Alcuni Grandi Maestri :
Shirdi
Di Sitaram Chainbhar
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Un giorno del 1850 arrivò a Shirdi, una piccola località piena di alberi e di giardini fioriti dello Stato di Maharashtra, India, a 100 miglia a nord-ovest di Bombay, un ragazzo di circa sedici anni, dai grandi occhi luminosi sbarrati sul mondo. Fu subito considerato un giovane fachiro, un “pazzo dì Dio”, di cui la comunità di Shirdi doveva prendersi cura.
Veniva da nessuna parte. Non aveva genitori, non conosceva il luogo dove era nato, non aveva un nome. Gli abitanti di Shirdi lo chiamarono Sai e presto tutti si innamorarono di questo giovane saggio che faceva miracoli e a cui obbedivano le forze della natura. Faceva cessare all’istante i nubifragi, spegneva il fuoco a distanza, faceva fiorire gli alberi solo guardandoli.
Viveva nudo sotto un albero neem e spesso era come un bambino che avesse bisogno di tutto e di cui la gente, con le lacrime agli occhi, aveva cura, fino a lavarlo e nutrirlo.
Ma presto, durante le ore del mattino, cominciò a ritirarsi in un giardino. E qui si trasformava, diventava come un essere invasato. Fiamme s’accendevano attorno a lui e improvvisi forti colpi di vento lo gettavano a terra. Urlava parole di cui nessuno conosceva il significato. Poi usciva dal giardino, calmo e sorridente, si sedeva sotto il suo albero e con aria pensosa cominciava a parlare. Anche gli animali si fermavano ad ascoltarlo. Le sue parole erano un balsamo per l’anima di tutti, perché sembravano parole pronunciate per portare un messaggio individuale a ciascuno. Fu così che la gente cominciò a chiamarlo il “Santo di Shirdi“ e a venire a lui da lontano per chiedere silenziosamente il suo aiuto.
Gli indù lo credettero un avatara di qualche loro divinità, i Musulmani lo credettero un pir inviato da Allah per liberare l’umanità dalle ansie e dall’ignoranza. Per alcuni era l’avatara di Dattatreya, l’avatara di Visnù.
Il saggio del periodo post-vedico, e per altri la reincarnazione di Akalkole Maharaj. Molti gli chiedevano di che religione egli fosse, ma Sai non rispondeva. Li guardava stupito con i suoi grandi occhi, come se non capisse la domanda.
Così fra i suoi fedeli cominciò la battaglia. Gli Indù dicevano che era Indù, i Musulmani che era Musulmano. Nei suoi discorsi citava pagine dei libri sacri degli Indù, dei Musulmani, dei Giainiti e anche dei Cristiani. Sai parlava di Dio, padre di tutti gli uomini e creatore di tutte le cose. Inoltre egli partecipava, con gioia infantile, alle cerimonie e alle feste di tutte le religioni. Cantava con gli uccelli, giocava con i bambini e gli animali.
I primi anni passarono veloci nell’oasi verde di Shirdi e quasi nessuno si accorgeva che Sai stava diventando adulto. Il continuo flusso di gente stava trasformando Shirdi in un luogo santo. La folla attorno a lui cresceva e attorno all’albero neem si dovettero abbattere delle case per allargare la piazza che ospitava i fedeli del Santo di Shirdi.
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Un giorno, davanti ad una folla imponente, finalmente parlò di se stesso: “Io non ho una residenza. Sono assolutamente senza attributi. Per azione del Karma ho avuto questo corpo. Il mio nome è un dehi che ha preso corpo. Il mondo è la mia patria. Brahaman è mio padre e maya, l’illusione è mia madre. Dal loro incontro io sono nato. Coloro che credono che io vivo a Shirdi non conoscono il vero Sai, poiché io non ho forma e sono ovunque”.
Dopo questo discorso sparì con grande sgomento della gente di Shirdi e dei suoi fedeli. Dopo quattro anni apparve nello Stato di Nizana, vicino ad Aurangabad, da dove ritornò, verso il 1858, a Shirdi e da qui più non si mosse.
Da quel giorno fu chiamato il Padre Sai. Sotto l’albero neem riprese a parlare: “Ho il compito di riportare un numero sempre più grande di gente sul subhra marga, sul sentiero sacro che porta l’individuo a scoprire la Realtà Spirituale, la vera realtà”.
SHIRDI entrava in dyanastha, una trance d’amore con Dio, e la gente attorno era presa da una tale commozione che da quel momento non era più la stessa.
Diceva che ogni individuo aveva sette sosia sulla Terra. Un Indù o un Musulmano dell’India, se sviluppavano la loro anima, influivano sui loro sette sosia che venivano così inconsciamente attratti dallo Spirito, dall‘amore divino. Chi migliora se stesso, migliora altri sette individui, che diventano centri di buona volontà e di spiritualità.
Certi giorni portava i suoi seguaci sulle rive del vicino fiume Godavari, e l’acqua del fiume usciva dall’argine e veniva a bagnare i suoi piedi. Egli guardava allora la gente attorno a lui e, senza parole, faceva captare loro l’enorme bontà della Natura-Madre. Con i suoi frequenti lila, i giochi con cui usava le forze e le energie in perpetuo movimento per creare l’illusione terrena, egli faceva intuire ai suoi seguaci la potenza di tutto ciò che è eterno, cioè che emana da Brahman, il Tutto, l’Assoluto (l’antimateria da cui deriva la nostra illusoria materia).
A SHIRDI ogni miracolo era possibile, perché viveva nella Realta dell’Essere Supremo. Sai aveva l’abitudine di andare a farsi riempire di olio una lampada che teneva sempre accesa vicio a sé.
Un giorno il bottegaio non gli volle regalare l’olio. Allora Sai riempì la lampada d‘acqua, l’accese e una fiamma più brillante scaturì da quell’acqua e restò accesa tutto il giorno e tutta la notte. Per i suoi seguaci era un miracolo. Ma Sai disse che era soltanto un altro aspetto dell’illusione, un atto d’amore verso il bottegaio.
Questi non gli aveva dato l’olio perché era irato contro se stesso e con il mondo. Con questo lila Sai tanto stupì il bottegaio che dimenticò le sue negatività e fu toccato dall’amore del santo.
Shirdi possedeva l’anterjnana, l’onniscienza.
Sapeva tutto di tutto e spesso diceva: “In qualunque luogo siate, qualsiasi cosa facciate, ricordatevi che io so sempre ciò che voi fate o dite”.
Insegnava a vedere Dio in ogni cosa. Va. Diceva: “Non dimenticate mai che l’odio e il rancore sono illusioni negative, non dimenticate mai che io, voi e tutte le cose del mondo sono tutte parti di Dio”.
Senza aver frequentato una scuola, senza l’aiuto di un guru, Sai conosceva tutto.
Era la “Conoscenza incarnata”, ma egli continuava a ripetere che non era venuto per insegnare ma per svegliare le anime alla Realtà Spirituale.
Diceva: “Sono un completo schiavo dei miei devoti. Amo la devozione. Colui che lascia il mondo per amarmi è il mio vero amante e si fonde in Me come un fiume nel mare.
lo non sono il corpo e i sensi. Sono l’eterna Sakshi, l’eterna testimonianza”.
Molta gente veniva a lui solo per i suoi miracoli, non per dividere i tesori del suo spirito.
Qualche volta, con un triste sorriso, diceva:
“Nessuno si cura di ascoltare le mie parole, di raccogliere la saggezza che io posso dare loro.
Dopo quindici giorni che avrò lasciato questo mondo, tanti mi avranno già dimenticato”.
Il 15 ottobre 1918 fu un triste giorno per gli abitanti di Shirdi.
Quel martedì, alle ore 14.30, Shirdi Sai Baba cessò di respirare ed entrò in maha samadhi in quello stato di grande concentrazione in Dio, che mantiene il corpo fisico in stato di perfetta conservazione.
Dopo 65 anni l’ashram di Shirdi è ancora meta di pellegrinaggi. Vicino alla sua tomba si prova ancora quel senso di beatitudine che per tanti anni ha attirato gente a Shirdi.
