.

Un giorno, davanti ad una folla imponente, finalmente parlò di se stesso: “Io non ho una residenza. Sono assolutamente senza attributi. Per azione del Karma ho avuto questo corpo. Il mio nome è un dehi che ha preso corpo. Il mondo è la mia patria. Brahaman è mio padre e maya, l’illusione è mia madre. Dal loro incontro io sono nato. Coloro che credono che io vivo a Shirdi non conoscono il vero Sai, poiché io non ho forma e sono ovunque”.

Dopo questo discorso sparì con grande sgomento della gente di Shirdi e dei suoi fedeli. Dopo quattro anni apparve nello Stato di Nizana, vicino ad Aurangabad, da dove ritornò, verso il 1858, a Shirdi e da qui più non si mosse.

Da quel giorno fu chiamato il Padre Sai. Sotto l’albero neem riprese a parlare: “Ho il compito di riportare un numero sempre più grande di gente sul subhra marga, sul sentiero sacro che porta l’individuo a scoprire la Realtà Spirituale, la vera realtà”.

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SHIRDI entrava in dyanastha, una trance d’amore con Dio, e la gente attorno era presa da una tale commozione che da quel momento non era più la stessa.

Diceva che ogni individuo aveva sette sosia sulla Terra. Un Indù o un Musulmano dell’India, se sviluppavano la loro anima, influivano sui loro sette sosia che venivano così inconsciamente attratti dallo Spirito, dall‘amore divino. Chi migliora se stesso, migliora altri sette individui, che diventano centri di buona volontà e di spiritualità.

Certi giorni portava i suoi seguaci sulle rive del vicino fiume Godavari, e l’acqua del fiume usciva dall’argine e veniva a bagnare i suoi piedi. Egli guardava allora la gente attorno a lui e, senza parole, faceva captare loro l’enorme bontà della Natura-Madre. Con i suoi frequenti lila, i giochi con cui usava le forze e le energie in perpetuo movimento per creare l’illusione terrena, egli faceva intuire ai suoi seguaci la potenza di tutto ciò che è eterno, cioè che emana da Brahman, il Tutto, l’Assoluto (l’antimateria da cui deriva la nostra illusoria materia).

A SHIRDI ogni miracolo era possibile, perché viveva nella Realta dell’Essere Supremo. Sai aveva l’abitudine di andare a farsi riempire di olio una lampada che teneva sempre accesa vicio a sé.

Un giorno il bottegaio non gli volle regalare l’olio. Allora Sai riempì la lampada d‘acqua, l’accese e una fiamma più brillante scaturì da quell’acqua e restò accesa tutto il giorno e tutta la notte. Per i suoi seguaci era un miracolo. Ma Sai disse che era soltanto un altro aspetto dell’illusione, un atto d’amore verso il bottegaio.

Questi non gli aveva dato l’olio perché era irato contro se stesso e con il mondo. Con questo lila Sai tanto stupì il bottegaio che dimenticò le sue negatività e fu toccato dall’amore del santo.

Shirdi possedeva l’anterjnana, l’onniscienza.

Sapeva tutto di tutto e spesso diceva: “In qualunque luogo siate, qualsiasi cosa facciate, ricordatevi che io so sempre ciò che voi fate o dite”.

Insegnava a vedere Dio in ogni cosa. Va. Diceva: “Non dimenticate mai che l’odio e il rancore sono illusioni negative, non dimenticate mai che io, voi e tutte le cose del mondo sono tutte parti di Dio”.

Senza aver frequentato una scuola, senza l’aiuto di un guru, Sai  conosceva tutto.

Era la “Conoscenza incarnata”, ma egli continuava a ripetere che non era venuto per insegnare ma per svegliare le anime alla Realtà Spirituale.

Diceva: “Sono un completo schiavo dei miei devoti. Amo la devozione. Colui che lascia il mondo per amarmi è il mio vero amante e si fonde in Me come un fiume nel mare.

lo non sono il corpo e i sensi. Sono l’eterna Sakshi, l’eterna testimonianza”.

Molta gente veniva a lui solo per i suoi miracoli, non per dividere i tesori del suo spirito.

Qualche volta, con un triste sorriso, diceva:

“Nessuno si cura di ascoltare le mie parole, di raccogliere la saggezza che io posso dare loro.

Dopo quindici giorni che avrò lasciato questo mondo, tanti mi avranno già dimenticato”.

Il 15 ottobre 1918 fu un triste giorno per gli abitanti di Shirdi.

Quel martedì, alle ore 14.30, Shirdi Sai Baba cessò di respirare ed entrò in maha samadhi in quello stato di grande concentrazione in Dio, che mantiene il corpo fisico in stato di perfetta conservazione.

Dopo 65 anni l’ashram di Shirdi è ancora meta di pellegrinaggi. Vicino alla sua tomba si prova ancora quel senso di beatitudine che per tanti anni ha attirato gente a Shirdi.

 

CONTINUIAMO A PARLARE DEL SANTO DI SHIRDI

La sua intera vita fu un continuo insegnamento.

 
Sebbene nel corso degli anni somme sempre più ingenti di denaro e offerte arrivassero alla sua residenza, egli visse sempre nella più assoluta povertà, andando ogni mattina personalmente a mendicare il cibo per la giornata.
Shirdi Non ebbe mai attaccamenti ai beni materiali come soldi o cibo o vestiti, come vestito usava sempre lo stesso straccio di cui egli stesso rammendava e rattoppava i buchi sin tanto che qualche discepolo lo obbligava a sostituirlo con uno nuovo. Tutto quello che arrivava, veniva immediatamente regalato a chi ne aveva bisogno. Non predicò mai la povertà ai sui discepoli e non chiese a nessuno di seguire il suo stile di vita.
Non pose nemmeno divieti sul cibo che ciascuno poteva mangiare, anzi, a volte sforzò qualche bigotto a mangiare ciò che la sua religione gli vietava. Era sempre raggiungibile da chiunque, 24 ore al giorno sempre pronto a rispondere a qualsiasi domanda. Era solito chiedere ogni giorno ai discepoli più ricchi dalle 4 alle 100 rupie (dakshina). Denaro che immediatamente ridistribuiva tra i discepoli più poveri. Richiesto sul perché lo facesse, rispose che chiedeva solo a coloro che gli venivano indicati dal Fakir (Dio), ma che in cambio del denaro ricevuto lui era obbligato a tornare qualcosa di valore dieci volte superiore.

Il suo insegnamento fu essenzialmente l’Amore e la Devozione (Bhakti).
Diceva che il giorno che il discepolo avesse realizzato cos’era veramente, avrebbe automaticamente ottenuto la Realizzazione.
Egli insisteva sempre sul fatto che se si riusciva a vedere Dio in tutto il creato e in ogni creatura, sarebbe risultato assurdo l’odio e le diatribe, divenendo di fatto impossibile provare risentimento verso qualcuno. La strada per raggiungere tutto ciò veniva da lui indicata come l’assoluto arrendersi a Dio.

Il suo insegnamento era perfettamente in linea con i grandi Santi indiani come Shri Adisankaracharya e l’intera tradizione dell’Advaita Vedanta. Con lui quindi ebbe grande impulso la via tradizionale indiana della Bhakti (la via della devozione e dell’amore).
Il fluire di Amore Divino di Shirdi  continuò per l’intero arco della sua esistenza.

La maggior parte dei devoti s’avvicinarono inizialmente a Shri Sai  attratti dai miracoli che comunemente compiva, con straordinaria facilità.
Lui li stupiva con questi ma l’unico obbiettivo era di portarli ad una vera evoluzione spirituale. Sebbene molti ricercassero in Lui solo lo strumento per soddisfare bisogni materiali o primari, come guarigioni, soldi, matrimoni, figli, ecc. generalmente Lui li accontentava dicendo:
«Io do ai miei devoti ciò che vogliono, affinché comincino a desiderare quello che io voglio dar loro veramente».

«La mia gente all’inizio viene da me per ottenere benefici temporali, ma quando questi vengono ottenuti cominciano a seguirmi»; eppure una volta ebbe a dire, indicando un albero di mango ed intendendo i suoi devoti: «Che splendido raccolto sarebbe se tutti i boccioli diventassero frutti, ma è così?  Pochi rimangono.»

Infine molti devoti ebbero effettivamente la realizzazione del Sé; molti di essi descrissero che Shirdi Sai Baba   (Sai è una parola persiana che significa “santo” e Baba è un termine hindi, usato con familiarità e rispetto, che significa “padre”)  poneva loro la mano sopra il capo, ed essi potevano fare esperienza di cambiamenti spirituali molto intensi godendo di momenti di estasi e profonda pace.
Morì improvvisamente il 15 ottobre del 1918 mentre era seduto assieme ai suoi devoti, in profondo Mahasamadhi. Semplicemente reclinò la testa sulla spalla del devoto che gli sedeva vicino e spirò.
Alcune frasi di Shirdi :

“Queste persone vogliono trovare Dio, Brahman, in questi libri. Non leggere libri ma tienimi nel tuo cuore; se tu unisci ed armonizzi la testa ed il cuore, ciò è sufficiente”.

“Per ottenere Dyana (meditazione) meditate su me, sia nella mia forma sia senza forma, il che vi darà ancor più gioia.”


“Demolite il muro di differenza che vi separa da me. Il senso di separazione, come io e tu, è la barriera che separa il discepolo dal maestro e fino a che questa non è distrutta non è possibile raggiungere lo stato di unione

TI TENGO NEL CUORE        

QUESTO E’ UN AVATAR CHE MI HA “RAPITO IL CUORE” ED IO LO AMO MOLTO

GRAZIE SHIRDI

carmen

 

 

 

 

 

 

Il MAESTRO GESU’ DI NAZARET 

.

IL MAESTRO CHE SENTO NEL CUORE

 

IL MAESTRO CHE MI GUIDA E MI TIENE FRA LE BRACCIA

 

IL MAESTRO CHE MI CONOSCE MI SOPPORTA E MI SUPPORTA

amandomi teneramente

.

quando Giovanni Battista aiutò Gesù a entrare in comunione con lo Spirito
Santo, il Cielo si aprì e lo Spirito Santo scese
come una colomba e penetrò nella persona di Gesù. Egli si recò nel deserto e
per quaranta giorni si esercitò a rafforzare
lo Spirito dentro di Sé. Quando in noi germoglia la consapevolezza, dobbiamo
continuare a praticarla se vogliamo
consolidarla.

Ascoltando veramente il canto di un uccello o osservando veramente un cielo
azzurro, tocchiamo il seme dello
Spirito Santo dentro di noi. Per i bambini non è molto difficile riconoscere
la presenza dello Spirito Santo. Gesù diceva
che per entrare nel regno di Dio dobbiamo farci fanciulli. Quando l’energia
dello Spinto Santo è in noi, siamo veramente
vivi, siamo capaci di comprendere l’altrui sofferenza e motivati dal
desiderio di contribuire a trasformare la situazione.
Quando l’energia dello Spirito Santo è presente, sono presenti il Padre e il
Figlio.

Discutere di Dio non è il migliore uso che possiamo fare della nostra
energia. Se entriamo in contatto con lo Spirito
Santo, ci accostiamo a Dio non quale concetto bensì quale realtà vivente.

.

.

Non vi sono immagini di Gesu’….posto queste perche’ mi piace vederlo come io l’ho veduto in un mio “viaggio particolare”

 

 

La religione me lo ha presentato in un modo, ma io lo voglio ascoltare col cuore

Per me sono piu’ importanti i suoi insegnamenti, il suo amore la sua totale disponobilita’

Non ci sono parole per rappresentarlo degnamente

 

Posto qui fatti della sua vita ma la sua parola e’ piena di vita e’ quella che conta perche’ la sua integrita’ era unica

Ai giorni dell’imperatore Cesare Augusto, una giovane vergine di Nazareth (una cittadina della Galilea) che era stata promessa sposa a Giuseppe, figlio di Giacobbe, che era della casa di Davide, ricevette la visita di un santo angelo di Dio il quale le preannunziò che ella avrebbe concepito e partorito un figlio che sarebbe stato grande e sarebbe stato chiamato Figlio dell’Altissimo; il suo nome sarebbe stato Gesù. A lui Dio avrebbe dato il regno di Davide suo padre ed Egli avrebbe dominato su Israele in eterno. Maria, questo il nome della giovane vergine, sentendo dirgli quelle parole chiese come sarebbe potuto avvenire tutto ciò dato che lei non conosceva uomo; e l’angelo le rispose che lo Spirito Santo sarebbe venuto sopra di lei, e la potenza di Dio l’avrebbe coperta della sua ombra, per cui il santo che sarebbe nato sarebbe stato chiamato Figliuolo di Dio. Al che Maria rispose all’angelo che le fosse fatto secondo la sua parola.
E così avvenne, Maria rimase incinta per virtù dello Spirito Santo, senza che Giuseppe l’avesse conosciuta. Ma quando Giuseppe, tempo dopo, si accorse che la sua promessa sposa era incinta si propose di lasciarla di nascosto; ma mentre aveva queste cose nell’animo un angelo di Dio gli apparve in sogno e gli disse di non preoccuparsi di prendere Maria in sposa perché quello che in lei era generato era dallo Spirito Santo; e che lui avrebbe dovuto mettere al figlio che doveva nascere il nome di Gesù che significa ‘YHWH salva‘ (YHWH è il nome ebraico di Dio che si pronuncia Yahweh). Tranquillizzato da quelle parole, Giuseppe appena si svegliò prese in sposa Maria, sapendo per certo che il messaggero di Dio che gli era apparso non gli aveva mentito.

Proprio in quei giorni avvenne che uscì da parte di Cesare Augusto un decreto che si facesse un censimento di tutto l’impero. Allora Giuseppe prese la sua sposa che era incinta e si recò a Betleem a farsi registrare perché, come abbiamo detto innanzi, egli era della casa di Davide. Ed avvenne che mentre si trovavano a Betleem di Giuda, Maria partorì il fanciullo a cui in capo a otto giorni, quando fu circonciso, fu posto il nome di Gesù.
Il giorno stesso in cui Gesù nacque, apparve a dei pastori della contrada di Betleem un angelo del Signore il quale gli annunziò la buona notizia che in quel giorno nella città di Davide era nato il Salvatore, che era Cristo (dal greco Christòs che significa ‘Unto’), il Signore. Essi dunque, udito ciò, si recarono a Betleem e vi trovarono il fanciullino e divulgarono quello che era loro stato detto di quel bambino. Al sentire quelle cose coloro che erano là presenti si meravigliarono.
Quando si compirono i giorni durante i quali – secondo la legge – la donna che aveva partorito un figlio maschio doveva rimanere a purificarsi del suo sangue, i suoi genitori lo portarono in Gerusalemme per presentarlo al Signore, ed anche per offrire l’olocausto e il sacrificio per il peccato che prescriveva la legge di Mosè.
In seguito, quando Gesù aveva ancora poche settimane giunsero a Betleem, presso la casa dove egli era tenuto, dei magi provenienti dall’Oriente i quali lo adorarono, e aperti i loro tesori gli offrirono dei doni: oro, incenso e mirra. Come avevano fatto quegli uomini a giungere a Betleem? In questa maniera: mentre erano in Oriente era apparsa loro la sua stella che li aveva condotti in Israele. Giunti a Gerusalemme avevano chiesto dove fosse il re dei Giudei che era nato perché essi erano venuti per adorarlo. Ed il re della Giudea, Erode, chiamati gli scribi e i capi sacerdoti, s’informò da loro dove il Cristo doveva nascere, ed essi gli dissero che il Cristo doveva nascere in Betleem di Giudea. Il re dunque aveva mandato i magi a Betleem (dopo essersi informato del tempo in cui la stella era apparsa loro), dicendogli di tornare poi da lui quando avrebbero trovato il fanciullino perché pure lui voleva andare ad adorarlo. Ma i magi dopo avere trovato il fanciullino Gesù, non tornarono da Erode perché furono divinamente avvertiti in sogno di non ripassare da Erode; quindi per altra via tornarono al loro paese.
Questo naturalmente fece infuriare Erode che si vide beffato dai magi; e allora egli mandò a sterminare tutti i maschi ch’erano in Betleem e in tutto il suo territorio dall’età di due anni in giù (secondo il tempo del quale egli s’era informato dai magi). Ma il fanciullino Gesù non fu messo a morte perché Dio mediante un angelo aveva avvertito per tempo Giuseppe dicendogli di prendere il fanciullino e sua madre e di andare in Egitto e rimanervi fino a nuovo ordine. Quando poi Erode fu morto, allora Dio, sempre mediante un suo angelo, avvertì Giuseppe e gli disse di tornare in Israele.
Giunto in Israele, Giuseppe si ritirò in Galilea e precisamente nella città di Nazareth. Qui in Nazareth Gesù fu allevato dai suoi genitori e cresceva in sapienza e in statura, si fortificava e la grazia di Dio era sopra lui.

Quando Gesù raggiunse i trenta anni circa lasciò la Galilea e si recò al fiume Giordano a farsi battezzare da Giovanni il Battista, che era apparso da qualche tempo nel deserto della Giudea predicando un battesimo di ravvedimento per la remissione dei peccati. Chi era costui? Egli non era né Elia, e neppure il Cristo, come lui stesso ebbe a rispondere a quei Farisei che lo avevano interrogato un giorno al di là del Giordano dove lui stava battezzando; ma egli era colui del quale aveva parlato Dio tramite il profeta Malachia quando disse: “Ecco, io vi mando il mio messaggero; egli preparerà la via davanti a me” (Mal. 3:1). Un uomo perciò che Dio aveva mandato innanzi al suo Unto per preparargli la via. Ma in che maniera il messaggero di Dio avrebbe preparato la strada davanti all’Unto di Dio? Testimoniando di lui affinché tutti credessero per mezzo di lui; e questo difatti è quello che fece Giovanni.
Quando in quel giorno il Battista lo battezzò e Gesù fu uscito dall’acqua avvenne che i cieli si apersero ed egli vide scendere su di lui lo Spirito Santo in forma corporea a guisa di colomba ed udì una voce che disse: “Questo è il mio diletto Figliuolo nel quale mi son compiaciuto” (Matt. 3:17). Da allora il Battista cominciò ad attestare alle turbe: “Ho veduto lo Spirito scendere dal cielo a guisa di colomba, e fermarsi su di lui. E io non lo conoscevo; ma Colui che mi ha mandato a battezzare con acqua, mi ha detto: Colui sul quale vedrai lo Spirito scendere e fermarsi, è quel che battezza con lo Spirito Santo. E io ho veduto e ho attestato che questi è il Figliuol di Dio” (Giov. 1:32-34). In occasione dunque del suo battesimo in acqua Gesù di Nazareth fu unto da Dio di Spirito Santo.
Dopo che Gesù fu unto, lo Spirito Santo lo condusse nel deserto affinché fosse tentato da Satana. Dopo che ebbe digiunato per quaranta giorni e quaranta notti per tre volte il tentatore cercò di farlo cadere in peccato; ma Gesù si oppose a lui in maniera efficace citandogli la legge del Signore che egli aveva riposto nel suo cuore secondo che è scritto: “La legge del suo Dio è nel suo cuore; i suoi passi non vacilleranno” (Sal. 37:31). Il diavolo allora lo lasciò fino ad altra occasione, e gli angeli di Dio vennero a servirlo.

Dopo di ciò, Gesù tornò in Galilea dove cominciò a predicare e ad insegnare, glorificato da tutti. Venne anche a Nazareth dove era stato allevato, ma qui i suoi concittadini si levarono pieni di ira contro di lui perché dopo che egli ebbe letto in sinagoga quel passo di Isaia dove è detto: “Lo Spirito del Signore, dell’Eterno è su me, perché l’Eterno m’ha unto per recare una buona novella agli umili; m’ha inviato per fasciare quelli che hanno il cuore rotto, per proclamare la libertà a quelli che sono in cattività, l’apertura del carcere ai prigionieri, per proclamare l’anno di grazia dell’Eterno” (Is. 61:1), egli affermò che in quel giorno quella Scrittura s’era adempiuta, e che nessun profeta è ben accetto nella sua patria. Essi allora lo cacciarono fuori dalla città e cercarono di precipitarlo giù dal ciglio del monte su cui era fabbricata Nazareth, ma egli passando in mezzo a loro se ne andò a Capernaum, città sul mare ai confini di Zabulon e Neftali, dove fissò la sua residenza, infatti questa città è chiamata la sua città (cfr. Matt. 9:1).
Gesù andava attorno di città in città e di villaggio in villaggio predicando ed annunziando la buona novella del regno di Dio. Egli diceva alla turbe: “Ravvedetevi e credete all’Evangelo” (Mar. 1:15); quindi esortava tutti a pentirsi dei loro peccati ed a credere nella buona notizia di cui lui era l’ambasciatore per volontà di Dio. Il profeta Isaia infatti aveva detto del Cristo che egli avrebbe recato una buona novella ai poveri. Ma in che cosa consisteva questa buona notizia in cui Gesù ordinava agli uomini di credere? Nel fatto che Dio nella pienezza dei tempi aveva mandato nel mondo il suo Figliuolo affinché chiunque credesse in lui non perisse ma avesse vita eterna. In altre parole nella meravigliosa notizia che Dio nel suo grande amore aveva mandato nel mondo il suo Figliuolo affinché per mezzo di lui il mondo fosse salvato, e che per essere salvati era necessario, indispensabile, credere in lui.

Oltre ad annunziare ai Giudei il ravvedimento e la fede in lui, Gesù insegnò molte cose in parabole alle turbe e così si adempirono le parole del profeta: “Io aprirò la mia bocca per proferir parabole, esporrò i misteri dei tempi antichi” (Sal. 78:2).
Ma Gesù operò anche tante guarigioni in mezzo ai Giudei. Egli risuscitò pure i morti e cacciò molti demoni dai corpi di coloro che li possedevano, e questo perché Dio era con lui.
Ma nonostante Gesù andasse in giro per il paese dei Giudei facendo del bene, e guarendo tutti coloro che erano sotto il dominio del diavolo perché Dio era con lui, ci furono molti che non credettero in lui, e dissero di lui che era un mangione e un ubriacone, uno che seduceva le persone, un pazzo, uno che aveva il principe dei demoni e mediante di esso cacciava i demoni, un peccatore perché violava il sabato, un bestemmiatore perché chiamava Dio suo Padre e si faceva uguale a lui. Calunnie, solo calunnie; perché Gesù fu un uomo temperato in ogni cosa; un uomo che non cercò mai il suo interesse come invece fanno i seduttori di menti che insegnano cose che non dovrebbero per amore di disonesto guadagno; un uomo ripieno di sapienza, ma non di quella dei principi di questo mondo ma di quella di Dio misteriosa ed occulta; un uomo ripieno di Spirito Santo che cacciava i demoni per l’aiuto dello Spirito; un uomo che non violò mai il Sabato perché in giorno di Sabato è lecito di fare del bene, è lecito di salvare una persona e lui in quel giorno faceva proprio questo guarendo coloro che avevano bisogno di guarigione; un uomo verace che non si fece uguale a Dio per presunzione ma perché egli era uguale a Dio per natura essendo il suo Unigenito Figliuolo venuto da presso a Lui. Ma quantunque fosse uguale a Dio, Egli non reputò una cosa da ritenere con avidità questa uguaglianza con Dio ma umiliò se stesso prendendo la forma di servo, divenendo simile ai figliuoli degli uomini. Ecco perché molti non riconobbero in lui il Figlio di Dio perché si presentò sotto forma di un umile servo che apparentemente non aveva nulla di diverso dagli altri uomini.
Queste calunnie naturalmente fecero soffrire Gesù perché egli si vide rigettato proprio da quelli di casa sua; egli soffrì come i profeti che erano stati prima di lui i quali erano stati mandati da Dio al popolo per il suo bene ed invece furono rigettati e calunniati in ogni maniera quasi che essi cercassero il suo male. Si adempirono così le parole del profeta Isaia con cui egli aveva definito il Cristo: “Uomo di dolore, familiare col patire” (Is. 53:3), e così fu infatti Gesù Cristo.
Tra coloro che rigettarono Gesù ci furono i capi sacerdoti e i Farisei i quali, avendo disconosciuto lui e le dichiarazioni dei profeti che si leggevano ogni sabato, deliberarono di pigliarlo e di farlo morire.

Alcuni giorni prima della Pasqua, Gesù salì a Gerusalemme entrandovi montato sopra un asinello. Avvenne proprio in quei giorni che precedevano la Pasqua che Satana entrò in uno dei discepoli di Gesù, chiamato Giuda Iscariota, il quale andò dai capi sacerdoti per darglielo nelle mani. Ed essi rallegratisi di ciò, promisero di dargli in cambio del denaro, trenta sicli d’argento. Da quel momento perciò Giuda Iscariota cercava il momento opportuno di tradirlo.
Avvenne così che durante la festa della Pasqua, dopo che Gesù ebbe mangiato la Pasqua coi suoi discepoli che Giuda uscì da dove essi erano radunati. Poco dopo venne nell’orto del Getsemani, dove Gesù intanto era andato coi suoi discepoli per pregare, con una grande turba che aveva spade e bastoni. Dopo avere ricevuto il convenuto segnale da parte di Giuda, costoro misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono; esattamente come avrebbero fatto con un malfattore. Tutti i suoi discepoli allora lo lasciarono e se ne fuggirono.
Lo portarono prima davanti al Sinedrio che lo condannò come reo di morte perché si era dichiarato il Figlio di Dio, e quindi per bestemmia. Quando i membri del Sinedrio dissero: “È reo di morte” (Matt. 26:66), gli sputarono in viso e gli diedero dei pugni; e altri lo schiaffeggiarono, dicendo: “O Cristo profeta, indovinaci: Chi t’ha percosso?” (Matt. 26:68). Poi, legatolo, lo menarono dal governatore Ponzio Pilato per chiedergli di crocifiggerlo. Questi in un primo tempo aveva deliberato di liberarlo perché non trovava in lui nulla che fosse degno di morte (lo aveva anche mandato da Erode che in quei giorni si trovava in Gerusalemme il quale lo aveva schernito coi suoi soldati, ed anche lui non aveva trovato in Gesù alcuna delle colpe di cui l’accusavano i capi sacerdoti e gli scribi), ma siccome la moltitudine chiedeva con grande grida di crocifiggerlo acconsentì a quello che essa chiedeva e perciò comandò che fosse fatto prima flagellare e poi crocifiggere. I soldati del governatore lo menarono allora dentro il pretorio e lo vestirono di porpora, gli misero sul capo una corona di spine, una canna nella mano destra, e prostratisi davanti a lui lo beffavano dicendo: Salve, re dei Giudei! e gli percuotevano il capo con la canna e gli sputavano addosso.
Dopo averlo spogliato della porpora e rivestito dei suoi vestimenti lo menarono fuori al luogo detto Golgota, dove lo inchiodarono sulla croce affinché si adempissero le parole: “M’hanno forato le mani e i piedi” (Sal. 22:16), in mezzo a due malfattori e questo affinché si adempissero le parole di Isaia: “E’ stato annoverato fra i trasgressori” (Is. 53:12).
Mentre era appeso sulla croce i soldati presero le sue vesti e ne fecero quattro parti affinché ognuno di loro ne avesse una parte, mentre la tunica la tirarono a sorte per sapere a chi toccherebbe; questo avvenne affinché si adempisse la Scrittura: “Spartiscon fra loro i miei vestimenti e tirano a sorte la mia veste” (Sal. 22:18).
Un’altra cosa che avvenne mentre Gesù era appeso sulla croce agonizzante fu che lui venne schernito da coloro che passavano di là e dai capi sacerdoti, dagli scribi e dagli anziani i quali gli dicevano: “Ha salvato altri e non può salvar se stesso! Da che è il re d’Israele, scenda ora giù di croce, e noi crederemo in lui. S’è confidato in Dio; lo liberi ora, s’Ei lo gradisce, poiché ha detto: Son Figliuol di Dio” (Matt. 27:42-44); e questo avvenne affinché si adempissero le parole di Davide: “Chiunque mi vede si fa beffe di me; allunga il labbro, scuote il capo, dicendo: Ei si rimette nell’Eterno; lo liberi dunque; lo salvi, poiché lo gradisce” (Sal. 22:7-8), ed ancora: “Apron la loro gola contro a me, come un leone rapace e ruggente” (Sal. 22:13).
Prima che Gesù spirasse gridò: “Elì, Elì, lamà sabactanì? cioè: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Matt. 27:46), e in quel momento uno degli astanti corse a prendere una spugna e inzuppatala d’aceto e postala in cima ad una canna gli diè da bere. Questo avvenne affinché si adempisse quello che era stato detto da Davide: “Nella mia sete, m’han dato a ber dell’aceto” (Sal. 69:21).
Dopo che Gesù spirò, i soldati vennero a fiaccare le gambe a coloro che erano sulla croce, fiaccarono le gambe ai due che erano stati crocifissi con lui, ma a Gesù non gliele fiaccarono, perché lo videro già morto, affinché si adempisse la Scrittura che dice: “Niun d’osso d’esso sarà fiaccato” (Giov. 19:36; Sal. 34:20). Quella sera si adempì anche la Scrittura: “Ed essi riguarderanno a me, a colui ch’essi hanno trafitto” (Zacc. 12:10).

Per dire qualcosa di lui, ed e’ un’impresa che sento superiore alle mie forze, postero’ sue frasi dal vangelo di tommaso considerato apocrifo

PERCHE’ LO “SENTO PIU’ VERO”

100 Parabole di Gesù trascritte da Didimo Giuda Tommaso

 

  1. E lui disse: “Chiunque trova l’interpretazione di queste parole non conoscerà la morte”.
  2. Gesù disse: “Coloro che cercano cerchino finché troveranno. Quando troveranno, resteranno turbati. Quando saranno turbati si stupiranno, e regneranno su tutto.”
  3. Gesù disse: “Se i vostri capi vi diranno: il Regno è nei cieli, allora gli uccelli dei cieli vi precederanno. Se vi diranno è nei mari, allora i pesci vi precederanno. Invece, il Regno è dentro di voi e fuori di voi. Quando vi conoscerete sarete riconosciuti, e comprenderete di essere figli del Padre vivente. Ma se non vi conoscerete, allora sarete la miseria stessa.”
  4. Gesù disse: “L’uomo di età avanzata non esiterà a chiedere a un bambino di sette giorni dov’è il luogo della vita, e quell’uomo vivrà. Perché molti dei primi saranno ultimi, e diventeranno tutt’uno.”
  5. Gesù disse: “Sappiate cosa vi sta davanti agli occhi, e quello che vi è nascosto vi sarà rivelato.
    Perché nulla di quanto è nascosto non sarà rivelato.”
  6. Gli chiesero i discepoli: “Vuoi che digiuniamo? Come dobbiamo pregare? Dobbiamo fare elemosine? Quale dieta dobbiamo osservare?” Gesù disse: “Non mentite, e non fate ciò che odiate, perché ogni cosa è manifesta in cielo. Alla fine, nulla di quanto è nascosto non sarà rivelato, e nulla di quanto è celato resterà nascosto.”
  7. Gesù disse: “Fortunato è il leone che verrà mangiato dall’umano, perché il leone diventerà umano. E disgraziato è l’umano che verrà mangiato dal leone, poiché il leone diventerà comunque umano.”
  8. E disse: “L’uomo è come un pescatore saggio che gettò la rete in mare e la ritirò piena di piccoli pesci. Tra quelli il pescatore saggio scoprì un ottimo pesce grosso. Rigettò tutti gli altri pesci in mare, potendo scegliere il pesce grosso con facilità. Chi ha buone orecchie intenda!”
  9. Gesù disse: “Un seminatore uscì, prese una manciata di semi e seminò. Alcuni caddero sulla strada, e gli uccelli vennero a raccoglierli. Altri caddero sulla pietra, non misero radici e non produssero spighe. Altri caddero sulle spine, e i semi soffocarono e furono mangiati dai vermi. E altri caddero sulla terra buona, e produssero un buon raccolto, che diede il sessanta per uno e il centoventi per uno.”
  10. Gesù disse: “Ho appiccato fuoco al mondo, e guardate, lo curo finché attecchisce.”
  11. Gesù disse: “Questo cielo scomparirà, e quello sopra pure scomparirà. I morti non sono vivi, e i vivi non morranno. Nei giorni in cui mangiaste ciò che era morto lo rendeste vivo. Quando sarete nella luce, cosa farete? Un giorno eravate uno, e diventaste due. Ma quando diventerete due, cosa farete?”
  12. I discepoli dissero a Gesù: “Sappiamo che tu ci lascerai. Chi sarà la nostra guida?”
    Gesù disse loro: “Dovunque siate dovete andare da Giacomo il Giusto, per amore del quale nacquero cielo e terra.”
  13. Gesù disse ai suoi discepoli: “Paragonatemi a qualcuno e ditemi come sono.”
    Simon Pietro gli disse: “Sei come un onesto messaggero.” Matteo gli disse, “Sei come un filosofo sapiente.” Tommaso gli disse: “Maestro, la mia bocca è totalmente incapace di esprimere a cosa somigli.” Gesù disse: “Non sono il tuo maestro. Hai bevuto, e ti sei ubriacato dell’acqua viva che ti ho offerto.” E lo prese con sé, e gli disse tre cose. Quando Tommaso tornò dai suoi amici questi gli chiesero: “Cosa ti ha detto Gesù?” Tommaso disse loro: “Se vi dicessi una sola delle cose che mi ha detto voi raccogliereste delle pietre e mi lapidereste, e del fuoco verrebbe fuori dalle rocce e vi divorerebbe.”
  14. Gesù disse loro: “Se digiunate attirerete il peccato su di voi, se pregate sarete condannati, e se farete elemosine metterete in pericolo il vostro spirito. Quando arrivate in una regione e vi aggirate per la campagna, se la gente vi accoglie mangiate quello che vi offrono e prendetevi cura dei loro ammalati. Dopo tutto, quello che entra nella vostra bocca non può rendervi impuri, è quello che viene fuori dalla vostra bocca che può rendervi impuri.”
  15. Gesù disse: “Quando vedrete uno che non è nato da una donna, prostratevi e adoratelo. Quello è il vostro Padre.”
  16. Gesù disse:”La gente pensa che io sia venuto a portare la pace nel mondo. Non sanno che sono venuto a portare il conflitto nel mondo: fuoco, ferro, guerra. Perché saranno in cinque in una casa: ce ne saranno tre contro due e due contro tre, padre contro figlio e figlio contro padre, e saranno soli.”
  17. Gesù disse: “Vi offrirò quello che nessun occhio ha visto, nessun orecchio ha udito, nessuna mano ha toccato, quello che non è apparso nel cuore degli uomini.”
  18. I discepoli chiesero a Gesù: “Dicci, come verrà la nostra fine?” Gesù disse: “Avete dunque trovato il principio, che cercate la fine? Vedete, la fine sarà dove è il principio. Beato colui che si situa al principio, perché conoscerà la fine e non sperimenterà la morte.”
  19. Gesù disse: “Beato colui che nacque prima di nascere. Se diventate miei discepoli e prestate attenzione alle mie parole, queste pietre vi obbediranno. Perché vi sono cinque alberi per voi in Paradiso; non mutano, inverno ed estate, e le loro foglie non cadono. Chiunque li conoscerà non sperimenterà la morte.”
  20. I discepoli chiesero a Gesù: “Com’è il Regno dei Cieli?” E lui rispose loro: “È come un seme di senape, il più piccolo dei semi, ma quando cade sul terreno coltivato produce una grande pianta e diventa un riparo per gli uccelli del cielo.”
  21. Maria chiese a Gesù: “Come sono i tuoi discepoli?” Lui disse: “Sono come bambini in un terreno che non gli appartiene. Quando i padroni del terreno arrivano, dicono, ‘Restituiteci il terreno.’ E quelli si spogliano dei loro abiti per renderglieli, e gli restituiscono il terreno. Per questo motivo dico, se i proprietari di una casa sanno che sta arrivando un ladro staranno in guardia prima che quello arrivi e non gli permetteranno di entrare nella loro proprietà e rubargli i loro averi. Anche voi, quindi, state in guardia nei confronti del mondo. Preparatevi con grande energia, così i ladri non avranno occasione di sopraffarvi, perché la disgrazia che attendete verrà. Che fra voi ci sia qualcuno che comprenda. Quando il raccolto fu maturo, lui arrivò subito con un sacco e lo mieté. Chi ha orecchie intenda!”
  22. Gesù vide alcuni neonati che poppavano. Disse ai suoi discepoli, “Questi neonati che poppano sono come quelli che entrano nel Regno.” E loro: “Allora entreremo nel Regno come neonati?”
    Gesù disse: “Quando farete dei due uno, e quando farete l’interno come l’esterno e l’esterno come l’interno, e il sopra come il sotto, e quando farete di uomo e donna una cosa sola, così che l’uomo non sia uomo e la donna non sia donna, quando avrete occhi al posto degli occhi, mani al posto delle mani, piedi al posto dei piedi, e figure al posto delle figure allora entrerete nel Regno.”
  23. Gesù disse: “Sceglierò fra voi, uno fra mille e due fra diecimila, e quelli saranno come un uomo solo.”
  24. Dissero i suoi discepoli: “Mostraci il luogo dove sei, perché ci occorre cercarlo.”
    Lui disse loro, “Chiunque qui abbia orecchie ascolti! C’è luce in un uomo di luce, e risplende sul mondo intero. Se non risplende, è buio.” Allora chiesero: “Quando verrà il Regno dei Cieli?” Rispose: “Non verrà cercandolo. Non si dirà: ‘Guarda, è qui!’, oppure: ‘Guarda, è lì!’ Piuttosto, il Regno del Padre è sulla terra, e nessuno lo vede.”
  25. Gesù disse: “Amate il vostro amico come voi stessi, proteggetelo come la pupilla del vostro occhio.”
  26. Gesù disse: “Voi guardate alla pagliuzza nell’occhio del vostro amico, ma non vedete la trave nel vostro occhio. Quando rimuoverete la trave dal vostro occhio, allora ci vedrete abbastanza bene da rimuovere la pagliuzza dall’occhio dell’amico.”
  27. Gesù disse: “Ho preso il mio posto nel mondo, e sono apparso loro in carne ed ossa. Li ho trovati tutti ubriachi, e nessuno assetato. Il mio animo ha sofferto per i figli dell’umanità, perché sono ciechi di cuore e non vedono, poiché sono venuti al mondo vuoti, e cercano di andarsene dal mondo pure vuoti. Ma nel frattempo sono ubriachi. Quando si libereranno dal vino, cambieranno condotta.”
  28. Gesù disse: “Se la carne fosse nata a causa dello spirito sarebbe una meraviglia, ma se lo spirito fosse nato a causa del corpo sarebbe una meraviglia delle meraviglie. Eppure mi stupisco di come questa grande ricchezza si sia ridotta in tale miseria.”
  29. Gesù disse: “Dove ci sono tre divinità, esse sono divine. Dove ce ne sono due o una, io sono con lei.”
  30. Gesù disse: “Nessun profeta è benvenuto nel suo paese; i dottori non curano i loro conoscenti.”
  31. Gesù disse: “Una città costruita su un’alta collina e fortificata non può essere presa, né nascosta.”
  32. Gesù disse: “Quanto ascolterete con le vostre orecchie, proclamatelo dai vostri tetti ad altre orecchie. Dopo tutto, nessuno accende una lampada per metterla in un baule, né per metterla in un posto nascosto. Piuttosto, la mette su un lampadario così che chiunque passi veda la sua luce. Se un cieco guida un cieco, entrambi cadranno in un fosso.””
  33. Gesù disse: “Nessuno può entrare nella casa di un uomo robusto e prenderla con la forza se prima non gli lega le mani. A quel punto uno può sottrargli la casa.”
  34. Gesù disse: “Non vi tormentate dalla mattina alla sera, al pensiero di cosa indossare.”
  35. I suoi discepoli chiesero: “Quando ci apparirai, e quando tornerai a visitarci?”
    Gesù rispose: “Quando vi spoglierete senza vergognarvi, e metterete i vostri abiti sotto i piedi come bambini e li distruggerete, allora vedrete il figlio di colui che vive e non avrete timore.”
  36. Gesù disse: “Spesso avete desiderato ascoltare queste parole che vi dico, e non avevate nessuno da cui ascoltarle. Vi saranno giorni in cui mi cercherete e non mi troverete.”
  37. Gesù disse: “I Farisei e gli accademici hanno preso le chiavi della conoscenza e le hanno nascoste. Non sono entrati, e non hanno permesso a quelli che volevano entrare di farlo. Quanto a voi, siate furbi come serpenti e semplici come colombe.”
  38. Gesù disse: “Una vite è stata piantata lontano dal Padre. Poiché non è robusta, sarà sradicata e morrà.”
  39. Gesù disse: “Chiunque ha qualcosa in mano riceverà di più, e chiunque non ha nulla sarà privato anche del poco che ha.”
  40. Gesù disse: “Siate come passanti.” I suoi discepoli gli chiesero: “Chi sei tu per dirci queste cose?” Allora rispose: “Non comprendete chi sono da quello che dico, perché siete diventati come i Giudei, che amano l’albero ma odiano i frutti, o amano i frutti ma odiano l’albero.”
  41. Gesù disse: “Chiunque bestemmia contro il Padre sarà perdonato, e chiunque bestemmia contro il figlio sarà perdonato, ma chiunque bestemmia contro lo Spirito Santo non sarà perdonato, né sulla terra né in cielo.”
  42. Gesù disse: “L’uva non si coglie dai rovi, né i fichi dai cardi, poiché essi non danno frutti. I buoni producono bene da quanto hanno accumulato; i cattivi producono male dalla degenerazione che hanno accumulato nei loro cuori, e dicono cose malvagie. Poiché dal traboccare del cuore producono il male.”
  43. Gesù disse: “Da Adamo a Giovanni il Battista, fra quanti nacquero da donna nessuno è tanto più grande di Giovanni il Battista da non dover abbassare lo sguardo. Ma vi dico che chiunque fra voi diventerà un bambino riconoscerà il Regno e diventerà più grande di Giovanni.”
  44. Gesù disse: “Un uomo non può stare in sella a due cavalli o piegare due archi. E uno schiavo non può servire due padroni, altrimenti lo schiavo onorerà l’uno e offenderà l’altro. Nessuno beve vino stagionato e subito dopo vuole bere vino giovane. Il vino giovane non viene versato in otri nuovi, altrimenti si guasta. Non si cuce un panno vecchio su un abito nuovo, perché si strapperebbe.”
  45. Gesù disse: “Se due persone fanno pace in una stessa casa diranno alla montagna: spostati! e quella si sposterà.”
  46. Gesù disse: “Beati coloro che sono soli e scelti, perché troveranno il Regno dei Cieli. Poiché da lì venite, e lì ritornerete.”
  47. Gesù disse: “Se vi chiederanno da dove venite, rispondete: ‘Veniamo dalla Luce, dal luogo dove la Luce è apparsa da sé, si è stabilita, ed è apparsa nella sua immagine.’ Se vi chiederanno: ‘Siete voi?’ dite: ‘Siamo i suoi figli, e siamo i prescelti del Padre vivente.’ Se vi chiederanno: ‘Qual è la prova che il Padre è in voi?’ dite loro: ‘È il movimento e la quiete.’ ”
  48. I suoi discepoli gli chiesero: “Quando riposeranno i morti, e quando verrà il nuovo mondo?”
    Lui disse: “Quello che aspettate è già venuto, ma non lo sapete.”
  49. I discepoli gli dissero: “E’ utile o no la circoncisione?” Lui rispose: “Se fosse utile, il loro padre genererebbe figli già circoncisi dalla loro madre. Invece, la vera circoncisione nello spirito è diventata vantaggiosa da ogni punto di vista.”
  50. Gesù disse: “Beato il povero, perché suo è il Regno dei Cieli. Beato l’uomo che si è impegnato e ha trovato la vita.”
  51. Gesù disse: “Chi non odierà suo padre e sua madre non potrà essere mio discepolo, e chi non odierà fratelli e sorelle, e porterà la croce come faccio io, non sarà degno di me. “Chiunque non odia padre e madre come me non può essere mio discepolo, e chiunque non ama padre e madre come me non può essere mio discepolo. Poiché mia madre è solo una parola, ma la mia vera madre mi ha dato la vita.”
  52. Gesù disse: “Chi è arrivato a conoscere il mondo ha scoperto una carcassa, e di chiunque ha scoperto una carcassa il mondo non è degno.”
  53. Gesù disse: “Il regno del Padre è come un uomo che ha dei semi. Il suo nemico di notte gli ha piantato erbacce fra i semi. L’uomo non ha voluto che i braccianti gli strappassero le erbacce, ma ha detto loro, ‘No, altrimenti per strappare le erbacce potreste finire per strappare anche il grano.’ Poiché il giorno del raccolto le erbacce saranno molte, e saranno strappate e bruciate.
  54. Gesù disse: “Guardate colui che vive finché vivete, altrimenti potreste morire e poi cercare di scorgere colui che vive, e non ne sareste capaci.”
  55. Vide un samaritano che portava un capretto e andava in Giudea. Disse ai suoi discepoli, “Quell’uomo sta portandosi dietro il capretto fino in Galilea.” Loro gli dissero: “Così da ucciderlo e mangiarlo.” Lui disse loro: “Non lo mangerà finché è vivo, ma solo dopo averlo ucciso e ridotto a cadavere.”
    Loro risposero, “Non potrebbe fare altrimenti.” Lui disse loro: “Allora anche voi cercatevi un posto per riposare, o potreste diventare cadaveri e venire mangiati.”
  56. Gesù disse: “In due si adageranno su un divano; uno morirà, l’altro vivrà.” Disse Salomè: “Chi sei tu signore? Sei salito sul mio divano e hai mangiato dalla mia tavola come se qualcuno ti avesse inviato.” Gesù le disse: “Sono quello che viene da ciò che è integro. Mi sono state donate delle cose di mio Padre.” Disse Salomè: “Sono tua discepola.” E Gesù rispose: “Per questa ragione io ti dico, se uno è integro verrà colmato di luce, ma se è diviso, sarà riempito di oscurità. Io rivelo i miei misteri a coloro che ne sono degni. Che la vostra mano sinistra non sappia cosa fa la destra.”
  57. Gesù disse: “C’era un ricco che aveva molto denaro. Disse: ‘Investirò questo denaro così da poter seminare, mietere e riempire i miei magazzini con il raccolti, in modo che non mi manchi nulla.’ Questo pensava in cuor suo, ma quella stessa notte morì. Chi fra voi ha orecchie intenda!”
  58. Gesù disse: “Un uomo organizzò un ricevimento. Quando ebbe preparato la cena, mandò il suo servo a invitare gli ospiti. Il servo andò dal primo e gli disse: ‘Il padrone ti invita.’ E quegli rispose: ‘Ci sono dei mercanti che mi devono dei soldi, e vengono da me stasera. Devo andare a dar loro istruzioni. Lo prego di scusarmi ma non posso venire a cena.’ Il servo andò da un altro e disse,:’Il padrone ti ha invitato.’ Quegli disse al servo: ‘Ho comprato una casa, e devo assentarmi per un giorno. Non avrò tempo per la cena.’ Il servo andò da un altro e gli disse: ‘Il padrone ti invita.’ Quegli disse al servo: ‘Un mio amico si sposa, e devo preparargli il banchetto. Non potrò venire. Lo prego di scusarmi se non posso venire.’ Il servo andò da un altro e gli disse: ‘Il padrone ti invita.’ Costui rispose: ‘Ho comprato una proprietà, e sto andando a riscuotere l’affitto. Non potrò venire, Lo prego di scusarmi.’ Il servo ritornò e disse al padrone: ‘Quelli che avevi invitato a cena chiedono scusa ma non possono venire.’ Il padrone disse al servo: ‘Vai per la strada e porta a cena chiunque trovi.’
    Acquirenti e mercanti non entreranno nei luoghi del Padre mio.”
  59. Lui disse, Un uomo che possedeva una vigna, l’aveva affittata a dei contadini, così che la lavorassero e gli cedessero il raccolto. Mandò il suo servo dai contadini per farsi consegnare il raccolto. Quelli lo afferrarono, lo picchiarono, e quasi l’uccisero. Poi il servo ritornò dal padrone. Il padrone disse: ‘Forse non ti conosceva.’ Mandò un altro servo, e i contadini picchiarono anche quello. Quindi il padrone mandò suo figlio e disse: ‘Forse verso mio figlio mostreranno un qualche rispetto.’ Poiché i contadini sapevano che lui era l’erede della vigna, lo afferrarono e lo uccisero. Chi ha orecchie intenda!”
  60. Gesù disse: “Mostratemi la pietra scartata dai costruttori; quella è la pietra angolare.”
  61. Gesù disse: “Quelli che sanno tutto, ma sono carenti dentro, mancano di tutto.”
  62. Gesù disse: “Beati voi, quando sarete odiati e perseguitati; e non resterà alcun luogo, dove sarete stati perseguitati. I cieli e la terra si apriranno al vostro cospetto, e chiunque è vivo per colui che vive non vedrà la morte.” Non dice Gesù: “Di quelli che hanno trovato se stessi, il mondo non è degno?”
  63. Gesù disse: “Beati i perseguitati nei cuori, perché sono arrivati a conoscere veramente il Padre. Beati coloro che patiscono la fame, perché il bisognoso potrà essere saziato.”
  64. Gesù disse: “Se esprimerete quanto avete dentro di voi, quello che avete vi salverà. Se non lo avete dentro di voi, quello che non avete vi perderà.”
  65. Gesù disse: “Distruggerò questa casa, e nessuno sarà più in grado di ricostruirla”
  66. Un uomo gli disse: “Dì ai miei fratelli di dividere con me i loro averi.”
    Lui chiese all’uomo: “…e chi mi ha nominato spartitore?”
    Si girò verso i discepoli e disse: “Non sono uno spartitore, vero?”
  67. Gesù disse: “Il raccolto è enorme ma i braccianti sono pochi, perciò pregate il mietitore di mandare i braccianti nei campi.”
  68. Lui disse: “Signore, sono in molti attorno all’abbeveratoio, ma non c’è nulla nel pozzo.”
  69. Gesù disse, “In molti si affollano davanti alla porta, ma sarà il solitario ad entrare nella camera nuziale.”
  70. Gesù disse: “Il regno del Padre è come un mercante che ricevette un carico di mercanzia e vi trovò una perla. Il mercante fu accorto; vendette la mercanzia e si tenne solo la perla.
    Così anche voi, cercate il tesoro che è eterno, che nessuna tarma divora e nessun verme guasta.”
  71. Gesù disse: “Io sono la Luce che è su tutte le cose. Io sono tutto: da me tutto proviene, e in me tutto si compie. Tagliate un ciocco di legno; io sono lì. Sollevate la pietra, e mi troverete.”
  72. Gesù chiese: “Perché siete venuti nella campagna? Per vedere una canna scossa dal vento? E per vedere un uomo vestito in abiti raffinati, come i capi e i potenti? Quelli sono vestiti in panni raffinati, e non sanno cogliere la verità.”
  73. Una donna nella folla gli disse: “Fortunato il grembo che ti generò e il seno che ti nutrì.”
    Lui le disse: “Fortunati coloro che hanno ascoltato la parola del Padre e l’hanno veramente conservata. Poiché vi saranno giorni in cui direte, ‘Fortunato il grembo che non ha concepito, e il seno che non ha allattato.’ ”
  74. Gesù disse: “Chi è arrivato a conoscere il mondo ha scoperto un cadavere, e chi ha scoperto un cadavere è al di sopra del mondo.”
  75. Gesù disse: “Lasciate che chi è diventato ricco regni, e che chi ha il potere vi rinunci.”
  76. Gesù disse, “Chi è vicino a me è vicino al fuoco, e chi è lontano da me è lontano dal regno.”
  77. Gesù disse: “Le immagini sono visibili alla gente, ma la loro luce è nascosta nell’immagine della luce del Padre. Lui si rivelerà, ma la sua immagine è nascosta dalla sua Luce.”
  78. Gesù disse: “Quando vedete ciò che vi somiglia siete contenti. Ma quando vedrete le immagini che nacquero prima di voi e che non muoiono né diventano visibili, quanto dovrete sopportare!”
  79. Gesù disse: “Adamo è partito da un grande potere e una grande ricchezza, ma non era degno di voi. Perché se fosse stato degno, non avrebbe conosciuto la morte.”
  80. Gesù disse: “Le volpi hanno tane e gli uccelli hanno nidi, ma gli esseri umani non hanno un posto dove stendersi e riposare.”
  81. Gesù disse: “Quanto è misero il corpo che dipende da un corpo, e quanto è misera l’anima che dipende da entrambi.”
  82. Gesù disse: “I messaggeri e i profeti verranno da voi e vi daranno ciò che vi appartiene. Voi, da parte vostra, date loro quello che avete, e dite a voi stessi: ‘Quando verranno a prendere quello che gli appartiene?'”
  83. Gesù disse: “Perché sciacquate l’esterno della coppa? Non capite che quello che ha creato l’interno è anche quello che ha creato l’esterno?”
  84. Gesù disse: “Venite a me, perché il mio giogo è confortevole e il mio dominio è gentile, e troverete la vostra pace.”
  85. Gli dissero: “Dicci chi sei così che possiamo credere in te.”
    Lui disse loro: “Voi esaminate l’aspetto di cielo e terra, ma non siete arrivati a comprendere colui che è di fronte a voi, e non sapete come interpretare il momento attuale.”
  86. Gesù disse: “Cercate e troverete. Nel passato, comunque, non vi ho rivelato le cose che allora mi chiedeste. Ora vorrei dirvele, ma voi non le chiedete più.”
  87. Gesù disse: “Non date cose sacre ai cani, e non gettate perle ai porci, perché potrebbero gettarle sullo sterco.”
  88. Gesù disse: “Colui che cerca troverà, e chi bussa entrerà. Se avete denaro, non prestatelo a interesse. Piuttosto, datelo a qualcuno da cui non lo riavrete.”
  89. Gesù disse: “Il Regno del Padre è come una donna. Prese un po’ di lievito, lo nascose nell’impasto, e ne fece grandi forme di pane. Chi ha orecchie intenda!”
  90. Gesù disse: “Il Regno è come una donna che portava una giara piena di farina. Mentre camminava per una lunga strada, il manico della giara si ruppe e la farina le si sparse dietro sulla strada. Lei non lo sapeva; non si era accorta di nulla. Quando arrivò a casa, posò la giara e scoprì che era vuota.”
  91. Gesù disse: “Il Regno del Padre è come quell’uomo che voleva uccidere un potente. Prima di uscire di casa sfoderò la spada e la infilò nel muro per provare se il suo braccio riusciva a trapassarlo. Poi uccise il potente.”
  92. I discepoli gli dissero: “I tuoi fratelli e tua madre sono qui fuori.” Lui rispose: “Quelli che fanno il volere del Padre mio sono i miei fratelli e mia madre. Sono quelli che entreranno nel Regno di mio Padre.”
  93. Mostrarono a Gesù una moneta d’oro e gli dissero: “Gli uomini dell’imperatore romano ci chiedono le tasse.” Lui disse loro: “Date all’imperatore quello che è dell’imperatore, date a Dio quello che è di Dio, e date a me quel che è mio.”
  94. Gesù disse: “Maledetti i Farisei! Sono come il cane che dorme nella mangiatoia: il cane non mangia, e non fa mangiare il bestiame. Maledetta la carne che dipende dall’anima. Maledetta l’anima che dipende dalla carne.”
  95. Gesù disse: “Beati quelli che sanno da dove attaccheranno i ribelli. Possono organizzarsi, raccogliere le risorse imperiali, ed essere preparati prima che i ribelli arrivino.”
  96. Dissero a Gesù: “Vieni, oggi preghiamo e digiuniamo.” Gesù disse: “Quale peccato ho commesso o di quale impurità mi sono macchiato? Quando lo sposo lascia la camera nuziale, allora fate che la gente digiuni e preghi.”
  97. Gesù disse: “Quando farete dei due uno diventerete figli di Adamo, e allora, se direte: ‘Montagna, spostati!’ si sposterà.”
  98. Gesù disse: “Il Regno è come un pastore che aveva cento pecore. Una di loro, la più grande, si smarrì. Lui lasciò le altre novantanove e la cercò fino a trovarla. Dopo aver faticato tanto le disse: ‘Mi sei più cara tu di tutte le altre novantanove.'”
  99. Gesù disse: “Chi berrà dalla mia bocca diventerà come me; io stesso diventerò quella persona, e tutte le cose nascoste gli si riveleranno. Se non digiunate dal mondo, non troverete il Regno. Se non osservate il Sabato come Sabato non vedrete il Padre.”
  100. Gesù disse: “Il Regno del Padre è come colui che aveva un tesoro nascosto nel suo campo ma non lo sapeva. E quando morì lo lasciò a suo figlio. Il figlio non ne sapeva nulla neanche lui. Diventò proprietario del campo e lo vendette. L’acquirente andò ad arare, scoprì il tesoro, e cominciò a prestare denaro a interesse a chi gli pareva. Lasciate che chi ha trovato il mondo, ed è diventato ricco, rinunci al mondo.”