CONTINUIAMO A PARLARE DEL SANTO DI SHIRDI
La sua intera vita fu un continuo insegnamento.
Sebbene nel corso degli anni somme sempre più ingenti di denaro e offerte arrivassero alla sua residenza, egli visse sempre nella più assoluta povertà, andando ogni mattina personalmente a mendicare il cibo per la giornata.
Shirdi Non ebbe mai attaccamenti ai beni materiali come soldi o cibo o vestiti, come vestito usava sempre lo stesso straccio di cui egli stesso rammendava e rattoppava i buchi sin tanto che qualche discepolo lo obbligava a sostituirlo con uno nuovo. Tutto quello che arrivava, veniva immediatamente regalato a chi ne aveva bisogno. Non predicò mai la povertà ai sui discepoli e non chiese a nessuno di seguire il suo stile di vita.
Non pose nemmeno divieti sul cibo che ciascuno poteva mangiare, anzi, a volte sforzò qualche bigotto a mangiare ciò che la sua religione gli vietava. Era sempre raggiungibile da chiunque, 24 ore al giorno sempre pronto a rispondere a qualsiasi domanda. Era solito chiedere ogni giorno ai discepoli più ricchi dalle 4 alle 100 rupie (dakshina). Denaro che immediatamente ridistribuiva tra i discepoli più poveri. Richiesto sul perché lo facesse, rispose che chiedeva solo a coloro che gli venivano indicati dal Fakir (Dio), ma che in cambio del denaro ricevuto lui era obbligato a tornare qualcosa di valore dieci volte superiore.
Il suo insegnamento fu essenzialmente l’Amore e la Devozione (Bhakti).
Diceva che il giorno che il discepolo avesse realizzato cos’era veramente, avrebbe automaticamente ottenuto la Realizzazione.
Egli insisteva sempre sul fatto che se si riusciva a vedere Dio in tutto il creato e in ogni creatura, sarebbe risultato assurdo l’odio e le diatribe, divenendo di fatto impossibile provare risentimento verso qualcuno. La strada per raggiungere tutto ciò veniva da lui indicata come l’assoluto arrendersi a Dio.
Il suo insegnamento era perfettamente in linea con i grandi Santi indiani come Shri Adisankaracharya e l’intera tradizione dell’Advaita Vedanta. Con lui quindi ebbe grande impulso la via tradizionale indiana della Bhakti (la via della devozione e dell’amore).
Il fluire di Amore Divino di Shirdi continuò per l’intero arco della sua esistenza.
La maggior parte dei devoti s’avvicinarono inizialmente a Shri Sai attratti dai miracoli che comunemente compiva, con straordinaria facilità.
Lui li stupiva con questi ma l’unico obbiettivo era di portarli ad una vera evoluzione spirituale. Sebbene molti ricercassero in Lui solo lo strumento per soddisfare bisogni materiali o primari, come guarigioni, soldi, matrimoni, figli, ecc. generalmente Lui li accontentava dicendo:
«Io do ai miei devoti ciò che vogliono, affinché comincino a desiderare quello che io voglio dar loro veramente».
«La mia gente all’inizio viene da me per ottenere benefici temporali, ma quando questi vengono ottenuti cominciano a seguirmi»; eppure una volta ebbe a dire, indicando un albero di mango ed intendendo i suoi devoti: «Che splendido raccolto sarebbe se tutti i boccioli diventassero frutti, ma è così? Pochi rimangono.»
Infine molti devoti ebbero effettivamente la realizzazione del Sé; molti di essi descrissero che Shirdi Sai Baba (Sai è una parola persiana che significa “santo” e Baba è un termine hindi, usato con familiarità e rispetto, che significa “padre”) poneva loro la mano sopra il capo, ed essi potevano fare esperienza di cambiamenti spirituali molto intensi godendo di momenti di estasi e profonda pace.
Morì improvvisamente il 15 ottobre del 1918 mentre era seduto assieme ai suoi devoti, in profondo Mahasamadhi. Semplicemente reclinò la testa sulla spalla del devoto che gli sedeva vicino e spirò.
Alcune frasi di Shirdi :
“Queste persone vogliono trovare Dio, Brahman, in questi libri. Non leggere libri ma tienimi nel tuo cuore; se tu unisci ed armonizzi la testa ed il cuore, ciò è sufficiente”.
“Per ottenere Dyana (meditazione) meditate su me, sia nella mia forma sia senza forma, il che vi darà ancor più gioia.”
“Demolite il muro di differenza che vi separa da me. Il senso di separazione, come io e tu, è la barriera che separa il discepolo dal maestro e fino a che questa non è distrutta non è possibile raggiungere lo stato di unione
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Il MAESTRO GESU’ DI NAZARET
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IL MAESTRO CHE SENTO NEL CUORE
IL MAESTRO CHE MI GUIDA E MI TIENE FRA LE BRACCIA
IL MAESTRO CHE MI CONOSCE MI SOPPORTA E MI SUPPORTA
amandomi teneramente
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quando Giovanni Battista aiutò Gesù a entrare in comunione con lo Spirito
Santo, il Cielo si aprì e lo Spirito Santo scese
come una colomba e penetrò nella persona di Gesù. Egli si recò nel deserto e
per quaranta giorni si esercitò a rafforzare
lo Spirito dentro di Sé. Quando in noi germoglia la consapevolezza, dobbiamo
continuare a praticarla se vogliamo
consolidarla.
Ascoltando veramente il canto di un uccello o osservando veramente un cielo
azzurro, tocchiamo il seme dello
Spirito Santo dentro di noi. Per i bambini non è molto difficile riconoscere
la presenza dello Spirito Santo. Gesù diceva
che per entrare nel regno di Dio dobbiamo farci fanciulli. Quando l’energia
dello Spinto Santo è in noi, siamo veramente
vivi, siamo capaci di comprendere l’altrui sofferenza e motivati dal
desiderio di contribuire a trasformare la situazione.
Quando l’energia dello Spirito Santo è presente, sono presenti il Padre e il
Figlio.
Discutere di Dio non è il migliore uso che possiamo fare della nostra
energia. Se entriamo in contatto con lo Spirito
Santo, ci accostiamo a Dio non quale concetto bensì quale realtà vivente.
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Non vi sono immagini di Gesu’….posto queste perche’ mi piace vederlo come io l’ho veduto in un mio “viaggio particolare”
La religione me lo ha presentato in un modo, ma io lo voglio ascoltare col cuore
Per me sono piu’ importanti i suoi insegnamenti, il suo amore la sua totale disponobilita’
Non ci sono parole per rappresentarlo degnamente
Posto qui fatti della sua vita ma la sua parola e’ piena di vita e’ quella che conta perche’ la sua integrita’ era unica
Ai giorni dell’imperatore Cesare Augusto, una giovane vergine di Nazareth (una cittadina della Galilea) che era stata promessa sposa a Giuseppe, figlio di Giacobbe, che era della casa di Davide, ricevette la visita di un santo angelo di Dio il quale le preannunziò che ella avrebbe concepito e partorito un figlio che sarebbe stato grande e sarebbe stato chiamato Figlio dell’Altissimo; il suo nome sarebbe stato Gesù. A lui Dio avrebbe dato il regno di Davide suo padre ed Egli avrebbe dominato su Israele in eterno. Maria, questo il nome della giovane vergine, sentendo dirgli quelle parole chiese come sarebbe potuto avvenire tutto ciò dato che lei non conosceva uomo; e l’angelo le rispose che lo Spirito Santo sarebbe venuto sopra di lei, e la potenza di Dio l’avrebbe coperta della sua ombra, per cui il santo che sarebbe nato sarebbe stato chiamato Figliuolo di Dio. Al che Maria rispose all’angelo che le fosse fatto secondo la sua parola.
E così avvenne, Maria rimase incinta per virtù dello Spirito Santo, senza che Giuseppe l’avesse conosciuta. Ma quando Giuseppe, tempo dopo, si accorse che la sua promessa sposa era incinta si propose di lasciarla di nascosto; ma mentre aveva queste cose nell’animo un angelo di Dio gli apparve in sogno e gli disse di non preoccuparsi di prendere Maria in sposa perché quello che in lei era generato era dallo Spirito Santo; e che lui avrebbe dovuto mettere al figlio che doveva nascere il nome di Gesù che significa ‘YHWH salva‘ (YHWH è il nome ebraico di Dio che si pronuncia Yahweh). Tranquillizzato da quelle parole, Giuseppe appena si svegliò prese in sposa Maria, sapendo per certo che il messaggero di Dio che gli era apparso non gli aveva mentito.