 Grazie MAESTRO

GRAZIE GRAZIE GRAZIE

 

 

SWAMI SATYANANDA SARASWATI

Il nostro maestro di YOGA NIDRA

 

Swami Satyananda è nato in una piccola città vicino ad Almora, ai piedi dell’Himalaya.

Fin da bambino mostrò qualità straordinarie ed ebbe la sua prima esperienza spirituale all’età di sei anni.

 

Fu benedetto da molti saggi e sadhu che passavano dalla sua casa diretti verso le più alte regioni himalayane. Essi ispirarono ed evocarono in lui un intenso desiderio di raggiungere le stesse levature spirituali e un forte senso di vairagya (biscernimento) che era rimarchevole per una persona così giovane.

A diciannove anni lasciò la sua famiglia e la casa, alla ricerca del suo maestro spirituale, Swami Sivananda. Durante i dodici anni trascorsi con il suo guru, Paramahansa Satyananda si immerse nel karma yoga a tal punto che Swami Sivananda diceva che faceva il lavoro di quattro persone. Come un discepolo ideale lavorava dall’alba fino a notte tarda, coinvolgendosi in ogni tipo di lavoro, dalle pulizie alla gestione dell’ashram.

Il servizio al guru era la sua passione e la sua gioia. Sebbene avesse un intelletto molto acuto e fosse descritto come un genio versatile, la conoscenza di Paramahansa Satyananda non veniva dall’istruzione o dallo studio nell’ashram.

Egli seguì con fede l’unico ordine del suo guru: “Lavora duro e sarai purificato. Non devi attrarre la luce. La luce si svilupperà da dentro te stesso”. E questo è quello che accadde: in giovane età egli acquisì una comprensione illuminata dei segreti della vita spirituale.

Dopo aver trascorso dodici anni con il suo guru, Paramahansa Satyananda intraprese la vita di parivrajka, viaggiando per nove anni attraverso India, Afghanistan, Burma, Nepal e Ceylon. Durante questo periodo incontrò grandi santi e yogi e trascorse del tempo in isolamento, formulando le tecniche di yoga per alleviare le sofferenze dell’umanità.

 

Nel 1963 la sua missione divenne manifesta e poiché la realizzò durante la sua permanenza in Munger, si stabilì in quel luogo, vicino al Gange, e fondò l’International Yoga Fellowship Movement e la Bihar School of Yoga per aiutare un maggior numero di persone lungo il cammino spirituale. In poco tempo vi confluirono studenti da tutta l’India e dall’estero e gli insegnamenti di Paramahansa Satyananda si diffusero rapidamente in tutto il mondo.

 

Nel 1968 fece un ampio giro del mondo diffondendo le antiche pratiche yogiche fra persone di ogni casta, credo, religione e nazionalità. Negli anni seguenti divenne molto conosciuto in ogni continente come un esponente principale dello yoga e del tantra.

Con il suo approccio dinamico e scientifico allo yoga e alla vita spirituale, ha guidato e ispirato migliaia di centri e ricercatori spirituali di tutto il mondo.

Nel 1983 ha designato Paramahansa Niranjanananda come suo successore e Presidente della Bihar School of Yoga e dei centri associati. Nel 1984 ha fondato Sivananda Math, un’istituzione sociale e caritatevole, e la Yoga Research Foundation (Fondazione per le Ricerche sullo Yoga) come istituzioni indipendenti in collaborazione con la Bihar School of Yoga.

Nel 1988 Paramahansa Satyananda ha lasciato Munger ed ha intrapreso kshetra sannyasa, la rinuncia all’istituzione, compiendo un pellegrinaggio attraverso i siddhatirtha dell’India come sadhu itinerante (mendicante), senza nessuna assistenza dagli ashram e dalle istituzioni da lui fondate.

 

Nel 1990 ha fondato Sri Panchdashnam Alakh Bara, dove ha iniziato a seguire lo stile di vita dei paramahamsa sannyasin, che non lavorano solamente per il loro seguito e missione poiché hanno una visione universale.

 

La vita di Mikao Usui

Tra leggenda e verità, un uomo ha “risvegliato” il dono!

MIKAO USUI E’ PER NOI L’EMBLEMA DELL”ALLIEVO E
DEL  TESTIMONE PERFETTO E  COME TALE NOI  LO ONORIAMO!

 

Il Maestro

Mikao USUI

 

E’ difficile narrare di questo maestro che noi amiamo considerare un Uomo semplice, molto spirituale ed erudito, con una famiglia e dei figli da crescere

Un UOMO CHE HA RICEVUTO DAL DIVINO DEI DONI

 

Tuttavia sentiamo anche altre fonti:

 

 

Secondo la tradizione orale conosciuta in occidente Mikao Usui era un monaco cristiano nato in Giappone nella seconda metà del XIX secolo, che dopo anni di faticose ricerche e in seguito ad una intensa esperienza mistica, scoprì il Segreto della Guarigione chiamandolo REIKI.

Se fino a qualche anno fa esistevano solo vaghe informazioni sulla vita di Usui, al punto da far dubitare ad alcuni perfino la sua effettiva esistenza, recentemente sono emerse importanti prove documentali e testimonianze del suo passaggio terreno.

Le iscrizioni sul suo monumento funerario, il presunto ritrovamento di un personale Manuale di Appunti, il graduale superamento di comprensibili reticenze nei confronti degli occidentali da parte dei depositari orientali (più che centenari) dei suoi insegnamenti, hanno delineato una figura più nitida della vita e delle opere di Usui Sensei.

Ringraziamo il nostro Socio e amico fraterno Giuseppe Gaviraghi per la testimonianza e la documentazione da lui fornita dopo essersi recato in visita alla Tomba di Usui.

 

Noi oggi sappiamo che Mikao Usui nacque il 15 Agosto 1865 nella provincia di Kyoto, in Giappone, nel villaggio di Tania-mura, oggi chiamato Miyamacho, nel distretto Yamagata, che oggi è la Prefettura di Gifu.

Nel 1869 iniziò i suoi studi presso la scuola di un Monastero di Buddismo Tendai.

La famiglia di Usui era seguace del Buddismo Tendai e proveniva da una discendenza di Samurai (Hatamoto).

All’età di 12 anni cominciò a dedicarsi alle arti marziali raggiungendo alti livelli.

Era uno studente assai dotato e diligente.

Viaggiò molto per studio e per lavoro, ma non ebbe fortuna in affari e cadde in disgrazia.

Ma seppe riprendersi e continuò il suo lavoro di crescita.

A 30 anni Usui Sensei sposò Sadako Suzuki da cui ebbe due figli, un maschio, Fuji (nato nel 1908) e un femmina, Toshiko, (nata nel 1913).

Nel Marzo del 1922, come risultato finale di un percorso spirituale culminato con un digiuno e una meditazione di 21 giorni, Usui entrò in contatto con Reiki e comprese come utilizzarlo quale strumento di crescita personale, evoluzione spirituale e autoguarigione.

 

Nell’Aprile del 1922 anni aprì il suo primo Centro di Pratica e Insegnamento ad Harajuku, Aoyama, Tokyo.

Il “motto” del suo centro era: “In Unione con il proprio Sé attraverso armonia ed equilibrio”.

 

La sua fama crebbe rapidamente e molte persone lo raggiunsero per studiare con lui.

Nel 1923 Tokio fu distrutta da un terribile terremoto.

Migliaia di persone morirono, altre furono ferite, altre si ammalarono. Usui si adoperò per portare sollievo alle vittime con i suoi poteri di guarigione

Nel 1925, in seguito alla grande affluenza, Usui si spostò in un altro Centro, più grande, a Nakano, nella periferia di Tokyo.

 

Usui era una persona affettuosa, calorosa e umile nell’atteggiamento.

Era forte di salute e fisicamente ben proporzionato.

Non si dava mai arie e aveva sempre un sorriso per tutti.

Si dimostrava assai coraggioso nell’affrontare i momenti difficili.

Amava leggere e scrivere, possedeva conoscenze in materia di medicina, psicologia, teologia, praticava l’arte della divinazione e conosceva le religioni del mondo.

 

Nel corso della sua vita trasmise i suoi insegnamenti ad oltre duemila persone e iniziò 17 Maestri.

Morì il 9 Marzo del 1926 all’età di 62 anni.

Dopo la sua morte alcuni dei suoi studenti crearono la Usui Reiki Ryoho Gakkai (Associazione per l’apprendimento del Metodo di Guarigione Usui Reiki) e lo dichiararono post-morte Presidente.

Nel Febbraio 1927 venne eretta una Stele commemorativa nel cimitero del tempio Saihoji in Tokyo, da cui abbiamo la maggiore quantità di informazioni sulla vita di Usui.

Il mese successivo venne costruita dal figlio Fuji Usui una tomba di famiglia, contenente le spoglie di Usui Sensei.

 

Il Mito di Mikao Usui

 

Mikao Usui

Così Hawayo Takata narrava ai suoi studenti:

Mikao Usui era un Monaco Cristiano e come ogni domenica, si apprestava a officiare la regolare cerimonia nella cappella del collegio maschile di cui era anche il rettore. Uno degli studenti si alzò in piedi, chiese il permesso di parlare e quando gli fu accordato disse:

“Parlo a nome degli studenti che hanno concluso gli studi e lasceranno la scuola per andare nel mondo. Noi siamo giovani e abbiamo tutta la vita davanti a noi, ma abbiamo anche molti dubbi e timori e vorremmo delle rassicurazioni. Per anni abbiamo studiato in questo collegio e conosciamo la Bibbia, sappiamo che Gesù Cristo operava miracoli perché le persone credessero in lui. Ma noi non abbiamo mai assistito ad alcun miracolo e ci chiediamo che cosa significa credere in Dio. In tutti questi anni, Dottor Usui, Lei è stato il nostro insegnante e la nostra guida, conosciamo la Sua fede profonda nelle Sacre Scritture, ma noi non abbiamo la Sua fede. Per favore, la preghiamo di darci una dimostrazione che ciò che è scritto corrisponde a verità.”

 

Usui disse che effettivamente era un buon Cristiano e che aveva una assoluta fiducia che ciò che si diceva del Cristo fosse pura verità e che esistevano testimonianze storiche e opere teologiche che dimostravano le capacità taumaturgiche del Cristo e l’esistenza dei miracoli. Ma lo studente continuò: “Noi la onoriamo e la rispettiamo come nostro Maestro, ma tra poco noi saremo fuori di qui e ce la dovremo cavare da soli. Noi le chiediamo di farci vedere come si fa a restituire la vista a un cieco o a guarire un lebbroso o a resuscitare un morto.”

Usui rispose che questo non poteva farlo, perché nessuno glielo aveva insegnato.

E lo studente riprese a parlare, questa volta con un velo di amarezza nella voce: “Noi la ringraziamo per tutto quello che ci ha insegnato, ma ora sappiamo che la Sua fede è una fede cieca e noi non vogliamo credere ciecamente a qualcosa, vogliamo fatti e dimostrazioni tangibili, vogliamo essere certi che quello che facciamo o diciamo esiste davvero. Lei ha ricevuto in dono questa fede assoluta e ha vissuto a lungo per rafforzarla, ma questo riguarda la Sua vita. Noi stiamo iniziando la nostra e abbiamo bisogno di una dimostrazione per continuare a credere in Lei e nei Suoi insegnamenti e avere un giorno la Sua stessa fede.”

 

Usui disse che non poteva mostrare alcuna guarigione in quel momento, e non volle proseguire oltre quella discussione. Ma le parole dello studente lo avevano profondamente colpito e dopo un lungo silenzio aggiunse: “Bene, dunque. Io non posso dimostrarvi nulla, in questo momento, ma un giorno ve lo proverò. E per fare questo fin da ora rassegno le mie dimissioni da ogni incarico e parto alla ricerca del segreto della guarigione. E quando lo troverò, ritornerò e ve ne darò una dimostrazione.”

E così Mikao Usui, non più giovanissimo, partì alla ricerca di come poter guarire gli ammalati e ridare la vista ai ciechi. Per sette anni approfondì i suoi studi sul Cristianesimo e sulla Bibbia ma non trovò alcuna spiegazione né alcuna formula sulla guarigione. Studiò altre Religioni e Filosofie e quando giunse al Buddismo scoprì che anche il Buddha conosceva l’arte di guarire i ciechi e i lebbrosi. Si recò dunque nei monasteri chiedendo ai monaci se fosse vero che nei Sutra si parlava del potere di guarire le malattie, ma la risposta era quasi sempre la stessa:

“Si, certo, è scritto che il Buddha guariva i lebbrosi appoggiando le mani sul loro corpo, ma noi monaci buddisti riteniamo che tutto dipende dalla mente e non possiamo dedicare molto tempo al corpo. Certo è importante mangiare e bere moderatamente e occuparsi di essere in salute e rispettosi della vita, ma quello che ci preme innanzi tutto è la salute dello Spirito. Per questo noi trascorriamo lunghe ore immobili nella meditazione o recitando preghiere, per trascendere il corpo e sviluppare le facoltà della mente.”

E ogni volta Usui faceva un inchino, ringraziava e andava nel monastero successivo.

Trascorsero mesi e mesi di infruttuose ricerche, tutti sembravano troppo occupati con la mente per interessarsi del corpo, e Usui era molto depresso. Ma non mollava e ogni volta diceva a se stesso che evidentemente doveva esserci un altro posto in cui cercare.

E finalmente incontrò un Tempio Zen, fu accolto con benevolenza, gli fu accordato il permesso di leggere i Sutra e di partecipare alle sedute di meditazione con i monaci. Passarono altri tre anni ed era sempre più chiaro per Usui che le ricerche sarebbero durate ancora molto tempo. Egli comprese che molte trascrizioni erano originariamente scritte in cinese e per leggerle imparò il cinese, poi pensò che Buddha era nato in India e che sicuramente molte delle scritture non erano state ancora tradotte. E fu proprio in quei Sutra scritti nell’antica lingua sanscrita che Usui alla fine trovò la formula. Niente di complicato, semplice e chiara come due più due fa quattro e tre più tre fa sei. Ma la formula era stata scritta 2.500 anni prima. Doveva essere interpretata correttamente. Avrebbe funzionato o lo avrebbe ucciso?

 

Usui parlò con il monaco che dirigeva il monastero Zen: “Andrò sul monte Kuruiyama e mi sottoporrò alla prova per 21 giorni. Digiunerò e mediterò. Arrivato a questo punto non posso tirarmi indietro. Se il ventiduesimo giorno non sarò ritornato, mandate a cercare il mio corpo perché vorrà dire che sono morto.”

E partì. Scelse un luogo vicino a un corso d’acqua, si sedette sotto un grande cedro e iniziò la meditazione. Collocò davanti a sé ventun sassolini, e ogni giorno che passava ne toglieva uno. Egli sapeva che doveva aspettare che accadesse qualcosa, ma non sapeva cosa. E nel frattempo leggeva le scritture, recitava i Sutra, meditava e beveva solo acqua. Stava per sopraggiungere l’alba del ventunesimo giorno, la notte era ancora scura, senza luna, senza stelle. Quella era l’ultima meditazione.

 

Quando aprì gli occhi vide in lontananza una piccola luce tremolante, come la fiamma di una candela. La luce si avvicinava verso di lui, puntando diritta alla fronte. Ne ebbe paura, pensò che era ancora in tempo per evitarla o per chiudere gli occhi, ma sapeva che quella era la prova che stava aspettando e rimase a fissarla. In un attimo la luce lo colpì in mezzo alla fronte e l’impatto fu così forte che Usui cadde all’indietro. Quando cominciò a guardarsi intorno, ancora stordito dal colpo, vide milioni e milioni di sfere di luce agitarsi, muoversi, danzare davanti a lui. Avevano tutti i colori dell’arcobaleno, tutti e sette. Una grande luce apparve davanti a lui e come su uno schermo egli vide passare in lettere dorate ciò che aveva appreso quando leggeva il testo sanscrito. Le parole pulsavano davanti ai suoi occhi come dicendo: “Ricordati, Ricordati. E’ Così. Ricordati”.

 

E Usui non sentiva più dolore, né paura, né fame ne stanchezza e sentì che aveva ricevuto una benedizione, quel giorno. “Ora posso aprire gli occhi e gettare l’ultimo sasso” disse.

 

Si alzò e riprendendo il cammino di ritorno si accorse che le sue gambe erano forti e i piedi stabili, come se avesse pranzato. “Questo è il primo miracolo!” pensò, “Mi sento sazio e riposato”.

Scendendo dalla montagna, inciampò in una roccia e si ferì un dito del piede, l’unghia era staccata, la ferita sanguinava e doleva molto. Istintivamente afferrò il dito con la mano e poco dopo sentì un profondo calore che entrava nella ferita. Il dolore scomparve e il sangue cessò di uscire. “Questo è il secondo miracolo”, pensò. E continuò il cammino.

Dopo un po’ incontrò una locanda e si fermò per riposare e per mangiare qualcosa. La figlia del padrone aveva un terribile mal di denti e da settimane piangeva dal dolore. Usui mise le mani sulle sue guance e in breve il male svanì. La ragazza incredula e felice saltava qua e là ringraziando e dicendo a tutta la famiglia che quello non era un monaco normale, ma che aveva qualcosa di magico nelle sue mani.

Il padrone della locanda per sdebitarsi offrì una abbondante colazione al suo inatteso ospite, non nascondendo il timore che dopo tanti giorni di digiuno potesse arrecargli danno. Dopo essersi saziato Usui pensò che erano accaduti altri due miracoli: la ragazza non aveva più il mal di denti e lui non aveva fatto indigestione!

 

Verso sera fu di ritorno al monastero e come prima cosa voleva vedere il monaco per raccontargli ogni cosa, ma il monaco soffriva di artrite ed era in preda ad un violento attacco di mal di schiena. Usui andò a trovarlo nella sua piccola stanza e mentre raccontava teneva appoggiate le sue mani sulla schiena del povero malato. E disse del digiuno, della lunga attesa, della luce e di come era andata la giornata. Terminato il racconto Usui fece per congedarsi, ma il monaco dopo un attimo di stupore disse: “Il dolore non c’è più, potrò dormire finalmente! Mi sento meravigliosamente e pieno di energia! Così è questo che tu chiami Reiki! Domani parleremo ancora”.

 

E così decisero che il modo migliore per usare il segreto della guarigione era portarlo dove più ce ne era bisogno, ovvero nei sobborghi di Kyoto, nel quartiere dei mendicanti. E infatti Usui vi si stabilì per diversi anni, perfezionando la tecnica della guarigione: scoprì che i giovani guarivano più in fretta, bastavano pochi giorni di trattamento, mentre i più vecchi necessitavano di settimane, a volte mesi di applicazioni di Reiki. Egli lavorava instancabilmente e poco a poco tutti o quasi avevano potuto guarire le loro malattie, recarsi in città, trovare un lavoro e diventare cittadini rispettabili.

 

Ma un brutto giorno, mentre Usui girava per il sobborgo per vedere quanto lavoro restava ancora da fare, incontrò una faccia conosciuta, e poi un’altra e un’altra ancora. Le persone che aveva curato e che avevano cambiato vita stavano ritornando indietro, volevano fare di nuovo i mendicanti. Usui ebbe un violento accesso di collera, vide il lavoro di anni vanificarsi in un attimo e gridava queste parole: “Cosa ho fatto? Cosa ho fatto? Io non ho salvato una sola anima! Dunque avevano ragione che la mente è più importante del corpo. Ho dunque fallito, completamente fallito? Se avessi pensato prima di tutto a guarire il loro spirito e poi il corpo forse non sarebbe andata così”.

 

Ed era davvero deluso e amareggiato e se la prendeva con se stesso. E quando chiese ai mendicanti perché fossero tornati uno rispose: “Chiedere l’elemosina è un mestiere molto più facile di tutti quelli che ho trovato là fuori. E’ più facile trovare qualcosa da mangiare e un posto dove dormire che lavorare tutto il giorno. Fare il mendicante è un buon lavoro, mi riempio la pancia e non devo stressarmi più di tanto

 

” Le ultime parole di Usui furono: “Ingrati, siete avidi e ingrati, volete tutto per voi e non siete disposti a dare nulla in cambio: ecco perché siete di nuovo in mezzo al fango. I mendicanti restano mendicanti, siete solo capaci di chiedere, ma non conoscete gratitudine né generosità. Basta Reiki, basta mendicanti!”

 

Ma gli anni di lavoro nel quartiere non erano stati vani: ora egli sapeva che non bastava guarire il corpo, ma occorreva anche insegnare agli uomini a essere grati per la vita, a essere onesti e generosi, a ringraziare Dio per i doni di ogni giorno.

 

E così nacquero i Princìpi di Reiki: solamente per oggi, non arrabbiarti. Solamente per oggi, non preoccuparti. Terremo conto di tutte le benedizioni e onoreremo i nostri genitori, i nostri insegnanti e i nostri vicini. Onoreremo il cibo, non lo sprecheremo, perché anche il cibo è un dono di Dio. Vivremo onestamente, ci guadagneremo da vivere in modo dignitoso e infine saremo pieni di amore e di compassione verso tutto ciò che ha vita.

 

Usui trascorse il resto della sua vita viaggiando a piedi per tutto il Giappone. Egli andava nei mercati affollati di gente e vagava su e giù con una lampada accesa in mano in pieno giorno. E quando qualcuno gli faceva notare, rispettosamente, poiché era un monaco conosciuto e stimato, che se cercava qualcosa non c’era bisogno di quella luce, perché era giorno e si vedeva benissimo, egli rispondeva: “Quello che sto cercando io non si vede alla luce del sole. Il mondo è pieno di gente triste, chiusa e arrabbiata. Io cerco qualcuno che abbia voglia di far luce nel suo cuore e guarire da ogni sofferenza, e rendere puri e forti la mente, il carattere e il corpo. Se vuoi ascoltare questa lezione, seguimi”.

 

In memoria di Mikao Usui Sensei

 

Da destra verso sinistra
REIHO CHOSO USUI SENSEI KUDOKU NO HI
In Memoria della Benevolenza di Usui Sensei, Fondatore di Reiho (Metodo Spirituale)

 
Nel Tempio Saihoji che si trova nel Distretto Suginami di Tokyo esiste un monumento commemorativo di Usui Sensei, costituito da un monolito di due metri per quattro e collocato vicino alla tomba contenente le ceneri di Usui, della moglie e del figlio.
Contiene iscrizioni firmate dal Signor Ushida che parlano della vita di Mikao Usui e di come i principi di Reiki provengano dagli scritti dell’Imperatore Meiji.
Il memoriale fu costruito pochi mesi dopo la morte di Usui e mantenuto fino ad oggi dalla Usui Shiki Reiki Ryoho Gakkai Giapponese.
Ne riportiamo integralmente il testo:
Ciò che viene conquistato come risultato di profondi studi e ricerche è chiamato Virtù e ciò che viene offerto agli altri attraverso l’insegnamento di sistemi di guarigione si chiama Servizio.
Solo una persona di alti meriti e di grande virtù può essere chiamato Grande Maestro.
Saggi, filosofi e uomini brillanti fondatori di nuove forme di pensiero e di nuove religioni erano tutti così.
Usui Sensei era uno di questi.
 
Usui Sensei sviluppò il metodo per migliorare il corpo e la mente usando l’energia universale.
 
Avendo sentito parlare di lui innumerevoli persone andarono da lui e gli chiesero di insegnargli la grande via del Metodo spirituale e di guarirle.
Il nome con cui veniva comunemente chiamato era Mikao.
 
Era nato nel villaggio di Taniai nel distretto Yamagata della prefettura Gifu.
Il nome dei suoi antenati è Tsunetane Chiba.
Il nome di suo padre era Taneuji, ma veniva chiamato Uzaemon.
Il nome della famiglia della madre era Kawai.
Sensei era nato nel primo anno del periodo Keio, chiamato Keio Gunnen, (1865) il giorno 15 del mese di Agosto.
Egli era uno studete dotato e studioso, le sue capacità erano di gran lunga superiori a quelle dei suoi compagni.
Quando diventò adulto viaggiò molto in Europa, America e China per approfondire le sue conoscenze. Desiderava il successo nella sua vita, ma non lo raggiunse.
Lavorò duro, ma spesso fu colpito dalla disgrazia e dall’indigenza.
Ad ogni modo non si diede mai per vinto e continuò a rafforzare sempre più il suo spirito.
 


 
Un giorno andò sul Monte Kuruyama per sottoporsi a rigorose pratiche spirituali.
All’inizio del 21esimo giorno improvvisamente egli avvertì una grande manifestazione dell’energia universale in corrispondenza della sommità del suo capo.
Raggiunse l’illuminazione e in quel preciso istante comprese il Metodo di Guarigione.
Quando egli prima di tutto lo utilizzò su se stesso, ottenne immediati benefici effetti.
Dopodichè egli lo sperimentò sulla sua famiglia.
Poichè funzionava, decise che sarebbe stato assai più utile condividerlo con gli altri che tenerlo esclusivamente per sè e per i suoi.
Aprì un Centro Reiki ad Harajuku, Aoyama, Tokyo, per insegnare e praticare il Metodo spirituale.
Era l’11esimo anno del periodo Taisho (1922).
Molte persone andarono da lui per chiedere consigli e aiuto e spesso facevano la fila fuori dell’edificio.
Nel Settembre del 12esimo anno del periodo Taisho (1923) ci fu un terribile terremoto.
Ovunque si udivano lamenti dei feriti. Usui provò pena per le persone colpite e portò il Metodo Spirituale nella Città devastata e usò i suoi poteri di guarigione sui sopravvissuti, aiutando molte persone.
Dopodichè il suo Centro divenne troppo piccolo.
Nel Febbraio del 14esimo anno dell’era Taisho (1925) si trasferì in un nuovo Centro a Nakano, nella periferia di Tokyo.
A causa della sua crescente fama veniva spesso invitato in molti posti.
Sensei, accettando gli inviti, si recò a Kure e poi ad Hiroshima e Saga, fino a Fukuyama.
Fu proprio a Fukuyama che si ammalò improvvisamente e morì all’età di 62 anni.
Era il 9 Marzo del 15esimo anno del Periodo Taisho. (1926) 
Sua moglie si chiamava Sadako, della famiglia Suzuki.
Ebbero un figlio e una figlia. Il nome del ragazzo era Fuji e fu lui ad incaricarsi della famiglia dopo la morte del padre.
Sensei era affettuoso, gentile e umile per natura e mai si comportò con ostentazione.
Era fisicamente grande e robusto.
Aveva sempre un sorriso di contentezza.
Di fronte alle avversità sapeva sempre trovare una via d’uscita con pazienza e determinazione.
Aveva molte doti e amava studiare.
Possedeva vaste conoscenze in storia, medicina, psicologia, arte della divinazione, magia, fisiognomica e conosceva le scritture Buddiste.
Il Metodo Spirituale non cura semplicemente le malattie, ma porta equilibrio nel corpo e nello spirito, stimola le innate capacità di autoguarigione dell’organismo e aiuta a raggiungere la felicità.
E così, quando insegnava, prima di tutto faceva imparare agli studenti i Precetti dell’Imperatore Meiji:
 

Primo: Per oggi non ti arrabbiare

Secondo:Per oggi non ti preoccupare

Terzo: Sii grato

Quarto: Lavora con impegno

Quinto: Sii gentile verso gli altri.

 

Questi sono davvero grandi insegnamenti per la crescita personale e richiedono disciplina e saggezza per essere applicati degnamente nella vita di ogni giorno.
Sensei chiamò questi insegnamenti:”Il Metodo Segreto per Invitare la Felicità” e “La Medicina Spirituale per Guarire Ogni Malattia
 
 
DA: la citta’ della luce di Carmignani      Grazie maestro usui, grazie di cuore per il reiki!  SCUOLADIREIKI  WWW.SPAZIOSACRO.IT

 

 

OSHO, IL MAESTRO “OCEANICO”

 

 

 

I SUOI LIBRI MI HANNO APERTO UN MONDO E ALL’INIZIO NE ERO STRAVOLTA, INTONTITA, QUASI “ANNIENTATA”

UN URAGANO SI ERA ABBATTUTO SU DI ME

 

HO DOVUTO DISTOGLIERMI PER MESI DAI SUOI SCRITTI

 

MA POI  L’HO “RINCONTRATO” E L’HO AMATO GRANDEMENTE E TUTT’ORA E’ COSI’

 

Osho e’ sempre stato contestato, osho non e’ ordine, e’ caos…..ma che caos!

 

OSHO E’ IL MAESTRO CHE EMMANUEL CITA PIU’ SOVENTE E SPESSO LO VEDO CON UN SUO LIBRO IN MANO  (IN REALTA’  I SUOI LIBRI SONO IL FRUTTO DEI SUOI DISCORSI CHE I SUOI SANJASIN RACCOGLIEVANO)

 

GRAZIE MAESTRO, HO SCOPERTO PERCHE’ MI PIACI TANTO:

 

PERCHE’ TU DICI QUELLO CHE IL MIO CUORE GIA’ SENTE E VUOLE. TRA NOI (a parte il libro finale che per me neppure lo riguarda) NON C’E’ DICOTOMIA

 

 

Fare amicizia con alberi, uccelli e…

La scoperta del tuo essere è l’inizio della vita. Allora ogni momento è una nuova scoperta, ogni momento è motivo di gioia; un nuovo mistero si schiude per la prima volta, un amore sconosciuto comincia a sbocciare dentro di te, una compassione mai provata prima d’ora, una nuova sensibilità per la bellezza, per la bontà…
Diventi talmente sensibile che persino un esile filo d’erba acquista per te un’immensa importanza. La tua sensibilità ti fa capire chiaramente che il filo d’erba, per l’esistenza, è importante quanto la stella più grande. Senza quel filo d’erba, l’esistenza sarebbe sminuita. Quel filo d’erba è unico e insostituibile e ha una sua individualità.

Questa tua sensibilità ti farà stringere nuove amicizie: con alberi, uccelli e animali, con le montagne, i fiumi, gli oceani e le stelle. La tua vita si arricchirà sempre più, mentre amore e amicizia fioriranno. [Osho]

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Se ami saprai che tutto inizia e tutto finisce e che c’è un momento per l’inizio e un momento per la fine e questo non crea una ferita. Non rimani ferito, sai che quella stagione è finita. Non ti disperi, riesci a comprendere e ringrazi l’altro: “Mi hai dato tanti bei doni, mi hai donato nuove visioni della vita, hai aperto finestre nuove che non avrei mai scoperto da solo. Adesso è arrivato il momento di separarci, le nostre strade si dividono”. Non con rabbia, non con risentimento, senza lamentele e con infinita gratitudine, con grande amore, con il cuore colmo di riconoscenza. Se sai come amare, saprai come separarti.