Proprio in quei giorni avvenne che uscì da parte di Cesare Augusto un decreto che si facesse un censimento di tutto l’impero. Allora Giuseppe prese la sua sposa che era incinta e si recò a Betleem a farsi registrare perché, come abbiamo detto innanzi, egli era della casa di Davide. Ed avvenne che mentre si trovavano a Betleem di Giuda, Maria partorì il fanciullo a cui in capo a otto giorni, quando fu circonciso, fu posto il nome di Gesù.
Il giorno stesso in cui Gesù nacque, apparve a dei pastori della contrada di Betleem un angelo del Signore il quale gli annunziò la buona notizia che in quel giorno nella città di Davide era nato il Salvatore, che era Cristo (dal greco Christòs che significa ‘Unto’), il Signore. Essi dunque, udito ciò, si recarono a Betleem e vi trovarono il fanciullino e divulgarono quello che era loro stato detto di quel bambino. Al sentire quelle cose coloro che erano là presenti si meravigliarono.
Quando si compirono i giorni durante i quali – secondo la legge – la donna che aveva partorito un figlio maschio doveva rimanere a purificarsi del suo sangue, i suoi genitori lo portarono in Gerusalemme per presentarlo al Signore, ed anche per offrire l’olocausto e il sacrificio per il peccato che prescriveva la legge di Mosè.
In seguito, quando Gesù aveva ancora poche settimane giunsero a Betleem, presso la casa dove egli era tenuto, dei magi provenienti dall’Oriente i quali lo adorarono, e aperti i loro tesori gli offrirono dei doni: oro, incenso e mirra. Come avevano fatto quegli uomini a giungere a Betleem? In questa maniera: mentre erano in Oriente era apparsa loro la sua stella che li aveva condotti in Israele. Giunti a Gerusalemme avevano chiesto dove fosse il re dei Giudei che era nato perché essi erano venuti per adorarlo. Ed il re della Giudea, Erode, chiamati gli scribi e i capi sacerdoti, s’informò da loro dove il Cristo doveva nascere, ed essi gli dissero che il Cristo doveva nascere in Betleem di Giudea. Il re dunque aveva mandato i magi a Betleem (dopo essersi informato del tempo in cui la stella era apparsa loro), dicendogli di tornare poi da lui quando avrebbero trovato il fanciullino perché pure lui voleva andare ad adorarlo. Ma i magi dopo avere trovato il fanciullino Gesù, non tornarono da Erode perché furono divinamente avvertiti in sogno di non ripassare da Erode; quindi per altra via tornarono al loro paese.
Questo naturalmente fece infuriare Erode che si vide beffato dai magi; e allora egli mandò a sterminare tutti i maschi ch’erano in Betleem e in tutto il suo territorio dall’età di due anni in giù (secondo il tempo del quale egli s’era informato dai magi). Ma il fanciullino Gesù non fu messo a morte perché Dio mediante un angelo aveva avvertito per tempo Giuseppe dicendogli di prendere il fanciullino e sua madre e di andare in Egitto e rimanervi fino a nuovo ordine. Quando poi Erode fu morto, allora Dio, sempre mediante un suo angelo, avvertì Giuseppe e gli disse di tornare in Israele.
Giunto in Israele, Giuseppe si ritirò in Galilea e precisamente nella città di Nazareth. Qui in Nazareth Gesù fu allevato dai suoi genitori e cresceva in sapienza e in statura, si fortificava e la grazia di Dio era sopra lui.
Quando Gesù raggiunse i trenta anni circa lasciò la Galilea e si recò al fiume Giordano a farsi battezzare da Giovanni il Battista, che era apparso da qualche tempo nel deserto della Giudea predicando un battesimo di ravvedimento per la remissione dei peccati. Chi era costui? Egli non era né Elia, e neppure il Cristo, come lui stesso ebbe a rispondere a quei Farisei che lo avevano interrogato un giorno al di là del Giordano dove lui stava battezzando; ma egli era colui del quale aveva parlato Dio tramite il profeta Malachia quando disse: “Ecco, io vi mando il mio messaggero; egli preparerà la via davanti a me” (Mal. 3:1). Un uomo perciò che Dio aveva mandato innanzi al suo Unto per preparargli la via. Ma in che maniera il messaggero di Dio avrebbe preparato la strada davanti all’Unto di Dio? Testimoniando di lui affinché tutti credessero per mezzo di lui; e questo difatti è quello che fece Giovanni.
Quando in quel giorno il Battista lo battezzò e Gesù fu uscito dall’acqua avvenne che i cieli si apersero ed egli vide scendere su di lui lo Spirito Santo in forma corporea a guisa di colomba ed udì una voce che disse: “Questo è il mio diletto Figliuolo nel quale mi son compiaciuto” (Matt. 3:17). Da allora il Battista cominciò ad attestare alle turbe: “Ho veduto lo Spirito scendere dal cielo a guisa di colomba, e fermarsi su di lui. E io non lo conoscevo; ma Colui che mi ha mandato a battezzare con acqua, mi ha detto: Colui sul quale vedrai lo Spirito scendere e fermarsi, è quel che battezza con lo Spirito Santo. E io ho veduto e ho attestato che questi è il Figliuol di Dio” (Giov. 1:32-34). In occasione dunque del suo battesimo in acqua Gesù di Nazareth fu unto da Dio di Spirito Santo.
Dopo che Gesù fu unto, lo Spirito Santo lo condusse nel deserto affinché fosse tentato da Satana. Dopo che ebbe digiunato per quaranta giorni e quaranta notti per tre volte il tentatore cercò di farlo cadere in peccato; ma Gesù si oppose a lui in maniera efficace citandogli la legge del Signore che egli aveva riposto nel suo cuore secondo che è scritto: “La legge del suo Dio è nel suo cuore; i suoi passi non vacilleranno” (Sal. 37:31). Il diavolo allora lo lasciò fino ad altra occasione, e gli angeli di Dio vennero a servirlo.
Dopo di ciò, Gesù tornò in Galilea dove cominciò a predicare e ad insegnare, glorificato da tutti. Venne anche a Nazareth dove era stato allevato, ma qui i suoi concittadini si levarono pieni di ira contro di lui perché dopo che egli ebbe letto in sinagoga quel passo di Isaia dove è detto: “Lo Spirito del Signore, dell’Eterno è su me, perché l’Eterno m’ha unto per recare una buona novella agli umili; m’ha inviato per fasciare quelli che hanno il cuore rotto, per proclamare la libertà a quelli che sono in cattività, l’apertura del carcere ai prigionieri, per proclamare l’anno di grazia dell’Eterno” (Is. 61:1), egli affermò che in quel giorno quella Scrittura s’era adempiuta, e che nessun profeta è ben accetto nella sua patria. Essi allora lo cacciarono fuori dalla città e cercarono di precipitarlo giù dal ciglio del monte su cui era fabbricata Nazareth, ma egli passando in mezzo a loro se ne andò a Capernaum, città sul mare ai confini di Zabulon e Neftali, dove fissò la sua residenza, infatti questa città è chiamata la sua città (cfr. Matt. 9:1).
Gesù andava attorno di città in città e di villaggio in villaggio predicando ed annunziando la buona novella del regno di Dio. Egli diceva alla turbe: “Ravvedetevi e credete all’Evangelo” (Mar. 1:15); quindi esortava tutti a pentirsi dei loro peccati ed a credere nella buona notizia di cui lui era l’ambasciatore per volontà di Dio. Il profeta Isaia infatti aveva detto del Cristo che egli avrebbe recato una buona novella ai poveri. Ma in che cosa consisteva questa buona notizia in cui Gesù ordinava agli uomini di credere? Nel fatto che Dio nella pienezza dei tempi aveva mandato nel mondo il suo Figliuolo affinché chiunque credesse in lui non perisse ma avesse vita eterna. In altre parole nella meravigliosa notizia che Dio nel suo grande amore aveva mandato nel mondo il suo Figliuolo affinché per mezzo di lui il mondo fosse salvato, e che per essere salvati era necessario, indispensabile, credere in lui.
Oltre ad annunziare ai Giudei il ravvedimento e la fede in lui, Gesù insegnò molte cose in parabole alle turbe e così si adempirono le parole del profeta: “Io aprirò la mia bocca per proferir parabole, esporrò i misteri dei tempi antichi” (Sal. 78:2).
Ma Gesù operò anche tante guarigioni in mezzo ai Giudei. Egli risuscitò pure i morti e cacciò molti demoni dai corpi di coloro che li possedevano, e questo perché Dio era con lui.
Ma nonostante Gesù andasse in giro per il paese dei Giudei facendo del bene, e guarendo tutti coloro che erano sotto il dominio del diavolo perché Dio era con lui, ci furono molti che non credettero in lui, e dissero di lui che era un mangione e un ubriacone, uno che seduceva le persone, un pazzo, uno che aveva il principe dei demoni e mediante di esso cacciava i demoni, un peccatore perché violava il sabato, un bestemmiatore perché chiamava Dio suo Padre e si faceva uguale a lui. Calunnie, solo calunnie; perché Gesù fu un uomo temperato in ogni cosa; un uomo che non cercò mai il suo interesse come invece fanno i seduttori di menti che insegnano cose che non dovrebbero per amore di disonesto guadagno; un uomo ripieno di sapienza, ma non di quella dei principi di questo mondo ma di quella di Dio misteriosa ed occulta; un uomo ripieno di Spirito Santo che cacciava i demoni per l’aiuto dello Spirito; un uomo che non violò mai il Sabato perché in giorno di Sabato è lecito di fare del bene, è lecito di salvare una persona e lui in quel giorno faceva proprio questo guarendo coloro che avevano bisogno di guarigione; un uomo verace che non si fece uguale a Dio per presunzione ma perché egli era uguale a Dio per natura essendo il suo Unigenito Figliuolo venuto da presso a Lui. Ma quantunque fosse uguale a Dio, Egli non reputò una cosa da ritenere con avidità questa uguaglianza con Dio ma umiliò se stesso prendendo la forma di servo, divenendo simile ai figliuoli degli uomini. Ecco perché molti non riconobbero in lui il Figlio di Dio perché si presentò sotto forma di un umile servo che apparentemente non aveva nulla di diverso dagli altri uomini.
Queste calunnie naturalmente fecero soffrire Gesù perché egli si vide rigettato proprio da quelli di casa sua; egli soffrì come i profeti che erano stati prima di lui i quali erano stati mandati da Dio al popolo per il suo bene ed invece furono rigettati e calunniati in ogni maniera quasi che essi cercassero il suo male. Si adempirono così le parole del profeta Isaia con cui egli aveva definito il Cristo: “Uomo di dolore, familiare col patire” (Is. 53:3), e così fu infatti Gesù Cristo.
Tra coloro che rigettarono Gesù ci furono i capi sacerdoti e i Farisei i quali, avendo disconosciuto lui e le dichiarazioni dei profeti che si leggevano ogni sabato, deliberarono di pigliarlo e di farlo morire.
Alcuni giorni prima della Pasqua, Gesù salì a Gerusalemme entrandovi montato sopra un asinello. Avvenne proprio in quei giorni che precedevano la Pasqua che Satana entrò in uno dei discepoli di Gesù, chiamato Giuda Iscariota, il quale andò dai capi sacerdoti per darglielo nelle mani. Ed essi rallegratisi di ciò, promisero di dargli in cambio del denaro, trenta sicli d’argento. Da quel momento perciò Giuda Iscariota cercava il momento opportuno di tradirlo.
Avvenne così che durante la festa della Pasqua, dopo che Gesù ebbe mangiato la Pasqua coi suoi discepoli che Giuda uscì da dove essi erano radunati. Poco dopo venne nell’orto del Getsemani, dove Gesù intanto era andato coi suoi discepoli per pregare, con una grande turba che aveva spade e bastoni. Dopo avere ricevuto il convenuto segnale da parte di Giuda, costoro misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono; esattamente come avrebbero fatto con un malfattore. Tutti i suoi discepoli allora lo lasciarono e se ne fuggirono.
Lo portarono prima davanti al Sinedrio che lo condannò come reo di morte perché si era dichiarato il Figlio di Dio, e quindi per bestemmia. Quando i membri del Sinedrio dissero: “È reo di morte” (Matt. 26:66), gli sputarono in viso e gli diedero dei pugni; e altri lo schiaffeggiarono, dicendo: “O Cristo profeta, indovinaci: Chi t’ha percosso?” (Matt. 26:68). Poi, legatolo, lo menarono dal governatore Ponzio Pilato per chiedergli di crocifiggerlo. Questi in un primo tempo aveva deliberato di liberarlo perché non trovava in lui nulla che fosse degno di morte (lo aveva anche mandato da Erode che in quei giorni si trovava in Gerusalemme il quale lo aveva schernito coi suoi soldati, ed anche lui non aveva trovato in Gesù alcuna delle colpe di cui l’accusavano i capi sacerdoti e gli scribi), ma siccome la moltitudine chiedeva con grande grida di crocifiggerlo acconsentì a quello che essa chiedeva e perciò comandò che fosse fatto prima flagellare e poi crocifiggere. I soldati del governatore lo menarono allora dentro il pretorio e lo vestirono di porpora, gli misero sul capo una corona di spine, una canna nella mano destra, e prostratisi davanti a lui lo beffavano dicendo: Salve, re dei Giudei! e gli percuotevano il capo con la canna e gli sputavano addosso.
Dopo averlo spogliato della porpora e rivestito dei suoi vestimenti lo menarono fuori al luogo detto Golgota, dove lo inchiodarono sulla croce affinché si adempissero le parole: “M’hanno forato le mani e i piedi” (Sal. 22:16), in mezzo a due malfattori e questo affinché si adempissero le parole di Isaia: “E’ stato annoverato fra i trasgressori” (Is. 53:12).
Mentre era appeso sulla croce i soldati presero le sue vesti e ne fecero quattro parti affinché ognuno di loro ne avesse una parte, mentre la tunica la tirarono a sorte per sapere a chi toccherebbe; questo avvenne affinché si adempisse la Scrittura: “Spartiscon fra loro i miei vestimenti e tirano a sorte la mia veste” (Sal. 22:18).
Un’altra cosa che avvenne mentre Gesù era appeso sulla croce agonizzante fu che lui venne schernito da coloro che passavano di là e dai capi sacerdoti, dagli scribi e dagli anziani i quali gli dicevano: “Ha salvato altri e non può salvar se stesso! Da che è il re d’Israele, scenda ora giù di croce, e noi crederemo in lui. S’è confidato in Dio; lo liberi ora, s’Ei lo gradisce, poiché ha detto: Son Figliuol di Dio” (Matt. 27:42-44); e questo avvenne affinché si adempissero le parole di Davide: “Chiunque mi vede si fa beffe di me; allunga il labbro, scuote il capo, dicendo: Ei si rimette nell’Eterno; lo liberi dunque; lo salvi, poiché lo gradisce” (Sal. 22:7-8), ed ancora: “Apron la loro gola contro a me, come un leone rapace e ruggente” (Sal. 22:13).
Prima che Gesù spirasse gridò: “Elì, Elì, lamà sabactanì? cioè: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Matt. 27:46), e in quel momento uno degli astanti corse a prendere una spugna e inzuppatala d’aceto e postala in cima ad una canna gli diè da bere. Questo avvenne affinché si adempisse quello che era stato detto da Davide: “Nella mia sete, m’han dato a ber dell’aceto” (Sal. 69:21).
Dopo che Gesù spirò, i soldati vennero a fiaccare le gambe a coloro che erano sulla croce, fiaccarono le gambe ai due che erano stati crocifissi con lui, ma a Gesù non gliele fiaccarono, perché lo videro già morto, affinché si adempisse la Scrittura che dice: “Niun d’osso d’esso sarà fiaccato” (Giov. 19:36; Sal. 34:20). Quella sera si adempì anche la Scrittura: “Ed essi riguarderanno a me, a colui ch’essi hanno trafitto” (Zacc. 12:10).