Osho

 

GRAZIE OSHO, E’ QUELLO CHE SENTO

 

 

Osho, alla nascita chiamato Chandra Mohan Jain (hindi devanagari: ?????? ???? ???), anche noto come Acharya Rajneesh dagli anni Sessanta in poi e come Bhagwan Shree Rajneesh  (A Kuchwada, 11 dicembre 1931Pune, 19 gennaio 1990),
negli anni Settanta e Ottanta – adottò il nome Osho, che significa per i suoi sannjasin “oceanico”   è stato un filosofo, mistico e maestro spirituale (guru) indiano, che acquisì  un grande seguito internazionale.
I suoi insegnamenti sincretici enfatizzano l’importanza della meditazione, della consapevolezza, dell’amore, della celebrazione, della creatività e dell’umorismo – qualità che egli riteneva soppresse dall’adesione a sistemi di credenze statici, alla tradizione religiosa, al socialismo. Fu un forte critico delle religioni organizzate e dei sistemi di potere ad esse legati e per questo si fece anche molti nemici.
Egli considerava la maggior parte delle credenze religiose come superstizioni che nascondevano la verità sull’illuminazione]. Le sue idee ebbero un notevole impatto sul pensiero New Age occidentale e sulla controcultura ereditata dagli anni sessanta e la loro popolarità è decisamente aumentata dalla sua morte
Osho era un professore di filosofia e viaggiò per l’India negli anni Sessanta del XX secolo come conferenziere. Le sue posizioni contro il socialismo e la religione istituzionale erano considerate controverse. Sosteneva anche una più aperta attitudine verso la sessualità, verso una mente libera da lacci istituzionali
Nel 1970 si stabilì per breve tempo a Mumbai (Bombay). Prese ad iniziare discepoli, noti come neo-sannyasin e assunse il ruolo di maestro spirituale.
Anche se lui sosteneva che nessuno poteva essere veramente iniziato da qualcuno. “solo l’illuminato” sa nel silenzio del suo cuore di esserlo
Nei suoi discorsi reinterpretava gli scritti di tradizioni religiose, mistici e filosofi di tutto il mondo.
Trasferitosi a Pune nel 1974, fondò un’ashram che attrasse un gran numero di occidentali.
L’ashram offriva terapie derivate dallo Human Potential Movement, e apparve sui giornali in India e all’estero, in particolare per i suoi insegnamenti permissivi e provocatori.
Verso la fine degli anni Settanta, vi erano contrasti crescenti col governo e con la società indiane.
Nel 1981 Osho si trasferì negli Stati Uniti e i suoi seguaci fondarono una comune, in seguito nota come Rajneeshpuram, nello stato dell’Oregon. Entro un anno la guida della comune entrò in conflitto con i residenti locali, principalmente riguardo all’uso dei terreni, con episodi di ostilità da ambo le parti.
L’ampia collezione di Rolls-Royce di Osho, donata da alcuni ricchi seguaci, divenne famosa.
Ma i detrattori non avevano capito niente della sua provocatoria dimostrazione del lusso, in realta’ a lui non importava avere alcunche’….tutto era transitorio…..
Osho era provocatorio oltre ogni limite era controverso, tutto e il contrario di tutto…………ma la sua intelligenza, l’acutezza nel conoscere l’animo umano, la capacita’ di sondare il mistero, l’intuizione, erano veramente straordinari…..
La comune di Osho collassò nel 1985, quando Osho in persona rivelò che i dirigenti della comune avevano commesso numerosi gravi crimini,
Osho, pur dicendosi fuori da queste nefandezze, fu arrestato poco dopo e accusato di violazioni della legge sull’immigrazione.
Fu estradato dopo una richiesta di patteggiamento
Ventuno Stati gli negarono l’ingresso, e Osho dovette viaggiare a lungo prima di tornare a Pune, dove morì nel 1990
i suoi sannjasin dicono che fu’ avvelenato.
La sua ashram è oggi l’Osho International Meditation Resort e il suo pensiero continua ancora ad affascinare molte persone
 
Diceva egli di se stesso:

Certo, sono fragile, delicato e sensibile. Questa è la mia forza. Se tiri un sasso a un fiore, al sasso non succede nulla, ma il fiore scompare. Eppure.. non puoi dire che il sasso ha più potere del fiore: il fiore viene annientato, perché era vivo. E al sasso non accade nulla perché è morto.. •Osho …

Diceva dell’amore:

 

Amare significa lasciare all’altro la libertà di essere se stesso in ogni istante del proprio cammino insieme, ed esserne capaci implica aver raggiunto una maturità interiore tale da non temere neanche il venir meno dell’affetto o dell’interesse da parte dell’amato. Amare vuol dire desiderare la gioia del proprio amato senza porre alcuna condizione e senza aspettarsi nulla in cambio. L’amore è una qualità del proprio essere, se la si possiede, ne beneficia indistintamente chiunque ne venga …

 

Ti aspetti qualcosa… e non succede niente. Ti aspetti qualcosa… e accade tutto il contrario: il tuo ego ne rimane sconvolto, cadi nell’infelicità più nera. Limitati ad osservarlo: quando ti senti infelice prova a scoprirne il motivo. Le cause non stanno al di fuori di te. Il motivo fondamentale è dentro di te, ma tu guardi sempre al di fuori, chiedi sempre: chi mi rende così infelice?   …

 

 

OSHO

   A ogni pezzo delle antiche credenze che cade giù come una vecchia e arrugginita armatura,  

diventi sempre più leggero e più capace di celebrare la tua vita liberamente,  

proprio in questo momento, stai puntando a un incontro diretto con la verità.  

Meno bagaglio hai e più facile è che accada.

 

Se tutto quel che hai vissuto può essere espresso in parole, non hai vissuto nulla. Quando ti succede qualcosa che è al di là delle parole, solo allora cominci a vivere, solo allora la vita bussa alla tua porta. •Osho Rajneesh

 

Di osho non diro’ altro se non qualche suo pensiero non si puo’ concentrare tutto quello che ha detto….ci sono 169 libri…..se vi va leggetene qualcuno…..:

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A tutti noi viene insegnato ad essere colti, non ad essere innocenti o a percepire la meraviglia dell’esistenza; ci vengono insegnati i nomi dei fiori; degli alberi e non come entrare in comunicazione con loro, in sintonia con l’esistenza. L’esistenza è un mistero e non è accessibile a coloro che vogliono sempre analizzare, selezionare, ma solo a coloro che sono disposti ad innamorarsene, a danzare con lei.

L’amore non è ciò che si intende di solito. L’amore comune non è che una finzione; dietro di esso si nasconde dell’altro. L’amore autentico è un fenomeno totalmente diverso: non è un pretendere, bensì un condividere; non conosce il chiedere, ma la gioia del dare.

Non ti chiedo di credere negli altri. Quello è solo il risultato di una mancanza di fiducia in se stessi.

L’uomo di mondo fugge da se stesso mentre il ricercatore fugge in se stesso per trovare la sorgente della vita, della consapevolezza.
E quando scopre la sorgente della vita, egli non ha scoperto solo la fonte della propria vita, egli ha scoperto la fonte della vita dell’universo, del cosmo intero.

Qualunque cosa distrugga la libertà non è amore. Deve trattarsi di altro, perché amore e libertà vanno a braccetto, sono due ali dello stesso gabbiano.
Ogni volta che vedi il tuo amore in conflitto con la tua libertà, significa che stai facendo qualcos’altro in nome dell’amore.

La felicità è un affiorare interiore; è un risveglio delle tue energie; è un risveglio della tua anima.

Accumulare avvelena il cuore. Ogni cosa accumulata è velenosa.
Se condividi, il tuo organismo sarà libero da veleni.
E quando dai, non preoccuparti che il tuo dare sia o non sia corrisposto.
Non aspettare neppure un grazie.
Sentiti riconoscente verso la persona che ti ha permesso di condividere ciò che avevi…non aspettarti nulla; non dire, in cuor tuo, che quella persona dovrebbe esserti riconoscente,
perché tu hai condiviso qualcosa con lei… no, sentiti tu riconoscente, perché l’altro è stato disposto ad ascoltarti, a condividere con te un’energia: ha accettato di ascoltare il tuo canto; era disponibile a guardare la tua danza; non ti ha respinto, quando sei giunto con il tuo dono…avrebbe potuto farlo.

Non c’è bisogno di correre. Non importa cosa succede intorno a te, mantieni un passo pacato che ti permetta di rimanere in sintonia con la brezza gentile della meditazione.
E appena te ne dimentichi, ritorna in quello spazio, semplicemente e senza sentirti in colpa. Sii la quiete nella tempesta.

L’opposto dell’amore è il falso-amore: un amore che finge di essere tale, e non lo è.

Non sei qui per vivere la vita di qualcun altro; puoi solo vivere un’unica vita, la tua!
Tu puoi essere solo te stesso… e non esiste qualcun altro che possa essere te!

Accetta la tristezza, dalle il benvenuto, lascia che sia un ospite beneaccetto.
E osservala con attenzione in profondità, con amore, con attenzione.
Sii un vero anfitrione! E rimarrai sorpreso, sorpreso al di là di qualsiasi aspettativa, perché vedrai che la tristezza possiede alcune bellezze che la felicità non potrà mai avere.
La tristezza ha profondità, mentre la felicità è sempre superficiale. La tristezza ha lacrime, e le lacrime scendono a profondità maggiori di qualsiasi risata. La tristezza ha un silenzio proprio, una melodia che la felicità non potrà mai avere.
Non si tratta di scegliere la tristezza ma di godere anche di essa….

Puoi amare solo quando sei felice dentro di te.
L’amore non può venir aggiunto dall’esterno. Non è un indumento che puoi indossare.

Io concepisco un mondo senza povertà, senza classi, senza nazioni, senza religioni, senza alcun tipo di discriminazione.
Io concepisco un mondo unito, un’umanità unita, un’umanità che condivide ogni cosa materiale e spirituale, una profonda fratellanza spirituale.

La vita non è un pugno chiuso: è una mano aperta pronta ad offrire i suoi segreti a chiunque sia pronto, ricettivo e disponibile a riceverli.

Comprendi la Paura, non tentare di liberartene. Accettala come parte del tuo essere. Se riesci ad accettarla è già scomparsa.

Solo colui che ha abbandonato ogni credo si trova sul sentiero della verità. Altrimenti chi ha pregiudizi, ed un certo credo stabilito non può rivendicare alcuna verità. I credo sono una creazione della mente dell’uomo. La verità non conosce scissioni, pertanto colui che è libero da pregiudizi, ed è imparziale, diviene il detentore del vero, essendone padrone.

L’amore non è un bisogno, ma un traboccare… L’amore è un lusso. È abbondanza. Significa possedere così tanta vita che non sai più cosa farne, quindi la condividi. Significa avere nel cuore infinite melodie da cantare; che qualcuno ascolti o no è irrilevante. Anche se nessuno ascolta, devi comunque cantare, devi danzare la tua danza.

 

 

GURU ARJAN- IL GURU DELLO SPAZIOSACRO

 

 

 

Arjan fu’ il terzo figlio di Guru Ram Das. Venne al mondo il 15 di aprile il 1563 a Goindwal.

Un poeta per eccellenza,un filosofo per suo diritto,un costruttore e un grande organizzatore.

 

Fu’ anche il primo martire della storia dei Sikk.   Questo fu’ Guru Arjan.

 

Anche nei primi anni evidenzio’ segni di grande promessa, fedele nei suoi ideali e possessore di una mente bilanciata verso i suoi detrattori, uno dei quali era suo fratello maggiore,Prithi Chand,che fece di tutto per fargli del male per usurpargli il trono, eppure  fu’ ripagato con nient’altro che  perdono e carita’, 

 

L’altro fratello di Guru Arjan,  Mahadev,era un recluso e pertanto incapace a succedere al padre.

Seppure i Sikhs si mantennero per Guru Arjan mandandogli offerte sia da vicino che da lontano, queste erano intercettate da Prithi Chand, quindi niente arrivava al Guru, anche se  lui e la cucina comunitaria dipendevano solo dalle offerte dei fedeli.

Ma segretamente le offerte arrivarono a lui ed Nel Cuore della citta’ di Amritsar, Guru Arjan fece costruire un Gurdwara, popolarmente consciuto ora come “TEMPIO D”’ORO” aperto ai quattro lati per significare che era aperto a tutte le quattro caste e a genti di tutte le parti del mondo.

 

 

AMRITSAR,TEMPIO D’ORO INDIA

Si dice,che chiese al santo Mussulmano Sufi, Mian Mir, di posare la prima pietra.

 

Dopo il Guru eresse due citta’,una di nome Taran Taran e l’altra Kartarpur nel distretto di Jullandar rispettivamente.

 

Intorno ai Gurdwara di queste citta’il Guru fece costruire due grandi laghi perche’ la gente potesse bagnarsi e tenersi meticolosamente puliti.

Quando nel 1595 Guru Arjan divenne padre di un figlio, Prithi Chand, IL FRATELLO, che sperava che il Guru essendo senza figli,passasse a lui IL TRONO o a suo figlio,

questi comincio’ a premeditare un vile intrigo.

 

Prima provo’ ad’avvelenare il figlio del Guru, pero’ una volta che il suo piano falli’,egli si associo’ con il governatore mussulmano di Jullandar Sulhi Khan e lo incito’ ad’attaccarlo.

 

Pero’ Sulhi mori’ nelle piu’ tragiche circostanze.

 

In un momento di tregua il Guru si adagio’ ad’una vita di pace e compilo’ il Guru Granth Sahib. Il Libro Sacro dei Sikk

 

Egli aveva gia’ dato ai suoi Sikh un posto centrale di preghiera,ossia il Darbar Sahib “la Corte del Signore” che come gia’ detto viene riferito oggi come il “Tempio d”Oro” e

 

Quindi  organizzo’ la congregazione”Sangat”sotto i missionari”masands”

 

Nel frattempo, Jahangir l’imperatore mogul di Delhi, ascoltando voci che riportavano l’influenza del Guru, non solo fra gli indu’ ma anche fra i mussulmani., e poiche’

 

qualche tempo prima qualcuno aveva indicato all’imperatore Akbar che il Guru aveva compilato un libro dove insultava la fede mussulmana,

 

…. L’imperatore Jahangir  chiese  a Guru Arjan di leggergli il libro quando  gli fece visita a Goindwal nel 1598,

 

e quando fu fatto l’imperatore ne rimase compiaciuto e soddisfatto che il Guru avesse una missione di sintesi e non di conflitto ed esclusivita’.

 

Pero’ l’imperatore Jahangir era fatto di un’altro tessuto e chiese al Guru di cambiare il testo del Granth,includendo le lodi del profeta Mohamed, maometto, ma in questo caso il Guru rifiuto’,

 

nel frattempo in quei giorni il figlio dell’imperatore Jahagir si ribello’ contro il padre,e scappo’ in direzione di Kabul, e durante il viaggio si fermo’ al Darbar “Corte del Guru”e come era costume in quelle occasioni,chiese la sua benedizione.

 

Fu’ riferito all’imperatore che il Guru aveva assistito  suo figlio con denaro e gli aveva imposto un marchio fatto con lo zafferano sulla fronte”Tilak”e dato la sua benedizione per la lotta contro l’imperatore stesso.

 

(E’ da premettere qui’ che il segno del “tilak”si applicava sulla fronte all’incoronamento di un imperatore o un Guru Sikh)

Tutto questo era naturalmente falso, pero’Jahangir credette a queste storie e  allo stesso tempo , poiche’ segretamente aveva  sempre desiderato eliminare questa persona la cui autorita’ continuava a crescere

ne  ordino’ l’immediato arresto e la confisca di tutte le sue proprieta’

 

Guru Arjan fu’ affidato nelle mani del governatore di Lahore, Murtaza Khan e torturato a morte.

 

Fu’ fatto sedere su una piastra incandescente,docciato con acqua bollente e docciato con sabbia incandescente.

un santo sufi, suo amico, lo visito’ e gli disse che se lui accettava di cambiare il Granth,le sue torture sarebbero terminate.

 

GURU ARJAN invece ringrazio’ i suoi torturatori

 

mettendo in risalto il ringraziamento per loro che gli “ avevano provveduto  un posto cosi’ agiato per la sua meditazione”   (la piastra incandescente!).

 

Infatti , Dopo aver nominato suo figlio Har Gobind come suo successore,

 

mori cantando  WAHE GURU dopo 5 giorni e 5 notti di tortura !

 

Guru ji fu’ portato al fiume Ravi il 30 maggio del 1606 per un bagno.

 

Il suo corpo straziato dalle piaghe si dissolse nelle acque del fiume.

 

Cosi’ fu’ il primo martire della storia SIKK.

 

.

 

Jiddu Krishnamurti

Verso la liberazione interiore

 

 

“Dove c’è conformismo, non può fiorire la bontà. Abbiamo assoluto

bisogno di libertà; ma la libertà può esserci solo quando capite fino in fondo e

nella sua interezza il problema dell’invidia, dell’avidità, dell’ambizione, del

desiderio di potere. È solo la libertà da tutto questo che farà sbocciare quella

cosa straordinaria che chiamiamo carattere. Un uomo libero ha in se la

compassione e sa che cos’è l’amore, non l’uomo che parla di moralità, usando

ripetutamente parole vuote.”

 

…..“L’amore e l’elemento più pericoloso che esista; porta con sé una totale

incertezza e siccome noi non vogliamo vivere nell’incertezza, siccome non

vogliamo sentirci in pericolo, viviamo nella mente e non nel cuore. L’essere

umano che ama è pericoloso e noi non vogliamo vivere pericolosamente;

vogliamo l’efficienza, vogliamo sentirci protetti

Ma nessuna organizzazione ha mai portato, né porterà mai, l’ordine e la pace

nel mondo. Alla fine, e quindi ora, chi può portare ordine e pace sono soltanto

l’amore, la buona volontà, la compassione”……

 

….”Noi non siamo integri. Siamo il prodotto di un’infinità di influenze, di

migliaia di condizionamenti, di deformazioni psicologiche; siamo il frutto della

propaganda e della cultura. Noi non siamo integri e quindi siamo esseri di

seconda mano. Quella solitudine che è assoluta integrità implica il non

appartenere ad una famiglia, per quanto si possa avere una famiglia, il non

appartenere ad una nazione, ad una cultura, il non dipendere da

un’occupazione particolare. Significa avere la sensazione di essere degli

estranei, estranei ad una nazione, ad una famiglia e ai loro modi di pensare e

di agire. In quella solitudine che è integrità c’è innocenza, un’innocenza che

libera la mente dal dolore….”

 

(krishnamurti)

.

 

Krishnamurti cominciò a parlare indipendentemente da qualsiasi

organizzazione nel 1929. I suoi discorsi rivelavano un’autorevole originalità,

come ebbe modo di sottolineare Aldous Huxley. La sua esplorazione della

natura della verità e della libertà, portata instancabilmente avanti nei suoi

discorsi e nei suoi dialoghi, avrebbe raggiunto milioni di persone. I suoi discorsi

sono stati tradotti in più di quaranta lingue diverse.

 

Krishnamurti, pur essendo timido e riservato, tenne migliaia di discorsi

senza mai aver bisogno di ricorrere ad appunti o a note di qualsiasi tipo.

 

Fondamentalmente, ha sempre sviluppato un unico tema: la verità può essere

scoperta da ognuno di noi, senza l’intermediazione di alcuna autorità. E questa

scoperta può essere fatta istantaneamente, perché la vita è in ogni istante.

 

I suoi discorsi hanno costantemente affrontato il conflitto, sia a livello

personale che a livello sociale. Osservando i nostri comportamenti conflittuali,

tanto nell’ambito personale che in quello sociale, si impone come necessaria

un’azione che sia in grado di trasformare noi stessi e la società in cui viviamo.

 

Durante uno dei suoi discorsi, gli fu chiesto perché egli parlasse e che

cosa si proponeva di ottenere.

Ed egli rispose: “Ho qualcosa da dirvi. Forse

posso indicarvi Il modo di scoprire la realtà. Ma non intendo proporvi un

metodo, un sistema. Se voi poteste scoprirla per conto vostro, non ci sarebbe

bisogno di qualcuno che venisse aparlarvi, ma tutti insieme ne discuteremmo

ed esprimeremmo la realtà nella vita che viviamo…

 

La verità non si può accumulare da qualche parte. Qualunque cosa si

accumuli, andrà inevitabilmente distrutta, dovrà scomparire. E la verità non

potrà mai andare distrutta; la si può scoprire, momento per momento, in ogni

pensiero, in ogni relazione, in ogni parola, in ogni gesto, nel sorriso o nel

pianto. Se voi ed io potessimo scoprirla e viverla – e la vera vita consiste

proprio nella scoperta della verità – non diventeremmo certo dei propagandisti,

ma saremmo degli esseri umani creativi; non esseri umani perfetti, ma esseri

umani creativi, che è una cosa completamente diversa.

 

Credo sia per questo che parlo e forse e per questo che voi siete qui ad

ascoltare. C’è un solo problema: non esiste alcuna risposta, perché un

problema può dissolversi solo quando siamo capaci di comprenderlo”.

 

Spesso Krishnamurti, quando gli veniva rivolta una domanda, non

rispondeva immediatamente, ma preferiva affrontare la questione ampliando e

approfondendo l’indagine. Nell’approfondire un problema egli trovava alimento

per la sua indagine, che smetteva di essere la semplice ricerca intellettuale di

una risposta, corretta da un punto di vista logico. I brani presentati in questo

libro invitano il lettore ad un’indagine approfondità e non alla ricerca di una

risposta immediata.

 

Un’infinità di volte Krishnamurti, nei suoi discorsi e nei suoi dialoghi, ha

sottolineato il fatto che a lui non interessavano speculazioni intellettuali.“Lo

scopo di questi discorsi – diceva – è di comunicare tra noi e non di imporvi

determinate idee. Le idee non cambieranno mai la mente; non sono

assolutamente in grado di trasformarla radicalmente. Ma se potessimo

comunicare tra noi, essendo nello stesso istante allo stesso livello, allora forse

potrebbe esserci una comprensione che non c’entra nulla con la propaganda…

Questi discorsi non hanno assolutamente lo scopo di convincervi di qualcosa,

né in maniera evidente, né in maniera sottile”.

Nei suoi discorsi in pubblico, capitava spesso che, riferendosi all’umanità

intera, Krishnamurti usasse termini generali come “il genere umano” oppure

“l’uomo”; nella seconda parte della sua vita, dopo aver usato uno di questi

termini, spesso si interrompeva e diceva al suo pubblico: “Vi prego, quando mi

riferisco all’uomo, includo naturalmente anche le donne, perciò non guardatemi

male”.

Egli parlava con straordinaria semplicità; non ricorreva a parole speciali,

né usava la terminologia dei guru o di quegli insegnanti religiosi legati ad una

setta o ad un’organizzazione particolare. Tra il 1930 e il 1986, anno della sua

morte, ha parlato a un pubblico sempre più numeroso, in Europa, nell’America

del Nord, nell’America del Sud, in Australia, in India.

 

SUOI PENSIERI

 

Lo scopo della vita

Sono molte le persone disposte a dirvi quale sia lo scopo della vita; vi

ripeteranno quello che dicono i libri sacri. Poi ci sono i furbi, che vi proporranno

lo scopo che loro stessi si sono inventati. I partiti politici hanno un loro scopo, i

vari gruppi religiosi ne hanno un altro e così via. Ma quale può essere lo scopo

della vita, quando voi stessi siete immersi nella confusione?

Se sono confuso, mi rivolgo a voi per chiedervi qual è lo scopo della vita,

perché spero di ottenere una risposta che mi faccia uscire dal mio stato di

confusione. Ma come posso avere la risposta giusta finché continuo ad essere

confuso? Capite? Se sono confuso, anche la risposta che riceverò sarà confusa.

Se la mia mente è confusa, turbata, se non è calma, se non è bella, qualsiasi

risposta mi venga data subirà gli effetti della mia confusione, della mia

angoscia, della mia paura, e quindi verrà deformata.

Allora quello che importa non è chiedere: “Qual è lo scopo della vita?

Qual è lo scopo dell’esistenza?”, ma dissipare la confusione che è in voi. È

come se un cieco chiedesse: “Che cos’è la luce?”. Qualunque cosa io gli dicessi,

la interpreterebbe ascoltando dalla sua cecità, dalla sua oscurità. Ma supponete

che all’improvviso possa vedere; non chiederebbe mai più che cos’è la luce. La

luce è lì. Analogamente, se poteste dissipare la confusione che è in voi,

scoprireste qual è lo scopo della vita; non dovreste più chiederlo a nessuno,

non dovreste andare a cercarlo da nessuna parte. Tutto quello che dovete fare

è liberarvi da ogni cosa che genera confusione.

 

Entrare in contatto con la morte

Abbiamo paura di morire. Per mettere fine alla paura della morte

dobbiamo entrare in contatto non con l’immagine della morte creata dal

pensiero, ma con quello stato che appartiene effettivamente alla morte.

 

Dobbiamo effettivamente provare a sentire questo stato, altrimenti la paura

della morte non finirà mai, perché la stessa parola “morte” genera paura e noi

preferiamo non pronunciarla nemmeno.

Ma è possibile entrare in contatto con

il fatto della morte pur essendo persone sane, normali, capaci di osservare e di

ragionare con chiarezza, di pensare con obiettività? Col passare del tempo

l’organismo si consuma, le malattie lo debilitano e alla fine muore.

Ma ora, se

siamo ancora persone sane, vogliamo scoprire che cosa significa morire. Non si

tratta di un desiderio morboso; forse, scoprendo che cos’è la morte capiremo

anche che cos’è la vita. La vita per noi ora è una tortura, una confusione senza

fine, una contraddizione continua; viviamo nel conflitto, nella sofferenza, nel

disordine. Andiamo in ufficio giorno dopo giorno provando sempre gli stessi

piaceri, gli stessi dolori, le stesse ansie, le stesse incertezze. Andiamo avanti a

tentoni: è questo che chiamiamo vivere. Ormai ci siamo abituati, lo accettiamo

e vivendo così invecchiamo e moriamo.

Per scoprire che cosa significa vivere e che cosa significa morire bisogna

entrare in contatto con la morte; questo significa che dobbiamo porre fine ogni

giorno a tutto quello che abbiamo conosciuto. Dobbiamo porre fine

all’immagine che abbiamo di noi stessi, della nostra famiglia, delle nostre

relazioni. È un’immagine costruita dai nostri piaceri e dalle relazioni che ci

legano alla società e a qualunque altra cosa. Questa immagine scompare

definitivamente nel momento in cui sopraggiunge la morte.

 

La paura della morte

Perché avete paura della morte? Forse perché non sapete vivere? Se

sapeste che cosa significa vivere in tutta la sua pienezza, avreste paura della

morte? Se amaste gli alberi, il tramonto, gli uccelli, la foglia che si e staccata

dal ramo; se vi rendeste conto della povera gente, delle lacrime versate da

tanti uomini e da tante donne, se veramente ci fosse amore nel vostro cuore,

avreste paura della morte?

Non lasciatevi convincere da me, pensiamoci insieme. Non c’è gioia nella

vostra vita, non siete felici, la vostra sensibilità non è viva a tutto quello che vi

circonda. Per questo voi venite a chiedere che cosa vi succederà quando

morirete. Vivere per voi significa soffrire ed e per questo che vi interessate alla

morte. Credete che forse troverete la felicità quando morirete. Questo e un

problema enorme e non so se volete veramente affrontarlo. Alla base di tutto

questo c’è la paura, la paura di morire, la paura di vivere, la paura di soffrire.

Se non capite che cosa genera la paura e se non siete capaci di liberarvene,

non ha molta importanza che viviate o che moriate.

 

Ho paura

Ora mi interessa indagare come si fa a liberarsi dalla paura del

conosciuto, cioè dalla paura di perdere la mia famiglia, la mia reputazione, le

mie qualità, il mio conto in banca, i miei desideri e così via. Potete dire che la

paura nasce nella coscienza, ma la vostra coscienza è costituita dai vostri

condizionamenti; quindi è un prodotto del conosciuto. Che cosa conosco?

Conoscenza significa farsi delle idee, avere delle opinioni su questa o

quella cosa, provare un senso di continuità nell’ambito di quello che

conosciamo…

C’è la paura del dolore. Il dolore fisico è una reazione nervosa, mentre la

sofferenza psicologica sorge quando mi attacco a qualcosa che mi soddisfa e

che ho paura di perdere; ho paura che venga qualcuno a portarmi via quello a

cui sono attaccato. Fin che accumulo acquisizioni psicologiche di vario tipo

senza particolari disturbi, sono al riparo dalla sofferenza psicologica. Questo

significa che io sono un cumulo di acquisizioni, di esperienze che fungono da

elementi protettivi tesi a impedire qualsiasi serio disturbo; io, infatti, non

intendo essere disturbato. Così ho paura di chiunque minacci queste protezioni.

Quindi la mia paura proviene dal conosciuto ed e connessa a tutte quelle

acquisizioni fisiche o psicologiche che mi servono per proteggermi dal dolore e

mi consentono di non soffrire.

Anche la conoscenza consente di evitare il dolore. Come la conoscenza

medica consente di evitare la sofferenza fisica, così le nostre fedi ci consentono

di evitare la sofferenza psicologica. È questo il motivo per cui ho paura di

perdere quello in cui credo, anche se non so bene che cosa sia quello in cui

credo, perché non ho alcuna prova concreta della sua realtà.

.

Soltanto quello che muore può rinnovarsi

Quando parliamo di un’entità spirituale, intendiamo qualcosa che non

rientra nel campo della mente. Questo è ovvio. Ora, l’io è un’entità spirituale?

Se lo fosse, dovrebbe essere al di là del tempo, quindi non potrebbe né

rinascere né continuare. Il pensiero non può andare al di là della mente,

perché si svolge nel tempo e si basa sul passato. Il pensiero è un movimento

continuo, è la reazione del passato; quindi fondamentalmente è un prodotto

del tempo. L’io che il pensiero può prendere in considerazione fa parte del

tempo, non può essere libero e quindi non ha nulla di spirituale. Questo è

evidente. L’ “io” è solo un processo di pensiero e voi vorreste sapere se questo

processo di pensiero, continuando anche dopo la scomparsa del corpo fisico,

tornerà a nascere, si reincarnerà in una forma fisica.

 

Approfondiamo ancora un po’ la questione. Quello che ha una continuità

potrà mai scoprire la realtà, che è al di là del tempo e della misura? Quell’io,

che è un’entità legato ad un processo di pensiero, potrà mai rinnovarsi? Se non

può farlo, vuol dire che il pensiero deve necessariamente finire. Quello che

continua non è fondamentalmente distruttivo? Tutto quel che ha una continuità

non potrà mai rinnovarsi. Fin che il pensiero continuerà, alimentandosi di

ricordi, di desideri, di esperienze, non potrà mai rinnovarsi; quindi, proprio a

causa della sua continuità, non potrà conoscere la realtà. Potete anche

rinascere mille volte, ma non toccherete il male, non conoscerete la realtà,

perché solo quello che muore, solo quello che finisce può rinnovarsi.

.

Morire senza discutere

Sapete che cosa significa venire in contatto con la morte? Morire senza

discutere? La morte, quando viene, non si mette certo a discutere con voi. Per

incontrarla dovete morire ogni giorno alla vostra angoscia, alla vostra

solitudine, alle vostre relazioni alle quali siete tanto attaccati; dovete morire ai

vostri pensieri, alle vostre abitudini, a vostra moglie, perché solo così potrete

vedere vostra moglie per la prima volta; dovete morire alla società, perché

solo così potrete sentirvi come esseri umani nuovi, freschi, giovani, capaci di

guardare tutto ciò che li encomia. Ma non potete incontrare la morte se non

morite ogni giorno. Solo quando morite c’è amore.

Una mente impaurita è incapace di amore; ha le sue abitudini, le sue

simpatie, si sforza di essere gentile; ma tutto questo rimane in superficie. La

paura genera dolore e il dolore è tempo e pensiero.

Per porre fine al dolore dovete entrare in contatto con la morte mentre

siete vivi; dovete morire al vostro nome, alla vostra casa, alle vostre proprietà,

alla vostra causa. Solo così troverete la freschezza, la giovinezza, la chiarezza

che vi consentono di vedere le cose come sono, senza la minima distorsione. È

questo che accadrà quando morirete.

Ma noi abbiamo circoscritto la morte ad un fatto fisico. Sappiamo molto

bene che l’organismo prima o poi smetterà di funzionare e arriverà la sua fine.

 

È una cosa logica. Quindi ci inventiamo una vita che vada oltre le angosce

quotidiane, la nostra insensibilità, la montagna di problemi che ci siamo creati,

la stupidità dell’esistenza che abbiamo accettato. Quello che vorremmo

continuasse a vivere lo chiamiamo “anima” e diciamo che è la cosa piu sacra

che esiste, che è parte del divino; ma tutto questo fa ancora parte del vostro

pensiero e quindi non ha nulla a che fare con la divinità. È questa la vostra

vita!

Così bisogna vivere ogni giorno rimanendo accanto alla morte, perché

solo così siete in contatto con la vita.

.

 

Nella morte c’è l’’immortalità

Nella fine c’e rinnovamento. Solo la morte può consentire di esistere a

qualcosa di nuovo. Non è mia intenzione cercare di consolarvi, non vi sto

dicendo qualcosa a cui dobbiate credere o che dobbiate accettare

intellettualmente, perché ve ne servireste per trovare consolazione, come fate

con la vostra fede nella reincarnazione o nella continuità della vita dopo la

morte. Il fatto è che quel che continua non può rinascere, non può rinnovarsi.

Solo morendo ogni giorno è possibile rinnovarsi e rinascere. È questa

l’immortalità. Nella morte c’è l’immortalità, non nella morte che voi temete

tanto, ma nella morte di tutte le conclusioni a cui siete arrivati, dei ricordi,

delle esperienze con cui vi siete identificati. Il vostro ego è frutto di queste

identificazioni. Nella morte dell’ego, minuto per minuto, c’è l’eternità

c’è

l’immortalità, c’è qualcosa che bisogna sperimentare. Non serve a nulla

parlarne, discuterne, proprio come fate a proposito della reincarnazione e di

cose del genere.

Quando smettete di avere paura perché ogni minuto porta con sé la sua

fine e quindi un rinnovamento, allora vi aprite all’ignoto. La realtà non è

qualcosa che si possa conoscere e anche la morte è qualcosa che non si può

conoscere. Dire che la morte è bella, che è meravigliosa perché continueremo

ad esistere nell’aldilà, non ha alcun fondamento. Realtà significa vedere la

morte per quello che è, una fine, una fine nella quale c’è rinnovamento,

rinascita e non una continuità. Tutto ciò che continua decade, mentre solo

quello che ha il potere di rinnovarsi è eterno.

.

 

La reincarnazione e’ fondamentalmente egoistica

 

Voi vorreste che io vi dessi per certo che tornerete a vivere un’altra vita.

Ma una cosa del genere non ha nulla a che fare né con la felicità, né con la

saggezza. Considerare la reincarnazione come un mezzo per raggiungere

l’immortalità è un processo fondamentalmente egoistico e quindi falso. La

vostra ricerca dell’immortalità e solo un altro aspetto del desiderio di dare

continuità alle vostre reazioni di autodifesa che vanno contro la vita, contro

l’intelligenza. Questo vostro desiderio vi può solo condurre a vivere

nell’illusione.

Allora quello che importa non è credere se la reincarnazione esista o

meno, ma trovare la propria completa realizzazione nel presente. E potrete

farlo solo quando la vostra mente e il vostro cuore avranno smesso di

proteggersi nei confronti della vita. La mente e astuta e sottile nel trovare

modi per difendersi e deve rendersi direttamente conto della natura illusoria

delle protezioni dietro cui vorrebbe trincerarsi. Questo significa che il vostro

pensiero e le vostre azioni devono costantemente rinnovarsi. Dovete liberarvi

dalla rete dei falsi valori che l’ambiente vi impone. Deve esserci una nudità

completa, assoluta. Allora c’è l’immortalità, c’è la realtà.

.

 

Che cos’è la reincarnazione?

Vediamo di scoprire che cosa si intende per reincarnazione, vediamone la

verità; lasciate perdere quello che vi piace leggere, quello che avete sentito

dire o quello che il vostro maestro vi ha insegnato. Di certo è la verità che

libera, non le vostre conclusioni, le vostre opinioni…

Quando dite: “Io rinascerò”, dovete sapere che cos’è questo “io”. È

un’entità spirituale? È qualcosa che possiede una sua continuità? È qualcosa

che non dipende dai ricordi, dall’esperienza, dalla conoscenza? O l’io è

un’entità spirituale oppure è semplicemente un processo di pensiero. O è

qualcosa che non ha nulla a che fare col tempo, che possiamo definire

spirituale e che non può essere misurato in termini di tempo, oppure è qualcosa

che rimane circoscritto nel campo della memoria, del pensiero, del tempo. Non

ci sono altre possibilità.

 

Ora, vediamo di scoprire se questo “io” è al di là del tempo, se è

qualcosa di incommensurabile. Spero che stiate seguendo quanto stiamo

dicendo. Vediamo di scoprire se l’io, nella sua essenza, è qualcosa di spirituale.

 

Col termine “spirituale” intendiamo qualcosa che non possa essere

condizionato da nulla, qualcosa che non sia una proiezione della mente umana

– e quindi non rientra nel campo del pensiero – qualcosa che non muore.

 

Un’entità spirituale è al di là della mente, che non fa parte del campo in cui

opera il pensiero. Ora, l’anima e un’entità spirituale? Se lo fosse, dovrebbe

essere al di là del tempo e quindi non potrebbe essere qualcosa che rinasce o

che continua. Tutto ciò che continua non potrà mai rinnovarsi. Finché il

pensiero continuerà, alimentato dai ricordi, dal desiderio, dall’esperienza, non

conoscerà alcun rinnovamento. ciò che continua non può conoscere la realtà.

.

Esiste l’anima?

Per comprendere il problema della morte dobbiamo essere liberi dalla

paura, che si inventa ogni genere di teorie sull’al di là, sull’immortalità, sulla

reincarnazione. In Oriente affermano che la reincarnazione esiste, che

torneremo a rinascere e che in questo processo si produce un costante

rinnovamento di quel qualcosa che viene chiamato “anima”. Ora, vi prego,

ascoltate attentamente.

Esiste qualcosa che possiamo chiamare “anima”? Crediamo che esista, ci

fa piacere crederlo: l’anima è qualcosa che consideriamo al di là del pensiero,

al di là delle parole, al di là di tutto; è qualcosa di eterno, di spirituale, che non

morirà mai. Il pensiero si aggrappa ad un’idea del genere, ma esiste davvero

una cosa simile? Esiste davvero un’anima che sia al di là del tempo, al di là del

pensiero, che non sia un concetto inventato dall’uomo?

Esiste un’anima che

trascenda la natura umana, che non sia l’invenzione di una mente astuta?

La mente vede in quale enorme incertezza, in quale confusione viviamo;

non c’è nulla che permanga nella vita, proprio nulla. Le vostre relazioni, vostra

moglie, vostro marito, il vostro lavoro, niente di tutto questo è permanente.

Così la mente si inventa qualcosa di eterno, che chiama “anima”. Ma proprio

perché la mente può pensare a una cosa del genere, proprio perché il pensiero

può immaginarsi una cosa simile, questa fa ancora parte del tempo. È

evidente. Quello a cui io posso pensare fa parte del mio pensiero. E il mio

pensiero e un prodotto del tempo, dell’esperienza, della conoscenza. Quindi

l’anima rimane circoscritta nei limiti del tempo.

L’idea della continuità di un’anima, che continua a rinascere

indefinitamente, non ha senso; è l’invenzione di una mente impaurita, di una

mente che cerca di continuare ad esistere e che pretende una certezza alla

quale affidare la sua speranza.

.

 

Karma

Karma implica la causa e l’effetto. Un’azione determinata da una causa

produce un effetto. L’azione che scaturisce dal condizionamento produce certi

risultati. Ma causa ed effetto non sono qualcosa di fisso, di statico. L’effetto a

sua volta diventa una causa. Quindi né la causa né l’effetto sono qualcosa di

fisso. L’oggi è il risultato di ieri, è il frutto di ieri sia dal punto di vista

cronologico che da quello psicologico. E l’oggi diventa la causa di domani.

Quindi la causa è l’effetto e l’effetto a sua volta diventa la causa: è un unico

movimento, senza interruzioni.

Né la causa, né l’effetto sono qualcosa di fisso.

Quando causa ed effetto diventano cose fisse, si produce una specializzazione

e la specializzazione implica la morte. Qualsiasi specie, una volta che ha

raggiunto una precisa specializzazione, inevitabilmente scompare.

La grandezza dell’essere umano consiste nel fatto che non può

specializzarsi. può farlo nel campo tecnologico, ma non nella sua intima

struttura. Una ghianda è specializzata: può essere solo quello che è. Ma

l’essere umano non è completamente delimitato. Esiste in lui la possibilità di un

costante rinnovamento. Non è circoscritto nei limiti di una specializzazione.

Se noi consideriamo la causa, lo sfondo, che determina il

condizionamento, scollegati dagli effetti che provocano, il pensiero entrerà

inevitabilmente in conflitto con lo sfondo, con la causa. Il problema è

estremamente complesso e non si risolve col credere o non credere nella

reincarnazione. Il problema riguarda il vostro modo di agire e non ha molta

importanza che crediate o meno nella rein carnazione o nel karma. È del tutto

irrilevante in che cosa crediate.

 

L’azione basata su un’idea

Un’azione che è un susseguirsi di cause e di effetti, che cosa ha a che

fare con la libertà? Ho fatto qualcosa in passato, ho avuto delle esperienze:

queste, evidentemente, condizionano le mie reazioni odierne e le mie reazioni

di oggi condizionano il mio domani. Questo è il processo del karma, la catena

delle cause e degli effetti. E sebbene questo processo possa avere a che fare

temporaneamente col piacere, alla fine porta inevitabilmente con sé il dolore.

 

Il punto cruciale della questione è: il pensiero può essere libero? Un

pensiero, un’azione che siano liberi non producono sofferenza, non generano

altro condizionamento. Questo è il punto fondamentale dell’intera questione.

Allora, esiste un’azione che non sia collegata al passato? Può esistere

un’azione che non si basi su un’idea? Un’idea rappresenta la continuità; è la

continuazione di ieri, che si modifica assumendo la forma di oggi e condiziona

inevitabilmente il domani. Questo significa che un’azione basata su un’idea non

sarà mai libera; un’azione basata su un’idea non farà altro che estendere il

conflitto. È un fatto inevitabile.

Ma esiste un’azione che non abbia nulla a che fare col passato? Esiste

un’azione che non sia oppressa dal peso dell’esperienza e della conoscenza di

ieri? L’azione legata al passato non sarà mai libera, mentre e soltanto nella

libertà che potete scoprire la verità.

 

Il fatto è che se la mente non è libera, non

può agire; può solo reagire. Le nostre azioni, in realtà, non sono altro che

reazioni. Le nostre azioni non sono affatto azioni, sono semplicemente un

insieme di reazioni che provengono dal ricordo e dall’esperienza di ieri. Allora

la domanda che ci si deve porre è: la mente può essere libera dal suo

condizionamento?

 

 

L’amore non è il piacere

 

Senza capire il piacere, non potrete comprendere l’amore. L’amore non è

piacere, è qualcosa di completamente diverso e, se volete capire il piacere,

dovete imparare a conoscerlo. Per la maggior parte di noi, come per ogni

essere umano, il sesso e un problema. Perché? Ascoltate attentamente. È un

problema che non siete capaci di risolvere, e quindi cercate di sfuggirlo.

I

sanyasi tentano di sottrarsi ad esso facendo voto di castità. Cercano di

reprimerlo. Ma guardate che cosa accade ad una mente che reprime qualcosa

che è parte integrante della vostra struttura ed ha a che fare con l’intero

sistema ghiandolare: diventate aridi e alimentate un conflitto costante dentro

di voi.

Come stavamo dicendo, a quanto sembra noi abbiamo solo due modi per

affrontare un problema: o cerchiamo di reprimerlo oppure tentiamo di

sfuggirlo. Ma in realtà tra il reprimere e il fuggire non c’è alcuna differenza,

sono la stessa cosa. Ci siamo inventati un’infinità di vie di fuga, estremamente

intricate, a livello concettuale o emozionale.

E anche tutte le nostre ordinarie attività quotidiane costituiscono una

fuga. Ci sono infiniti modi per fuggire. Ora non li prenderemo in

considerazione; tuttavia il problema resta. Il sanyasi, che fugge il problema a

modo suo, non lo risolve. può reprimere il sesso, può fare voto di castità, ma

quel problema ribolle dentro di lui. Esteriormente può indossare la veste della

semplicità, ma questo complica ulteriormente le cose e il problema continua ad

esistere, così come esiste nella vita quotidiana dell’uomo comune. Come

risolverete questo problema?