Per dire qualcosa di lui, ed e’ un’impresa che sento superiore alle mie forze, postero’ sue frasi dal vangelo di tommaso considerato apocrifo
PERCHE’ LO “SENTO PIU’ VERO”
100 Parabole di Gesù trascritte da Didimo Giuda Tommaso
- E lui disse: “Chiunque trova l’interpretazione di queste parole non conoscerà la morte”.
- Gesù disse: “Coloro che cercano cerchino finché troveranno. Quando troveranno, resteranno turbati. Quando saranno turbati si stupiranno, e regneranno su tutto.”
- Gesù disse: “Se i vostri capi vi diranno: il Regno è nei cieli, allora gli uccelli dei cieli vi precederanno. Se vi diranno è nei mari, allora i pesci vi precederanno. Invece, il Regno è dentro di voi e fuori di voi. Quando vi conoscerete sarete riconosciuti, e comprenderete di essere figli del Padre vivente. Ma se non vi conoscerete, allora sarete la miseria stessa.”
- Gesù disse: “L’uomo di età avanzata non esiterà a chiedere a un bambino di sette giorni dov’è il luogo della vita, e quell’uomo vivrà. Perché molti dei primi saranno ultimi, e diventeranno tutt’uno.”
- Gesù disse: “Sappiate cosa vi sta davanti agli occhi, e quello che vi è nascosto vi sarà rivelato.
Perché nulla di quanto è nascosto non sarà rivelato.” - Gli chiesero i discepoli: “Vuoi che digiuniamo? Come dobbiamo pregare? Dobbiamo fare elemosine? Quale dieta dobbiamo osservare?” Gesù disse: “Non mentite, e non fate ciò che odiate, perché ogni cosa è manifesta in cielo. Alla fine, nulla di quanto è nascosto non sarà rivelato, e nulla di quanto è celato resterà nascosto.”
- Gesù disse: “Fortunato è il leone che verrà mangiato dall’umano, perché il leone diventerà umano. E disgraziato è l’umano che verrà mangiato dal leone, poiché il leone diventerà comunque umano.”
- E disse: “L’uomo è come un pescatore saggio che gettò la rete in mare e la ritirò piena di piccoli pesci. Tra quelli il pescatore saggio scoprì un ottimo pesce grosso. Rigettò tutti gli altri pesci in mare, potendo scegliere il pesce grosso con facilità. Chi ha buone orecchie intenda!”
- Gesù disse: “Un seminatore uscì, prese una manciata di semi e seminò. Alcuni caddero sulla strada, e gli uccelli vennero a raccoglierli. Altri caddero sulla pietra, non misero radici e non produssero spighe. Altri caddero sulle spine, e i semi soffocarono e furono mangiati dai vermi. E altri caddero sulla terra buona, e produssero un buon raccolto, che diede il sessanta per uno e il centoventi per uno.”
- Gesù disse: “Ho appiccato fuoco al mondo, e guardate, lo curo finché attecchisce.”
- Gesù disse: “Questo cielo scomparirà, e quello sopra pure scomparirà. I morti non sono vivi, e i vivi non morranno. Nei giorni in cui mangiaste ciò che era morto lo rendeste vivo. Quando sarete nella luce, cosa farete? Un giorno eravate uno, e diventaste due. Ma quando diventerete due, cosa farete?”
- I discepoli dissero a Gesù: “Sappiamo che tu ci lascerai. Chi sarà la nostra guida?”
Gesù disse loro: “Dovunque siate dovete andare da Giacomo il Giusto, per amore del quale nacquero cielo e terra.” - Gesù disse ai suoi discepoli: “Paragonatemi a qualcuno e ditemi come sono.”
Simon Pietro gli disse: “Sei come un onesto messaggero.” Matteo gli disse, “Sei come un filosofo sapiente.” Tommaso gli disse: “Maestro, la mia bocca è totalmente incapace di esprimere a cosa somigli.” Gesù disse: “Non sono il tuo maestro. Hai bevuto, e ti sei ubriacato dell’acqua viva che ti ho offerto.” E lo prese con sé, e gli disse tre cose. Quando Tommaso tornò dai suoi amici questi gli chiesero: “Cosa ti ha detto Gesù?” Tommaso disse loro: “Se vi dicessi una sola delle cose che mi ha detto voi raccogliereste delle pietre e mi lapidereste, e del fuoco verrebbe fuori dalle rocce e vi divorerebbe.” - Gesù disse loro: “Se digiunate attirerete il peccato su di voi, se pregate sarete condannati, e se farete elemosine metterete in pericolo il vostro spirito. Quando arrivate in una regione e vi aggirate per la campagna, se la gente vi accoglie mangiate quello che vi offrono e prendetevi cura dei loro ammalati. Dopo tutto, quello che entra nella vostra bocca non può rendervi impuri, è quello che viene fuori dalla vostra bocca che può rendervi impuri.”
- Gesù disse: “Quando vedrete uno che non è nato da una donna, prostratevi e adoratelo. Quello è il vostro Padre.”
- Gesù disse:”La gente pensa che io sia venuto a portare la pace nel mondo. Non sanno che sono venuto a portare il conflitto nel mondo: fuoco, ferro, guerra. Perché saranno in cinque in una casa: ce ne saranno tre contro due e due contro tre, padre contro figlio e figlio contro padre, e saranno soli.”
- Gesù disse: “Vi offrirò quello che nessun occhio ha visto, nessun orecchio ha udito, nessuna mano ha toccato, quello che non è apparso nel cuore degli uomini.”
- I discepoli chiesero a Gesù: “Dicci, come verrà la nostra fine?” Gesù disse: “Avete dunque trovato il principio, che cercate la fine? Vedete, la fine sarà dove è il principio. Beato colui che si situa al principio, perché conoscerà la fine e non sperimenterà la morte.”
- Gesù disse: “Beato colui che nacque prima di nascere. Se diventate miei discepoli e prestate attenzione alle mie parole, queste pietre vi obbediranno. Perché vi sono cinque alberi per voi in Paradiso; non mutano, inverno ed estate, e le loro foglie non cadono. Chiunque li conoscerà non sperimenterà la morte.”
- I discepoli chiesero a Gesù: “Com’è il Regno dei Cieli?” E lui rispose loro: “È come un seme di senape, il più piccolo dei semi, ma quando cade sul terreno coltivato produce una grande pianta e diventa un riparo per gli uccelli del cielo.”
- Maria chiese a Gesù: “Come sono i tuoi discepoli?” Lui disse: “Sono come bambini in un terreno che non gli appartiene. Quando i padroni del terreno arrivano, dicono, ‘Restituiteci il terreno.’ E quelli si spogliano dei loro abiti per renderglieli, e gli restituiscono il terreno. Per questo motivo dico, se i proprietari di una casa sanno che sta arrivando un ladro staranno in guardia prima che quello arrivi e non gli permetteranno di entrare nella loro proprietà e rubargli i loro averi. Anche voi, quindi, state in guardia nei confronti del mondo. Preparatevi con grande energia, così i ladri non avranno occasione di sopraffarvi, perché la disgrazia che attendete verrà. Che fra voi ci sia qualcuno che comprenda. Quando il raccolto fu maturo, lui arrivò subito con un sacco e lo mieté. Chi ha orecchie intenda!”
- Gesù vide alcuni neonati che poppavano. Disse ai suoi discepoli, “Questi neonati che poppano sono come quelli che entrano nel Regno.” E loro: “Allora entreremo nel Regno come neonati?”
Gesù disse: “Quando farete dei due uno, e quando farete l’interno come l’esterno e l’esterno come l’interno, e il sopra come il sotto, e quando farete di uomo e donna una cosa sola, così che l’uomo non sia uomo e la donna non sia donna, quando avrete occhi al posto degli occhi, mani al posto delle mani, piedi al posto dei piedi, e figure al posto delle figure allora entrerete nel Regno.” - Gesù disse: “Sceglierò fra voi, uno fra mille e due fra diecimila, e quelli saranno come un uomo solo.”