 

Non si può coltivare l’amore

Non si può coltivare l’amore. Non si può dividere l’amore in amor sacro e

amor profano. C’è soltanto amore che non fa differenza tra l’uno e i molti. Non

ha senso chiedere a qualcuno se ama tutto. Sapete, ad un fiore che emana il

suo profumo non importa se qualcuno lo odora oppure gli volta le spalle. Anche

per l’amore è così. L’amore non è un ricordo, non è un’invenzione della mente,

dell’intelletto. È la compassione che affiora quando viene capito e risolto con

naturalezza l’intero problema dell’esistenza, con tutto quello che esso

comporta: la paura, l’avidità, l’invidia, la speranza, la disperazione. Un uomo

ambizioso non può amare. Un uomo attaccato alla sua famiglia è incapace di

amare. La gelosia non ha nulla a che fare con l’amore. Quando dite: “Amo mia

moglie”, in realtà non sapete che cosa significa, perché un attimo dopo vi

lasciate assalire dalla gelosia.

L’amore implica grande libertà. Libertà non significa fare quello che ci

pare e piace. L’amore affiora quando la mente è molto calma, del tutto

disinteressata, priva diqualsiasi egoismo.

 

Non vi sto proponendo degli ideali. Se in voi non c’è amore, fate quello

che volete – inseguite tutti gli dei della terra, dedicatevi ad ogni genere di

assistenza sociale, cercate di attuare delle riforme politiche che eliminino la

povertà, scrivete libri o poesie, ma sarete degli esseri umani morti. Senza

amore i vostri problemi aumenteranno, si moltiplicheranno all’infinito. Mentre,

se c’è amore, qualunque cosa facciate non correrete rischi, non vivrete nel

conflitto.

L’amore è l’essenza della virtù. Una mente che non sia in quello stato che

è amore, non è una mente religiosa. Solo la mente religiosa è libera dai

problemi e conosce la bellezza dell’amore, della verità.

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Esiste un amore che non ha motivi?

Che cos’è l’amore che non ha motivi? Esiste un amore che non richiede

stimoli, che non pretende nulla per sé? Esiste un amore che non si senta ferito

se non viene ricambiato? Se io ti offro la mia amicizia e tu mi volti le spalle,

non mi sento ferito? E il mio sentirmi offeso che cos’ha ha a che fare con

l’amicizia, la generosità, la simpatia? Certamente, finché mi ritengo offeso,

finché provo paura, finché cerco di aiutarti nella speranza che anche tu mi

aiuterài, mi servirài, non potrà esserci amore.

Se lo capite, avrete anche la risposta.

 

L’amore è pericoloso

Come fa l’uomo a vivere senza amore? Certo, si può esistere senza

amore, ma e un’esistenza piena di confusione e di sofferenza, un’esistenza

nella quale il controllo prende il sopravvento.

 

Ed è proprio un’esistenza del

genere che la maggior parte di noi sta creando. Per esistere ci organizziamo

accettando il conflitto come inevitabile, perché siamo ininterrottamente alla

ricerca del potere. Quando amiamo, l’organizzazione e messa al posto giusto e

svolge Il proprio ruolo; ma senza amore qualsiasi organizzazione diventa un

incubo, una struttura meccanica che mira esclusivamente all’efficienza, come

l’esercito. E siccome la società moderna si basa esclusivamente sull’efficienza,

non possiamo fare a meno di avere degli eserciti, il cui scopo è quello di fare la

guerra. Anche nel cosiddetto tempo di pace, quanto più siamo efficienti, tanto

più diventiamo spietati, brutali, ipocriti.

È questo il motivo per cui c’è tanta confusione nel mondo, dove la

burocrazia diventa sempre più potente e i governi tendono ad essere sempre

più dittatoriali. Noi accettiamo questa situazione come inevitabile perché per

vivere usiamo il cervello e non il cuore, così per noi l’amore non esiste.

 

L’amore e l’elemento più pericoloso che esista; porta con sé una totale

incertezza e siccome noi non vogliamo vivere nell’incertezza, siccome non

vogliamo sentirci in pericolo, viviamo nella mente e non nel cuore. L’essere

umano che ama è pericoloso e noi non vogliamo vivere pericolosamente;

vogliamo l’efficienza, vogliamo sentirci protetti da un’organizzazione, perché

crediamo che le organizzazioni servano a portare l’ordine e la pace nel mondo.

Ma nessuna organizzazione ha mai portato, né porterà mai, l’ordine e la pace

nel mondo. Alla fine, e quindi ora, chi può portare ordine e pace sono soltanto

l’amore, la buona volontà, la compassione.

 

La compassione non è una parola

Il pensiero non ha la minima possibilità di coltivare la compassione. Con

la parola compassione io non intendo qualcosa che sia l’opposto, l’antitesi

dell’odio, della violenza. Se in noi non c’è una compassione profonda,

diventeremo sempre più spietati e disumani nelle nostre relazioni reciproche.

Avremo delle menti meccaniche che funzionano come computer, addestrate ad

essere psicologica, e perderemo con tatto col senso della vita, con la sua

straordinaria profondità e bellezza.

Quando parlo di compassione, non intendo qualcosa che si possa

acquisire. La compassione non è una parola, non è qualcosa che appartiene al

passato, ma e’ qualcosa che agisce nel presente; è il verbo e non la parola, il

nome, Il sostantivo. C’è differenza tra il verbo e la parola. Il verbo e’ azione nel

presente, mentre la parola proviene sempre dal passato e quindi e’ qualcosa di

statico. Potete conferire del movimento, della vitalità a una parola, a un nome,

ma il verbo e un’altra cosa. Il verbo e’ il presente…

La compassione non è un sentimento, non è vaga simpatia o

compartecipazione. Non è qualcosa che il pensiero possa coltivare; non potete

imporle una disciplina, un controllo; non potete reprimerla, né per accostarvi

ad essa vi basta la gentilezza, l’educazione, la dolcezza e così via. La

compassione affiora solo quando il pensiero è stato definitivamente sradicato.

 

 

Trasmettere la compassione

Se mi stanno a cuore la compassione, l’amore, il sentimento del sacro,

esiste un modo che consenta la trasmissione di questo sentire? Vi prego, fate

attenzione. Se io trasmetto qualcosa attraverso un microfono o se ricorro ai

sistemi della propaganda per convincere gli altri, i loro cuori continuerànno a

rimanere vuoti. Entrerà in funzione la fiamma dell’ideologia e le persone che si

lasceranno convincere cominceranno a ripetere formule vuote, proprio come

fate voi. A che serve ripetere che dobbiamo essere buoni, gentili, liberi? A che

serve ripetere le assurdità che i politici

Che cosa deve fare un essere umano, quando si rende

conto che qualsiasi imposizione, più o meno sottile, non porta con sé la

bellezza e non consente il fiorire della bontà, della compassione? Che relazione

c’è tra l’essere umano che ha in se la compassione e l’uomo che è aggrappato

alla tradizione e che si rifugia nella collettività? Come facciamo a scoprire, non

in maniera teorica ma effettivamente, che relazione esiste tra questi due esseri

umani?

Dove c’è conformismo, non può fiorire la bontà. Abbiamo assoluto

bisogno di libertà; ma la libertà può esserci solo quando capite fino in fondo e

nella sua interezza il problema dell’invidia, dell’avidità, dell’ambizione, del

desiderio di potere. È solo la libertà da tutto questo che farà sbocciare quella

cosa straordinaria che chiamiamocarat ter e. Un uomo libero ha in se la

compassione e sa che cos’è l’amore, non l’uomo che parla di moralità, usando

ripetutamente parole vuote.

La bontà non può fiorire nell’ambito della società, perché la società e

inevitabilmente corrotta in se stessa. L’essere umano, che si libera

completamente dalla struttura della società perché ha capito su quale processo

essa si basa, ha carattere, e solo un uomo simile può fiorire nella bontà.

 

La solitudine ha la sua bellezza

Non so se vi siete mai sentiti soli: all’improvviso vi rendete conto di non

essere in relazione con nessuno. Ve ne rendete conto non intellettualmente,

ma effettivamente… Vi sentite completamente isolati; pensiero ed emozione si

bloccano; non sapete da che parte voltarvi. Non c’è nessuno a cui possiate

rivolgervi, né dei, né angeli. È come se se ne fossero andati tutti quanti oltre le

nubi; e quando le nubi scompaiono vi accorgete che anche loro sono scomparsi

e voi rimanete totalmente soli.

Ma c’è una solitudine completamente diversa, una solitudine ricolma di

bellezza. Questa solitudine vi è necessaria.

Quando l’essere umano non ha più

nulla a che fare con la struttura sociale, fatta di avidità, ambizione, invidia,

arroganza, quando smette di desiderare una posizione e il successo e si libera

da tutto questo, allora si ritrova in quella solitudine, completamente diversa

dalla solitudine che ben conosciamo. Allora c’è una grande bellezza e il senso di

una straordinaria energia.

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Una solitudine che non è isolamento

Sebbene siamo tutti esseri umani, abbiamo costruito delle barriere che ci

separano gli uni dagli altri, le barriere del nazionalismo, della razza, della

casta, della classe sociale, che ci condannano a vivere nell’isolamento, nella

solitudine.

Una mente rinchiusa nel suo isolamento, nella sua solitudine, non ha la

minima possibilità di capire che cos’è la religione. può credere in qualcosa, può

aggrapparsi a teorie, formule, concetti, può tentare di identificarsi con quello

che essa chiama Dio, ma io ho l’impressione che la religione non abbia in realtà

nulla a che fare con le fedi, i preti, le chiese e i cosiddetti libri sacri.

 

Si può capire quale sia lo stato di una mente religiosa solo quando

cominciamo a comprendere la bellezza. E ci si deve accostare alla

comprensione della bellezza con quello stato della mente che è solo perché non

ha confronti. Quando la mente vive in uno stato nel quale non ha bisogno di

nulla, può conoscere la bellezza; nessun altro stato può consentirle di

avvicinarla.

La solitudine di cui stiamo parlando non è isolamento e non è nemmeno

legato, ad una capacità eccezionale in qualche campo; essa semplicemente

implica il sostegno della sensibilità, dell’intelligenza, della comprensione.

Questa solitudine richiede che la mente sia libera da qualsiasi influenza e

capace di non farsi contaminare dalla società. Questa solitudine è necessaria

per capire che cos’è la religione: religione significa scoprire per conto proprio

se esiste qualcosa che è immortale, che è al di là del tempo.

 

 

Vivere nell’isolamento

L’isolamento deve essere completamente superato, se vogliamo scoprire

una solitudine che non ha nulla a che fare con l’isolamento. La solitudine di cui

stiamo parlando richiede una mente integra, in cui ci sia armonia fra tutte le

sue funzioni. La nostra mente non è così; divide e separa tutto quello che

tocca. È questo il suo modo di funzionare e quindi e condannata a vivere

nell’isolamento.

La solitudine di cui parliamo non separa, non è influenzata dalla

frammentarietà, non è Il prodotto della frammentarietà. La nostra mente è a

pezzi, e piena di frammenti, e stata costruita e ridotta così attraverso i secoli e

quindi non può conoscere quell’interezza che è completezza. Solo quando la

mente si rende conto dell’isolamento in cui vive, quando scopre la sua

frammentarietà, può consentire che l’interezza affiori. Allora può esserci

qualcosa che è incommensurabile.

 

Sfortunatamente la maggior parte di noi si accontenta di dipendere,

vuole dipendere. Vogliamo compagnia, vogliamo degli amici e continuiamo a

vivere mantenendo uno stato di separazione che inevitabilmente genera

conflitto. Quella solitudine che è interezza non conoscerà mai il conflitto. La

mente che vive nell’isolamento non potrà mai conoscere né capire quello stato

che è senza conflitto.

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La solitudine che porta con sé l’innocenza

La maggior parte di noi non conosce quella solitudine che è interezza.

Potete andare a fare gli eremiti su una montagna, ma inevitabilmente

porterete con voi le vostre idee, le vostre esperienze, le vostre tradizioni, la

conoscenza che avete accumulato.

Il monaco cristiano, chiuso in un

monastero, non conosce quella solitudine che è interezza. Vive con i suoi

concetti teologici, con le sue immagini di Genii, con tutto quello in cui crede,

con i dogmi legati al suo particolare condizionamento. E si può dire la stessa

cosa per il sanyàasi, in India, che si ritira dal mondo e vive in isolamento. La

sua solitudine non è interezza, perché anch’egli vive legato ai suoi ricordi.

Sto parlando di una solitudine nella quale la mente e del tutto libera dal

passato; in questa libertà c’è innocenza, che è virtù. Forse voi direte:“È

troppo chiedere una cosa simile; non si può vivere così in un mondo tanto

caotico, dove bisogna andare in ufficio tutti i giorni per guadagnarsi da vivere,

per mantenere i propri figli e dove bisogna sopportare le lamentele del marito

o della moglie”.

Eppure io credo che quanto stiamo dicendo sia direttamente e

strettamente connesso alla vita quotidiana, al nostro agire quotidiano;

altrimenti non avrebbe alcun valore. Da quella solitudine, che è interezza

interiore, proviene una virtù che è forza è che porta con sé una straordinaria

purezza e gentilezza. Non ha molta importanza se si commettono degli errori;

non è questo che conta. Quello che è importante avere la sensazione di essere

assolutamente soli, intatti, al di là di qualsiasi contaminazione. Solo allora la

mente può conoscere, può cogliere quello che è al di là della parola, al di là del

nome, al di là di ogni immaginazione.

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innocenza e solitudine

Uno dei fattori che alimentano la sofferenza degli esseri umani è il loro

isolamento. Fatevi pure tutte le amicizie che volete, venerate i vostri dei,

accumulate una conoscenza straordinaria, datevi incredibilmente da fare nel

campo dell’assistenza sociale, discutete all’infinito di politica – cosa che i

politici fanno normalmente – ma non potrete minimamente scalfire

quell’isolamento. Nel suo isolamento l’essere umano cerca di dare un

significato alla vita o se ne inventa uno, ma la sua solitudine rimane. Ora,

potete osservare questo isolamento per quello che è, senza fare confronti,

senza tentare di sfuggirlo, senza tentare di nasconderlo, senza cercare di

allontanarvene? Allora vedrete che questa solitudine diventa qualcosa di

completamente diverso.

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Noi non siamo integri. Siamo il prodotto di un’infinità di influenze, di

migliaia di condizionamenti, di deformazioni psicologiche; siamo il frutto della

propaganda e della cultura. Noi non siamo integri e quindi siamo esseri di

seconda mano. Quella solitudine che è assoluta integrità implica il non

appartenere ad una famiglia, per quanto si possa avere una famiglia, il non

appartenere ad una nazione, ad una cultura, il non dipendere da

un’occupazione particolare. Significa avere la sensazione di essere degli

estranei, estranei ad una nazione, ad una famiglia e ai loro modi di pensare e

di agire. In quella solitudine che è integrità c’è innocenza, un’innocenza che

libera la mente dal dolore.

 

Cominciate da qui

Un uomo religioso non cerca Dio. Per l’uomo religioso quello che importa

è la trasformazione della società, perché la società è lui stesso. Religioso non è

colui che celebra una quantità infinita di rituali, non è colui che segue le

tradizioni o che vive immerso in una cultura ormai morta, continuando a

cantare litanie, a fare il sanyàasi, a spiegare senza sosta laGita o laBibbia. Un

uomo simile non è affatto religioso, è semplicemente una persona che si rifiuta

di affrontare i fatti. Quello che veramente interessa all’uomo religioso e capire

fino in fondo la società, in ogni suo aspetto, perché la società è lui stesso; egli

non è separato dalla società.

Il fatto di aver prodotto dentro di sé una trasformazione radicale, che

implica la totale scomparsa dell’avidità, dell’invidia, dell’ambizione, fa sì che

egli non dipenda dalle circostanze, sebbene ne sia il prodotto, a causa del cibo

che mangia, dei libri che Legge, dei film che va a vedere, dei dogmi, delle

credenze, delle cerimonie religiose che sono alla base della cultura in cui è

stato educato. Egli è un essere responsabile e quindi deve capire se stesso:

deve capire che è lui il prodotto della società che egli stesso ha creato. E allora,

se vuole scoprire la realtà deve cominciare da qui; non gli servirà andare al

tempio o venerare un’immagine, costruita dalla mente o dalla mano dell’uomo.

Altrimenti, come potrà scoprire qualcosa di nuovo, uno stato assolutamente

nuovo?

 

Il vostro Dio non è Dio

Colui che crede in Dio non lo troverà mai. Se siete aperti alla realtà, non

avete alcun bisogno di credere. Se siete aperti all’inconoscibile, non avete

alcun bisogno di crederci. La mente che si aggrappa ad un a fede lo fa solo per

autoproteggersi e solo una mente meschina può credere in Dio. Gli aviatori,

che durante la guerra andavano a bombardare le città nemiche, dicevano che

Dio era con loro mentre sganciavano tutte quelle bombe! Voi credete in Dio

anche quando uccidete, anche quando sfruttate il vostro prossimo! Venerate

Dio e poi continuate a estorcere spietatamente denaro, a finanziare eserciti…

Eppure dite di credere nella misericordia, nella compassione, nella gentilezza.

Finché vi aggrapperete alle vostre fedi non potrete pensare all’inconoscibile,

all’incommensurabile.

La mente è frutto del passato, è il prodotto di quello che è accaduto ieri.

Come può una mente simile aprirsi all’inconoscibile? Può solo proiettare

immagini che però non sono la realtà: così il vostro Dio non è Dio; è

un’immagine che vi siete creati perché possa darvi soddisfazione. La realtà

affiora solo quando la mente comprende la totalità dei processi che la

costituiscono e si dissolve in modo definitivo. Solo la mente che è del tutto

vuota possiede la capacità di ricevere l’inconoscibile. La mente non può

purificarsi finché non capisce il significato della sua relazione con la proprietà,

con la gente e non scopre il modo giusto di essere in relazione con qualsiasi

cosa.

La mente non potrà mai essere libera, finché non capite come nasce il

conflitto nelle sue relazioni.

 

Quando nella mente c’è un silenzio assoluto, una

calma assoluta, quando la mente non proietta più nulla, quando non cerca più

nulla, in quell’assoluto silenzio affiora l’eterno, cioè quello che è al di là del

tempo.

 

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Sri  Ramana Maharsi

 

 

Rimanendo testimone (questa lettura ci aiutera’ molto)

     

 

– Rimanendo testimone – di Walter Keers 

D. Potreste spiegarmi il fenomeno di Sri  Ramana Maharsi, che apparentemente ottenne l’illuminazione del tutto spontaneamente, senza fare alcunché?

R. Nessuno può dare una spiegazione delle cose. Le cose sono come sono e non c’è niente da spiegare. La sola cosa possibile è mettere in evidenza la ragione per cui sembra di non essere a conoscenza di ciò che siamo.

D’altra parte ci sono alcune cose che sono del tutto ovvie. Quando, a diciassette anni, “Venkataraman” fu preso dal panico e sentì che stava per morire avrebbe potuto precipitarsi dal dottore e chiedere un tranquillante, cosa che la grande maggioranza di noi avrebbe fatto. Ma già a quell’età egli era talmente maturo che accettò e si arrese al panico senza fuggire. Il che sta a dimostrare che era un ragazzo molto coraggioso. Lasciò che il panico lo investisse, si stese sul pavimento, e si abbandonò a ciò che sembrava inevitabile: «Io sto per morire. Che cosa sta veramente accadendo?».

In altre parole, egli si ritirò spontaneamente dalla sua individualità e assunse la posizione del Testimone.

È importante riconoscere che, in questo modo, egli rinunciò a ogni desiderio di continuare a vivere nel tempo e nello spazio. Poi, come tu dici, l’illuminazione sopraggiunse senza che ci fosse bisogno di fare qualcosa, ed è inevitabile che sia così. Infatti, la realizzazione avviene solamente quando smettiamo di fare qualcosa, quando dimentichiamo il “facitore” in noi, frutto di proiezioni, e rimaniamo “testimoni” di ogni evento che appare e scompare. Inoltre egli adottò il “punto di vista del Testimone” nel momento più critico fra tutti: quando il panico che giace alla radice dell’individualità si precipitò su di lui.

Questo è forse l’aspetto più sorprendente dell’intera storia. Infatti il panico, così comune tra chi pratica la concentrazione, la meditazione Zen e altre discipline, è così radicale che solamente un uomo su un milione riesce ad accettarlo. Normalmente, la presenza di un Guru è indispensabile per superare una paura così acuta, ma sembra che non sia stato così nel suo caso.

Questi sono gli aspetti tangibili: l’arrendersi all’inevitabile, senza il desiderio di modificarlo o di scansarlo; l’aver adottato la posizione del Testimone, e l’assenza del desiderio di continuare a vivere. Quest’ultimo aspetto è forse il più illuminante.

Ognuno di noi può utilizzarlo per verificare la propria posizione: c’è in me il desiderio di durare, di continuare a vivere? Sento che c’è ancora parecchio da fare, da godere? Nutro ancora delle speranze per qualcosa? La speranza è uno degli alibi più sottili. Io spero che, se faccio la sådhanå nel giusto modo, mi realizzerò in tre o cinque anni…

Con tale atteggiamento, che implica assegnare altri tre o cinque anni alla mia ignoranza, alla mia individualità o ego, rendo virtualmente impossibile il riconoscimento che sono l’ultima realtà anche ora. La speranza implica il desiderio di continuare nel tempo; essa implica che accetto la credenza che sono un’individualità proiettata, un’immagine, che sta vivendo attraverso gli anni. La speranza, in altre parole, diviene un ostacolo, un alibi.

Ciò che sono deve sempre essere qui e ora, e non c’è niente nel futuro in cui riporre speranze. Se quello che sono non è qui e ora, ciò implica che non sono realmente “Io”, poiché ciò che sono non può essere mai separato da me, come il calore non può essere separato dal fuoco, o la forma dalla visione.

Così questo straordinario ragazzo non sperò per il meglio, non sperò che tutto potesse finire bene ed essere in grado di cenare quella sera. Egli non tentò nemmeno per un attimo di fuggire; si stese sul pavimento, senza cercare di difendersi e consentendo alla morte di portare a termine il suo compito.