- Dissero i suoi discepoli: “Mostraci il luogo dove sei, perché ci occorre cercarlo.”
Lui disse loro, “Chiunque qui abbia orecchie ascolti! C’è luce in un uomo di luce, e risplende sul mondo intero. Se non risplende, è buio.” Allora chiesero: “Quando verrà il Regno dei Cieli?” Rispose: “Non verrà cercandolo. Non si dirà: ‘Guarda, è qui!’, oppure: ‘Guarda, è lì!’ Piuttosto, il Regno del Padre è sulla terra, e nessuno lo vede.” - Gesù disse: “Amate il vostro amico come voi stessi, proteggetelo come la pupilla del vostro occhio.”
- Gesù disse: “Voi guardate alla pagliuzza nell’occhio del vostro amico, ma non vedete la trave nel vostro occhio. Quando rimuoverete la trave dal vostro occhio, allora ci vedrete abbastanza bene da rimuovere la pagliuzza dall’occhio dell’amico.”
- Gesù disse: “Ho preso il mio posto nel mondo, e sono apparso loro in carne ed ossa. Li ho trovati tutti ubriachi, e nessuno assetato. Il mio animo ha sofferto per i figli dell’umanità, perché sono ciechi di cuore e non vedono, poiché sono venuti al mondo vuoti, e cercano di andarsene dal mondo pure vuoti. Ma nel frattempo sono ubriachi. Quando si libereranno dal vino, cambieranno condotta.”
- Gesù disse: “Se la carne fosse nata a causa dello spirito sarebbe una meraviglia, ma se lo spirito fosse nato a causa del corpo sarebbe una meraviglia delle meraviglie. Eppure mi stupisco di come questa grande ricchezza si sia ridotta in tale miseria.”
- Gesù disse: “Dove ci sono tre divinità, esse sono divine. Dove ce ne sono due o una, io sono con lei.”
- Gesù disse: “Nessun profeta è benvenuto nel suo paese; i dottori non curano i loro conoscenti.”
- Gesù disse: “Una città costruita su un’alta collina e fortificata non può essere presa, né nascosta.”
- Gesù disse: “Quanto ascolterete con le vostre orecchie, proclamatelo dai vostri tetti ad altre orecchie. Dopo tutto, nessuno accende una lampada per metterla in un baule, né per metterla in un posto nascosto. Piuttosto, la mette su un lampadario così che chiunque passi veda la sua luce. Se un cieco guida un cieco, entrambi cadranno in un fosso.””
- Gesù disse: “Nessuno può entrare nella casa di un uomo robusto e prenderla con la forza se prima non gli lega le mani. A quel punto uno può sottrargli la casa.”
- Gesù disse: “Non vi tormentate dalla mattina alla sera, al pensiero di cosa indossare.”
- I suoi discepoli chiesero: “Quando ci apparirai, e quando tornerai a visitarci?”
Gesù rispose: “Quando vi spoglierete senza vergognarvi, e metterete i vostri abiti sotto i piedi come bambini e li distruggerete, allora vedrete il figlio di colui che vive e non avrete timore.” - Gesù disse: “Spesso avete desiderato ascoltare queste parole che vi dico, e non avevate nessuno da cui ascoltarle. Vi saranno giorni in cui mi cercherete e non mi troverete.”
- Gesù disse: “I Farisei e gli accademici hanno preso le chiavi della conoscenza e le hanno nascoste. Non sono entrati, e non hanno permesso a quelli che volevano entrare di farlo. Quanto a voi, siate furbi come serpenti e semplici come colombe.”
- Gesù disse: “Una vite è stata piantata lontano dal Padre. Poiché non è robusta, sarà sradicata e morrà.”
- Gesù disse: “Chiunque ha qualcosa in mano riceverà di più, e chiunque non ha nulla sarà privato anche del poco che ha.”
- Gesù disse: “Siate come passanti.” I suoi discepoli gli chiesero: “Chi sei tu per dirci queste cose?” Allora rispose: “Non comprendete chi sono da quello che dico, perché siete diventati come i Giudei, che amano l’albero ma odiano i frutti, o amano i frutti ma odiano l’albero.”
- Gesù disse: “Chiunque bestemmia contro il Padre sarà perdonato, e chiunque bestemmia contro il figlio sarà perdonato, ma chiunque bestemmia contro lo Spirito Santo non sarà perdonato, né sulla terra né in cielo.”
- Gesù disse: “L’uva non si coglie dai rovi, né i fichi dai cardi, poiché essi non danno frutti. I buoni producono bene da quanto hanno accumulato; i cattivi producono male dalla degenerazione che hanno accumulato nei loro cuori, e dicono cose malvagie. Poiché dal traboccare del cuore producono il male.”
- Gesù disse: “Da Adamo a Giovanni il Battista, fra quanti nacquero da donna nessuno è tanto più grande di Giovanni il Battista da non dover abbassare lo sguardo. Ma vi dico che chiunque fra voi diventerà un bambino riconoscerà il Regno e diventerà più grande di Giovanni.”
- Gesù disse: “Un uomo non può stare in sella a due cavalli o piegare due archi. E uno schiavo non può servire due padroni, altrimenti lo schiavo onorerà l’uno e offenderà l’altro. Nessuno beve vino stagionato e subito dopo vuole bere vino giovane. Il vino giovane non viene versato in otri nuovi, altrimenti si guasta. Non si cuce un panno vecchio su un abito nuovo, perché si strapperebbe.”
- Gesù disse: “Se due persone fanno pace in una stessa casa diranno alla montagna: spostati! e quella si sposterà.”
- Gesù disse: “Beati coloro che sono soli e scelti, perché troveranno il Regno dei Cieli. Poiché da lì venite, e lì ritornerete.”
- Gesù disse: “Se vi chiederanno da dove venite, rispondete: ‘Veniamo dalla Luce, dal luogo dove la Luce è apparsa da sé, si è stabilita, ed è apparsa nella sua immagine.’ Se vi chiederanno: ‘Siete voi?’ dite: ‘Siamo i suoi figli, e siamo i prescelti del Padre vivente.’ Se vi chiederanno: ‘Qual è la prova che il Padre è in voi?’ dite loro: ‘È il movimento e la quiete.’ ”
- I suoi discepoli gli chiesero: “Quando riposeranno i morti, e quando verrà il nuovo mondo?”
Lui disse: “Quello che aspettate è già venuto, ma non lo sapete.” - I discepoli gli dissero: “E’ utile o no la circoncisione?” Lui rispose: “Se fosse utile, il loro padre genererebbe figli già circoncisi dalla loro madre. Invece, la vera circoncisione nello spirito è diventata vantaggiosa da ogni punto di vista.”
- Gesù disse: “Beato il povero, perché suo è il Regno dei Cieli. Beato l’uomo che si è impegnato e ha trovato la vita.”
- Gesù disse: “Chi non odierà suo padre e sua madre non potrà essere mio discepolo, e chi non odierà fratelli e sorelle, e porterà la croce come faccio io, non sarà degno di me. “Chiunque non odia padre e madre come me non può essere mio discepolo, e chiunque non ama padre e madre come me non può essere mio discepolo. Poiché mia madre è solo una parola, ma la mia vera madre mi ha dato la vita.”
- Gesù disse: “Chi è arrivato a conoscere il mondo ha scoperto una carcassa, e di chiunque ha scoperto una carcassa il mondo non è degno.”
- Gesù disse: “Il regno del Padre è come un uomo che ha dei semi. Il suo nemico di notte gli ha piantato erbacce fra i semi. L’uomo non ha voluto che i braccianti gli strappassero le erbacce, ma ha detto loro, ‘No, altrimenti per strappare le erbacce potreste finire per strappare anche il grano.’ Poiché il giorno del raccolto le erbacce saranno molte, e saranno strappate e bruciate.
- Gesù disse: “Guardate colui che vive finché vivete, altrimenti potreste morire e poi cercare di scorgere colui che vive, e non ne sareste capaci.”