Questo è l’atteggiamento a cui la verità, la libertà, o Dio, o in qualunque modo preferiamo chiamarla, non può resistere, accettazione totale senza alcun desiderio di modificare qualcosa, fosse pure la morte. Questo atteggiamento può condurre a una cosa sola: alla completa libertà, che è chiamata realizzazione del Sé. Se la paura più definitiva e più profonda è accettata in modo così totale, per cui ti abbandoni a tutto ciò che possa succedere, niente altro potrà trattenerti. L’ego non potrà più ricattarti, e niente ti potrà più spaventare, poiché niente è più spaventoso della morte. Questa totale resa e l’assenza del desiderio di continuare a vivere, sono qualcosa che vale la pena di esaminare.

Noi tutti desideriamo ciò che nel nostro ambiente è conosciuto come realizzazione del Sé. Ma chiariamo subito questo punto: colui che desidera è l’individualità. Ciò che siamo, non sa che farsene del desiderio. L’io, l’individualità desidera la realizzazione, ma l’individualità non può sapere cosa significano queste parole. L’individualità, o ciò che va sotto tale nome, appare a livello di immagini, pensieri, sentimenti, concetti, e a quel livello la libertà diviene un’idea, un concetto. Però la libertà non ha niente a che vedere con i concetti.

Dal punto di vista delle immagini, la libertà o il Sé è qualcosa di completamente sconosciuto, in altre parole: il Sé è un qualcosa la cui esistenza non può mai essere accertata dalla mente. Esso è totalmente nuovo, totalmente ignoto e inaspettato. Ecco perché ciò che si chiama la realizzazione del Sé rappresenta la morte del vecchio, del noto.

D. È possibile prendere nota degli eventi come loro Testimone, senza tuttavia accettarli? L’omicidio e la violenza non rimangono comunque inaccettabili in tutte le circostanze?

R. Per accettazione io intendo la disponibilità a guardare qualcosa. Qualche tempo fa, una signora venne qui con certi problemi familiari. Ella disse: «Io ho fatto ciò che mi avete proposto e ho osservato tutto ciò che avveniva. Ma non mi ha aiutato molto, e devo confessare che osservo ogni cosa con un certo disgusto».

Questo, naturalmente, non è ciò che intendiamo per accettazione e osservazione. Ella aveva proiettato un osservatore dei suoi pensieri e dei suoi sentimenti. Ma ciò che avrebbe dovuto osservare erano precisamente quei movimenti personali, del tutto intimi, all’interno della sua psiche, come il disgusto che aveva menzionato.

Accettazione non significa approvare o disapprovare. Significa solamente accettazione dei fatti. L’accettazione del fatto che ci sono assassini, che c’è violenza, indipendentemente dal nostro piacere o dispiacere. Ma osservare le cose esterne non aiuta molto. Ciò che va osservato è quello che avviene dentro di noi: la nostra paura, i nostri desideri, la nostra irritazione, la nostra gelosia. In breve tutto ciò che sentiamo come conflittuale con l’armonia. I modi sottili o subdoli di difesa dell’io, quando sono osservati oggettivamente, si rivelano semplici fenomeni. Noi possiamo vederli e osservarli così come guardiamo un film. All’inizio saremo tentati di unirci al loro flusso, ma gradualmente arriveremo a poterli osservare senza esserne coinvolti. Un mio amico ha paragonato questo modo di osservare a una sfilata di moda: tu siedi in una comoda poltrona e vedi la sfilata delle modelle che mostrano un vestito dopo l’altro. Ma non salti sul palco con un paio di forbici per modificare i vestiti in mostra! Tu guardi e questo è tutto!

Se volessimo formulare esattamente che cosa sia l’accettazione, potremmo dire che consiste nel permettere a ogni cosa che sorge all’interno di mostrare se stessa chiaramente e senza interferenze o giudizi da parte nostra, nella consapevolezza che noi siamo.

Molto spesso ciò è abbastanza facile: senza sforzo possiamo consentire a una stanchezza fisica o a un dolore di rivelarsi. Poi potremmo prendere nota di piccole irritazioni quando qualcuno ci fa qualcosa di sgradevole.

La pratica dell’Osservatore diviene più difficile solo quando noi siamo preda della paura o della vergogna. In tali circostanze tendiamo a rimuovere certi ricordi e certi sentimenti. Così vedremo che qualsiasi cosa insensata che possiamo aver fatto, al momento era il meglio che potevamo fare; il motivo fondamentale, anche per la paura, è la ricerca dell’amore e della felicità. Quando ciò è visto chiaramente, siamo pronti a dimenticare noi stessi e ad accettare la nostra vergogna e paura, permettendole di rivelarsi all’occhio interiore della consapevolezza. Quando rifiutiamo certi sentimenti e ricordi, noi creiamo un ego che sente che deve proteggersi, ma quando permettiamo alle cose di accadere senza interferire allora non c’è ego: c’è solo la coscienza in cui i sentimenti sorgono e passano, in cui i pensieri vengono e vanno. Noi siamo allora il Testimone. Là in quel preciso non-luogo, in quel preciso non-momento vi è la porta, per così dire, tra sogno e illusione da una parte, e ciò che viene chiamato il Sé dall’altra. Ciò che noi siamo, il Sé, è dietro la schiavitù e la liberazione.

D. Si dice che quando la mèta è raggiunta, tutti i sentieri si incontrano. Ma nel caso di Sri Ramana  Maharsi non si trova traccia di altri sentieri. Più tardi non fu possibile dire se egli era principalmente un perfetto jñåni o un perfetto bhakta, Conoscenza o Amore. Egli ovviamente fu entrambi allo stesso tempo. Ma in questo racconto ancora non c’è traccia di qualcosa simile alla bhakti.

R. Non essere fuorviato dalle apparenti lacune del racconto. Questa realizzazione del Sé non avrebbe mai potuto avvenire se questo straordinario ragazzo non avesse avuto un cuore pieno d’Amore. Se egli non avesse amato il suo corpo, non avrebbe potuto mai lasciarlo andare, se non avesse amato la sua psiche, non avrebbe potuto abbandonarla.

D. Spesso lei ha detto che per “Amore” non intende il sentimento.

R. Infatti, e può essere utile eliminare qualche fraintendimento. Quando ami o quando sei felice, che cosa avviene?

L’evento che noi chiamiamo: “io sono felice” consiste di due parti. Una è la parte fondamentale: noi siamo la stessa felicità, la libertà stessa, al di là del sentimento; ma normalmente siamo ammaliati dai pensieri, dal senso dell’io, dai sentimenti dell’io e da altri oggetti che appaiono e scompaiono e l’armonia che noi siamo non viene percepita, ci sfugge. La tensione del corpo sorge nel momento in cui ci vediamo come un oggetto, un io.

Ma ciò che avviene quando dici: “io amo” o “io sono felice” è che per un momento tutte le identificazioni svaniscono. Come risultato, tutte le tensioni cessano e l’accumulo di energia del corpo viene liberato. Quella è la parte sensibile dell’evento: sentiamo il calore e la radianza in petto, e così via. Normalmente noi consideriamo quello come amore, ma in realtà il sentimento è solo un sintomo di ciò che l’Amore veramente è, un effetto, il risultato di far cadere tutte quelle strane idee che avevamo di noi stessi. Ogni idea su noi stessi è comunque un’idea strana. Pensare di essere buoni è altrettanto assurdo che credere di essere cattivi. Tu non sei una nozione, una opinione, qualcosa di accettabile o di non accettabile. Ma per poter andare dietro le apparenze, dobbiamo iniziare con l’accettazione, vera accettazione, di là dalle opinioni di buono o cattivo, e consentire alle cose di apparire nella loro completa nudità, nella luce della coscienza, senza alcuna interferenza o giudizio da parte nostra. Nel momento in cui assumiamo questa posizione, spontaneamente viviamo l’aspetto di “testimone” dell’ultima Realtà. E quindi gradualmente il nostro sacco si svuota, le paure e i desideri terminano la loro piccola danza perché svaniscono nella consapevolezza che noi siamo, e alla fine rimane la sola consapevolezza. Non è qualche cosa che debba essere ricercato o ottenuto. Noi siamo la consapevolezza anche ora. La sola cosa che la sådhanå consente, è di sbarazzarsi dell’idea che noi siamo qualche cosa di diverso dalla consapevolezza. Quando questa idea se n’è andata, immediatamente ci imbattiamo nella coscienza o la coscienza sembra penetrarci, o anche esplodere in noi. Non dobbiamo fare assolutamente niente affinché questo non-evento avvenga.

Quando la libertà è resa possibile, essa avviene. Essa è resa possibile accettando ciò che noi supponiamo di essere, guardandolo attentamente e poi lasciandolo andare. Quando vediamo che non siamo mai stati ciò che credevamo d’essere, tutte le idee ci lasciano, e ciò che rimane è ciò che siamo. È molto semplice. Ma questa silenziosa vigilanza, questo profondo ascolto a ciò che credevamo di essere è un lavoro interiore che deve essere fatto con profonda attenzione.

Ogni giorno vengono da noi persone che sono a conoscenza di cos’è che non va nella loro vita, ma in modo superficiale e ciò non li aiuta. Recentemente un alcolizzato venne qui per parlare dei suoi problemi: «Io so perché bevo – è perché mia madre non mi ha mai amato». Malgrado ciò, egli continuava a bere perché non aveva approfondito il senso della sua affermazione. Solo quando fu messo in grado di vedere e di sentire di nuovo la sua condizione di bambino, la sua grande tristezza, il suo pianto nel suo letto la notte, completamente solo, egli comprese veramente tutta la sua infelicità. E quando poi fu in grado di vedere che questo bambino dall’aria così triste era veramente inoffensivo, aperto, senza difese e fiducioso mentre era respinto dalla madre, egli poté comprendere che era ancora quel bambino aperto e fiducioso dietro le mura che lo avevano protetto contro tanta insensibilità.

E solo allora poté vedere che quel bambino era ed è una inesauribile sorgente di vita, di amore e di energia e che non c’era niente che doveva essere protetto, poiché nessuno poteva alienare ciò che egli era stato, ed era ancora. Quando tutto questo venne messo chiaramente a fuoco egli vide che non doveva più trincerarsi dietro le mura della sua infanzia e continuare a nutrire la paura di non essere amato.

La paura di non essere in grado di trovare amore fuori di sé cessò nel momento in cui comprese che egli stesso era la sorgente di tutto l’amore, e che le sue difese erano la sola cosa che gli impedivano di vivere questo amore come quella esperienza fondamentale che è la vita. Da quel momento egli non ebbe più bisogno dell’alcool.

Siamo tutti simili a questo uomo. Usiamo droghe nella speranza che esse ci diano il calore che cerchiamo, o che possano prevenire ulteriori delusioni. Alcuni di noi cercano il sesso come una droga, altri la capacità intellettuale, altri ancora costruiscono un’immagine di se stessi quali grandi consiglieri pieni di comprensione e così via. Tutto questo è necessario per riempire il vuoto del nostro io incapace di amare.

Nel momento in cui ci accorgiamo che noi siamo ciò che stiamo cercando, la ricerca dell’amore esterno diminuisce fino a cessare completamente.

La sola droga che tutte le droghe hanno in comune è l’ego, questa difesa estrema che apparentemente ci separa dall’Amore che siamo noi stessi. Ma questo ego non è un’entità reale. Non è altro che un modo di vedere. Quando lo cerchi e tenti di trovarlo ti accorgi che non c’è eccetto che nella tua immaginazione.

Quindi non dobbiamo cacciarlo via o combatterlo; dobbiamo semplicemente accettarlo, permettergli di mostrarsi in tutta la sua nudità, e ben presto scopriamo che non ha alcuna esistenza. Questo è tutto ciò che dobbiamo fare per farlo scomparire.

Ciò che resta è la libertà stessa. Non un ego libero, ma libertà dall’illusione che vi sia un ego.

Per molti di noi lo stadio finale consiste nel vivere per qualche tempo con l’impressione che la vita continui senza un ego. Eravamo così abituati alla sua presenza che ora viviamo per un po’ di tempo come se mancasse qualcosa. Questo diventa così naturale che presto ce ne dimentichiamo del tutto. Prima eravamo legati dal credere in un ego, ora siamo legati dalla sua assenza.

Questa è l’ultima cosa che ci dice che siamo ancora limitati. Quando questa assenza è vista come un oggetto col quale ci identifichiamo essa può dissolversi nella presenza che noi siamo. Solamente questa è libertà. La vera libertà, la radianza dalla quale il mondo crea se stesso di momento in momento, e che rimane come semplice radianza quando non c’è più il mondo.

Il sonno profondo – l’assenza di nome e forma – allora si converte nella luce stessa, che non ha niente in comune con la cieca assenza di memoria che credevamo che fosse.

 

Sri Aurobindo e Mere

Sri Aurobindo nasce a Calcutta, nell’India britannica, iI 15 agosto 1872.

Il padre, medico, vuole per i figli un’educazione europea e all’età di sette anni Aurobindo viene mandato in Inghilterra con i due fratelli maggiori perché lì compia gli studi.

Nonostante una vita di ristrettezze (i sussidi dal padre vengono presto a ridursi e in seguito a mancare del tutto) Aurobindo si rivela uno studente eccezionale, riuscendo a mantenere sé e i fratelli con borse di studio. Agli esami di Cambridge stupisce Oscar Browning, suo esaminatore, che lo definisce come “il più brillante conoscitore di Greco che mi sia mai capitato di esaminare”.
Quando ritorna in India nel 1893, all’età di 21 anni, il giovane Aurobindo non conosce nulla del suo paese e della sua spiritualità. Tuttavia, poco prima di approdare, l’India lo accoglie con una improvvisa e inaspettata esperienza interiore.

Impara il Sanscrito e si dedica allo studio delle opere che hanno reso grande la tradizione spirituale indiana.

Allo stesso tempo crescono la sua intuizione e la sua visione interiore, senza tuttavia che ciò lo porti ad abbandonare l’attività nel mondo.

Si dedica anzi con impegno alla lotta per la liberazione dell’India dal dominio britannico, divenendo, assieme a Tilak e Lajpat Raj, la più importante figura del Risorgimento Indiano, molto prima dell’avvento di Gandhi.

Incarcerato nel 1908 con l’accusa di essere stato l’ispiratore di un attentato dinamitardo (portato a compimento a insaputa di Aurobindo dal gruppo guidato dal fratello minore, Barin) Sri Aurobindo passa un anno nelle carceri di Alipore.

Nell’ isolamento della cella la vita interiore di Sri Aurobindo si arricchisce di nuove e determinanti esperienze che lo mettono in contatto con una nuova energia evolutiva destinata, secondo lui,  a trasformare la terra e i destini dell’uomo.

Assolto dall’accusa e liberato, prosegue ancora per un poco I’attività politica e giornalistica, fondando due settimanali nel tentativo di ridare vita al movimento per l’indipendenza duramente colpito dalla serie di arresti. Ma il governo britannico non si rassegna alla sua assoluzione e cerca nuovi pretesti per farlo arrestare. Il viceré delle Indie lo definisce ‘il più pericoloso nemico dell’Impero Britannico’. Informato di un mandato d’arresto nei suoi confronti, Aurobindo riceve il comando interiore di recarsi a Pondichéry, enclave francese nell’India del Sud, che egli raggiunge nell’aprile del 1910 e dove rimarrà per tutta la sua vita.

Alcuni giovani rivoluzionari lo seguono, tra cui Nolini Kata Gupta, ora riconosciuto come il più importante discepolo di Sri Aurobindo. Appena 17enne, Nolini aveva passato con Aurobindo un anno nelle carceri di Alipore.

A Pondichéry Aurobindo pone le basi del suo Yoga Integrale, che vede nell’uomo un essere di transizione che ha la possibilità di partecipare coscientemente a quello che egli definisce l’inevitabile passo evolutivo nell’esperienza della Terra: il sorgere di un superuomo spirituale e una nuova umanità spiritualizzata.

Nel 1914 incontra per la prima volta Mirra Alfassa, la futura Madre, venuta a Pondichéry assieme al marito, il filosofo francese Paul Richard. Questi convince Sri Aurobindo a esporre per iscritto il suo pensiero e la sua visione. Nascono così, dal 1914 al 1920, quasi tutte le grandi opere di Sri Aurobindo, tra cui: la Vita Divina, la Sintesi dello Yoga, il Ciclo Umano, I’ldeale dell’Unità Umana. Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale obbliga i Richard a lasciare Pondichéry.

Mirra ritornerà, e questa volta per sempre, accanto a Sri Aurobindo nell’aprile del 1920.

Nel 1926, a seguito di una radicale esperienza, Sri Aurobindo si ritira definitivamente nelle sue stanze, lasciando interamente nelle mani della Madre la gestione dell’Ashram e il contatto con i discepoli.

Sri Aurobindo lascia il corpo fisico il 5 dicembre del 1950. Il suo lavoro è continuato dalla Madre.

 

 

Mere, la Madre

 

La Madre, Mère, nasce come Blanche Rachel Mirra Alfassa a Parigi il 21 febbraio 1878, da padre turco e madre egiziana.

Sin dalla prima infanzia è cosciente di un mondo subliminale, diverso da quello fisico, e di un ruolo particolare che lei è destinata a svolgere.

Nelle sue parole:

“Ho cominciato a contemplare e a fare yoga all’età di 4 anni. Su una poltroncina fatta apposta per me rimanevo senza muovermi, persa in meditazione.

Una luce molto brillante discendeva allora sul mio capo creando un movimento nel cervello. Naturalmente, non ne capivo nulla, non avevo l’età per comprendere.

Ma a poco a poco cominciai a sentire: ‘Dovrò compiere un lavoro di enorme importanza che ancora nessuno conosce’ “.

 

Mère a sette anni

 

 

“Come e quando sono diventata cosciente di una missione che dovevo adempiere sulla terra? … È difficile dire quando avvenne, è come se fossi nata con essa, e con lo sviluppo della mente e del cervello cresceva anche la precisione e completezza di questa coscienza”.

Nonostante tali esperienze, la piccola Mirra non accettava di uniformarsi all’idea convenzionale di Dio:

“Non potevo accettare un essere che dichiarava se stesso come unico e onnipotente, chiunque potesse egli essere. Fosse anche stato unico e onnipotente … non aveva il diritto di proclamarlo!”

Tuttavia, tra gli undici e i tredici anni, come lei stessa raccontò, una serie di esperienze le rivelarono non solo l’esistenza di Dio, ma anche la possibilità data all’uomo di unirsi a Lui, di realizzarLo integralmente nella coscienza e nell’azione, di manifestarLo sulla Terra in una vita divina.

Si formava intanto inconsciamente la sua conoscenza occulta. Durante il sonno, numerosi maestri spirituali venivano a offrirle i loro insegnamenti. Molti li avrebbe poi incontrati nel corso della sua esistenza. Col tempo, la relazione con uno di essi divenne più precisa, e sebbene Mirra non sapesse nulla o poco dell’India e della sua filosofia, cominciò a chiamarlo Krishna.

Quando poi incontrò per la prima volta Sri Aurobindo a Pondichéry, la Madre riconobbe in lui il Krishna dei suoi sogni.

All’età di tredici anni, la coscienza della sua particolare presenza tra gli uomini, in questa terra sofferente e colma di miserie, cominciò a delinearsi con più chiarezza. Per quasi un anno, ogni notte, non appena andava a letto:

 

“… mi pareva di uscire dal corpo e di sollevarmi al di sopra delle case, poi sopra la città [di Parigi], molto al di sopra. Mi vedevo allora rivestita di una magnifica veste dorata, molto più lunga di me stessa; e mentre mi sollevavo sempre più, la veste si allungava ancora allargandosi a cerchio attorno a me, formando una sorta di immenso soffitto sopra la città. Vedevo allora uscire da ogni dove uomini, donne, bambini, vecchi, persone malate o infelici; si raccoglievano sotto la veste distesa implorando aiuto, raccontandomi le loro miserie, le loro sofferenze, le loro penose difficoltà. In risposta la veste, flessibile e vivente, si estendeva verso ciascuno di loro, individualmente, e non appena essi la toccavano, si sentivano confortati e guariti, e tornando nei loro corpi erano più felici e più forti di prima. Null’altro mi appariva più bello, niente mi rendeva più felice; e tutte le attività della giornata mi sembravano monotone, senza colore, senza vita reale se confrontate con questa attività notturna che era per me la vera vita”.

 

Da allora, mai lei avrebbe cessato, neppure per un istante, di porre la sua vita al totale servizio degli uomini per la manifestazione sulla terra della verità che la creazione, come rivelata da Sri Aurobindo, rappresenta.

Anche al di fuori dello yoga, in molti furono affascinati dalla sua personalità. Alexandra David Neel, buddista e scrittrice, la prima donna occidentale ad entrare in Tibet, scrisse della Madre: “Ricordo la sua eleganza, la sua cultura, il suo intelletto dalle tendenze mistiche… Nonostante il suo grande amore e la grande dolcezza, nonostante perfino la sua naturalezza innata nel farsi dimenticare dopo aver compiuto nobili atti, non poteva riuscire a nascondere la forza tremenda che portava dentro di sé.” Il poeta giapponese Shumei Okawa, che conobbe la Madre negli anni della sua permanenza in Giappone durante la Prima Guerra Mondiale, disse che la Madre: “aveva una volontà che muoveva le montagne e un intelletto acuminato come la lama di una spada” e che le sue immensità mistiche erano più profonde di un oceano. Tagore, premio Nobel per la letteratura nel 1913, l’avrebbe voluta per dirigere la sua famosa scuola di Shantiniketam.

In molti l’hanno descritta, manifestando a parole la loro ammirazione per un aspetto che coglievano della sua personalità, e la Madre rivelava a ciascuno quanto di se stessa loro potevano ricevere; ma fu solo Sri Aurobindo che la riconobbe, e la descrisse, senza riserve, come la Madre Divina.

Dal 1920 si stabilisce a Pondicherry, dove rimarrà tutta la vita, affiancando con il suo lavoro, pratico e spirituale, quello di Sri Aurobindo.

Scrive Sri Aurobindo:

“La coscienza della Madre e la mia sono la stessa: la Coscienza divina che è una in due, poiché tale è la necessità del gioco divino.

Chiunque si volga alla Madre fa il mio yoga…

Nulla può essere fatto senza la Sua conoscenza e la Sua forza, senza la Sua coscienza.

Se qualcuno sente veramente la coscienza della Madre, dovrebbe sapere che io sono lì, presente dietro ad essa; e se percepisce la mia coscienza, sa che è anche la coscienza della Madre”.

 

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