- Vide un samaritano che portava un capretto e andava in Giudea. Disse ai suoi discepoli, “Quell’uomo sta portandosi dietro il capretto fino in Galilea.” Loro gli dissero: “Così da ucciderlo e mangiarlo.” Lui disse loro: “Non lo mangerà finché è vivo, ma solo dopo averlo ucciso e ridotto a cadavere.”
Loro risposero, “Non potrebbe fare altrimenti.” Lui disse loro: “Allora anche voi cercatevi un posto per riposare, o potreste diventare cadaveri e venire mangiati.” - Gesù disse: “In due si adageranno su un divano; uno morirà, l’altro vivrà.” Disse Salomè: “Chi sei tu signore? Sei salito sul mio divano e hai mangiato dalla mia tavola come se qualcuno ti avesse inviato.” Gesù le disse: “Sono quello che viene da ciò che è integro. Mi sono state donate delle cose di mio Padre.” Disse Salomè: “Sono tua discepola.” E Gesù rispose: “Per questa ragione io ti dico, se uno è integro verrà colmato di luce, ma se è diviso, sarà riempito di oscurità. Io rivelo i miei misteri a coloro che ne sono degni. Che la vostra mano sinistra non sappia cosa fa la destra.”
- Gesù disse: “C’era un ricco che aveva molto denaro. Disse: ‘Investirò questo denaro così da poter seminare, mietere e riempire i miei magazzini con il raccolti, in modo che non mi manchi nulla.’ Questo pensava in cuor suo, ma quella stessa notte morì. Chi fra voi ha orecchie intenda!”
- Gesù disse: “Un uomo organizzò un ricevimento. Quando ebbe preparato la cena, mandò il suo servo a invitare gli ospiti. Il servo andò dal primo e gli disse: ‘Il padrone ti invita.’ E quegli rispose: ‘Ci sono dei mercanti che mi devono dei soldi, e vengono da me stasera. Devo andare a dar loro istruzioni. Lo prego di scusarmi ma non posso venire a cena.’ Il servo andò da un altro e disse,:’Il padrone ti ha invitato.’ Quegli disse al servo: ‘Ho comprato una casa, e devo assentarmi per un giorno. Non avrò tempo per la cena.’ Il servo andò da un altro e gli disse: ‘Il padrone ti invita.’ Quegli disse al servo: ‘Un mio amico si sposa, e devo preparargli il banchetto. Non potrò venire. Lo prego di scusarmi se non posso venire.’ Il servo andò da un altro e gli disse: ‘Il padrone ti invita.’ Costui rispose: ‘Ho comprato una proprietà, e sto andando a riscuotere l’affitto. Non potrò venire, Lo prego di scusarmi.’ Il servo ritornò e disse al padrone: ‘Quelli che avevi invitato a cena chiedono scusa ma non possono venire.’ Il padrone disse al servo: ‘Vai per la strada e porta a cena chiunque trovi.’
Acquirenti e mercanti non entreranno nei luoghi del Padre mio.” - Lui disse, Un uomo che possedeva una vigna, l’aveva affittata a dei contadini, così che la lavorassero e gli cedessero il raccolto. Mandò il suo servo dai contadini per farsi consegnare il raccolto. Quelli lo afferrarono, lo picchiarono, e quasi l’uccisero. Poi il servo ritornò dal padrone. Il padrone disse: ‘Forse non ti conosceva.’ Mandò un altro servo, e i contadini picchiarono anche quello. Quindi il padrone mandò suo figlio e disse: ‘Forse verso mio figlio mostreranno un qualche rispetto.’ Poiché i contadini sapevano che lui era l’erede della vigna, lo afferrarono e lo uccisero. Chi ha orecchie intenda!”
- Gesù disse: “Mostratemi la pietra scartata dai costruttori; quella è la pietra angolare.”
- Gesù disse: “Quelli che sanno tutto, ma sono carenti dentro, mancano di tutto.”
- Gesù disse: “Beati voi, quando sarete odiati e perseguitati; e non resterà alcun luogo, dove sarete stati perseguitati. I cieli e la terra si apriranno al vostro cospetto, e chiunque è vivo per colui che vive non vedrà la morte.” Non dice Gesù: “Di quelli che hanno trovato se stessi, il mondo non è degno?”
- Gesù disse: “Beati i perseguitati nei cuori, perché sono arrivati a conoscere veramente il Padre. Beati coloro che patiscono la fame, perché il bisognoso potrà essere saziato.”
- Gesù disse: “Se esprimerete quanto avete dentro di voi, quello che avete vi salverà. Se non lo avete dentro di voi, quello che non avete vi perderà.”
- Gesù disse: “Distruggerò questa casa, e nessuno sarà più in grado di ricostruirla”
- Un uomo gli disse: “Dì ai miei fratelli di dividere con me i loro averi.”
Lui chiese all’uomo: “…e chi mi ha nominato spartitore?”
Si girò verso i discepoli e disse: “Non sono uno spartitore, vero?” - Gesù disse: “Il raccolto è enorme ma i braccianti sono pochi, perciò pregate il mietitore di mandare i braccianti nei campi.”
- Lui disse: “Signore, sono in molti attorno all’abbeveratoio, ma non c’è nulla nel pozzo.”
- Gesù disse, “In molti si affollano davanti alla porta, ma sarà il solitario ad entrare nella camera nuziale.”
- Gesù disse: “Il regno del Padre è come un mercante che ricevette un carico di mercanzia e vi trovò una perla. Il mercante fu accorto; vendette la mercanzia e si tenne solo la perla.
Così anche voi, cercate il tesoro che è eterno, che nessuna tarma divora e nessun verme guasta.” - Gesù disse: “Io sono la Luce che è su tutte le cose. Io sono tutto: da me tutto proviene, e in me tutto si compie. Tagliate un ciocco di legno; io sono lì. Sollevate la pietra, e mi troverete.”
- Gesù chiese: “Perché siete venuti nella campagna? Per vedere una canna scossa dal vento? E per vedere un uomo vestito in abiti raffinati, come i capi e i potenti? Quelli sono vestiti in panni raffinati, e non sanno cogliere la verità.”
- Una donna nella folla gli disse: “Fortunato il grembo che ti generò e il seno che ti nutrì.”
Lui le disse: “Fortunati coloro che hanno ascoltato la parola del Padre e l’hanno veramente conservata. Poiché vi saranno giorni in cui direte, ‘Fortunato il grembo che non ha concepito, e il seno che non ha allattato.’ ” - Gesù disse: “Chi è arrivato a conoscere il mondo ha scoperto un cadavere, e chi ha scoperto un cadavere è al di sopra del mondo.”
- Gesù disse: “Lasciate che chi è diventato ricco regni, e che chi ha il potere vi rinunci.”
- Gesù disse, “Chi è vicino a me è vicino al fuoco, e chi è lontano da me è lontano dal regno.”
- Gesù disse: “Le immagini sono visibili alla gente, ma la loro luce è nascosta nell’immagine della luce del Padre. Lui si rivelerà, ma la sua immagine è nascosta dalla sua Luce.”
- Gesù disse: “Quando vedete ciò che vi somiglia siete contenti. Ma quando vedrete le immagini che nacquero prima di voi e che non muoiono né diventano visibili, quanto dovrete sopportare!”
- Gesù disse: “Adamo è partito da un grande potere e una grande ricchezza, ma non era degno di voi. Perché se fosse stato degno, non avrebbe conosciuto la morte.”
- Gesù disse: “Le volpi hanno tane e gli uccelli hanno nidi, ma gli esseri umani non hanno un posto dove stendersi e riposare.”
- Gesù disse: “Quanto è misero il corpo che dipende da un corpo, e quanto è misera l’anima che dipende da entrambi.”
- Gesù disse: “I messaggeri e i profeti verranno da voi e vi daranno ciò che vi appartiene. Voi, da parte vostra, date loro quello che avete, e dite a voi stessi: ‘Quando verranno a prendere quello che gli appartiene?'”
- Gesù disse: “Perché sciacquate l’esterno della coppa? Non capite che quello che ha creato l’interno è anche quello che ha creato l’esterno?”
- Gesù disse: “Venite a me, perché il mio giogo è confortevole e il mio dominio è gentile, e troverete la vostra pace.”
- Gli dissero: “Dicci chi sei così che possiamo credere in te.”
Lui disse loro: “Voi esaminate l’aspetto di cielo e terra, ma non siete arrivati a comprendere colui che è di fronte a voi, e non sapete come interpretare il momento attuale.” - Gesù disse: “Cercate e troverete. Nel passato, comunque, non vi ho rivelato le cose che allora mi chiedeste. Ora vorrei dirvele, ma voi non le chiedete più.”
- Gesù disse: “Non date cose sacre ai cani, e non gettate perle ai porci, perché potrebbero gettarle sullo sterco.”
- Gesù disse: “Colui che cerca troverà, e chi bussa entrerà. Se avete denaro, non prestatelo a interesse. Piuttosto, datelo a qualcuno da cui non lo riavrete.”
- Gesù disse: “Il Regno del Padre è come una donna. Prese un po’ di lievito, lo nascose nell’impasto, e ne fece grandi forme di pane. Chi ha orecchie intenda!”
- Gesù disse: “Il Regno è come una donna che portava una giara piena di farina. Mentre camminava per una lunga strada, il manico della giara si ruppe e la farina le si sparse dietro sulla strada. Lei non lo sapeva; non si era accorta di nulla. Quando arrivò a casa, posò la giara e scoprì che era vuota.”
- Gesù disse: “Il Regno del Padre è come quell’uomo che voleva uccidere un potente. Prima di uscire di casa sfoderò la spada e la infilò nel muro per provare se il suo braccio riusciva a trapassarlo. Poi uccise il potente.”
- I discepoli gli dissero: “I tuoi fratelli e tua madre sono qui fuori.” Lui rispose: “Quelli che fanno il volere del Padre mio sono i miei fratelli e mia madre. Sono quelli che entreranno nel Regno di mio Padre.”
- Mostrarono a Gesù una moneta d’oro e gli dissero: “Gli uomini dell’imperatore romano ci chiedono le tasse.” Lui disse loro: “Date all’imperatore quello che è dell’imperatore, date a Dio quello che è di Dio, e date a me quel che è mio.”
- Gesù disse: “Maledetti i Farisei! Sono come il cane che dorme nella mangiatoia: il cane non mangia, e non fa mangiare il bestiame. Maledetta la carne che dipende dall’anima. Maledetta l’anima che dipende dalla carne.”
- Gesù disse: “Beati quelli che sanno da dove attaccheranno i ribelli. Possono organizzarsi, raccogliere le risorse imperiali, ed essere preparati prima che i ribelli arrivino.”
- Dissero a Gesù: “Vieni, oggi preghiamo e digiuniamo.” Gesù disse: “Quale peccato ho commesso o di quale impurità mi sono macchiato? Quando lo sposo lascia la camera nuziale, allora fate che la gente digiuni e preghi.”
- Gesù disse: “Quando farete dei due uno diventerete figli di Adamo, e allora, se direte: ‘Montagna, spostati!’ si sposterà.”
- Gesù disse: “Il Regno è come un pastore che aveva cento pecore. Una di loro, la più grande, si smarrì. Lui lasciò le altre novantanove e la cercò fino a trovarla. Dopo aver faticato tanto le disse: ‘Mi sei più cara tu di tutte le altre novantanove.'”
- Gesù disse: “Chi berrà dalla mia bocca diventerà come me; io stesso diventerò quella persona, e tutte le cose nascoste gli si riveleranno. Se non digiunate dal mondo, non troverete il Regno. Se non osservate il Sabato come Sabato non vedrete il Padre.”
- Gesù disse: “Il Regno del Padre è come colui che aveva un tesoro nascosto nel suo campo ma non lo sapeva. E quando morì lo lasciò a suo figlio. Il figlio non ne sapeva nulla neanche lui. Diventò proprietario del campo e lo vendette. L’acquirente andò ad arare, scoprì il tesoro, e cominciò a prestare denaro a interesse a chi gli pareva. Lasciate che chi ha trovato il mondo, ed è diventato ricco, rinunci al mondo.”
Grazie MAESTRO
GRAZIE GRAZIE GRAZIE
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SWAMI SATYANANDA SARASWATI
Il nostro maestro di YOGA NIDRA
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Swami Satyananda è nato in una piccola città vicino ad Almora, ai piedi dell’Himalaya. Fin da bambino mostrò qualità straordinarie ed ebbe la sua prima esperienza spirituale all’età di sei anni. Fu benedetto da molti saggi e sadhu che passavano dalla sua casa diretti verso le più alte regioni himalayane. Essi ispirarono ed evocarono in lui un intenso desiderio di raggiungere le stesse levature spirituali e un forte senso di vairagya (biscernimento) che era rimarchevole per una persona così giovane. A diciannove anni lasciò la sua famiglia e la casa, alla ricerca del suo maestro spirituale, Swami Sivananda. Durante i dodici anni trascorsi con il suo guru, Paramahansa Satyananda si immerse nel karma yoga a tal punto che Swami Sivananda diceva che faceva il lavoro di quattro persone. Come un discepolo ideale lavorava dall’alba fino a notte tarda, coinvolgendosi in ogni tipo di lavoro, dalle pulizie alla gestione dell’ashram. Il servizio al guru era la sua passione e la sua gioia. Sebbene avesse un intelletto molto acuto e fosse descritto come un genio versatile, la conoscenza di Paramahansa Satyananda non veniva dall’istruzione o dallo studio nell’ashram. Egli seguì con fede l’unico ordine del suo guru: “Lavora duro e sarai purificato. Non devi attrarre la luce. La luce si svilupperà da dentro te stesso”. E questo è quello che accadde: in giovane età egli acquisì una comprensione illuminata dei segreti della vita spirituale. Dopo aver trascorso dodici anni con il suo guru, Paramahansa Satyananda intraprese la vita di parivrajka, viaggiando per nove anni attraverso India, Afghanistan, Burma, Nepal e Ceylon. Durante questo periodo incontrò grandi santi e yogi e trascorse del tempo in isolamento, formulando le tecniche di yoga per alleviare le sofferenze dell’umanità. Nel 1963 la sua missione divenne manifesta e poiché la realizzò durante la sua permanenza in Munger, si stabilì in quel luogo, vicino al Gange, e fondò l’International Yoga Fellowship Movement e la Bihar School of Yoga per aiutare un maggior numero di persone lungo il cammino spirituale. In poco tempo vi confluirono studenti da tutta l’India e dall’estero e gli insegnamenti di Paramahansa Satyananda si diffusero rapidamente in tutto il mondo. Nel 1968 fece un ampio giro del mondo diffondendo le antiche pratiche yogiche fra persone di ogni casta, credo, religione e nazionalità. Negli anni seguenti divenne molto conosciuto in ogni continente come un esponente principale dello yoga e del tantra. Con il suo approccio dinamico e scientifico allo yoga e alla vita spirituale, ha guidato e ispirato migliaia di centri e ricercatori spirituali di tutto il mondo. Nel 1983 ha designato Paramahansa Niranjanananda come suo successore e Presidente della Bihar School of Yoga e dei centri associati. Nel 1984 ha fondato Sivananda Math, un’istituzione sociale e caritatevole, e la Yoga Research Foundation (Fondazione per le Ricerche sullo Yoga) come istituzioni indipendenti in collaborazione con la Bihar School of Yoga. Nel 1988 Paramahansa Satyananda ha lasciato Munger ed ha intrapreso kshetra sannyasa, la rinuncia all’istituzione, compiendo un pellegrinaggio attraverso i siddhatirtha dell’India come sadhu itinerante (mendicante), senza nessuna assistenza dagli ashram e dalle istituzioni da lui fondate. Nel 1990 ha fondato Sri Panchdashnam Alakh Bara, dove ha iniziato a seguire lo stile di vita dei paramahamsa sannyasin, che non lavorano solamente per il loro seguito e missione poiché hanno una visione universale. |
Nelle pratiche di Yoga Nidra il sonno non viene considerato come rilassamento.
Per un rilassamento assoluto è opportuno che impariamo a rimanere consapevoli
Lo Yoga nidra è uno stato di sonno dinamico.
E’ un metodo sistematico per indurre un completo rilassamento fisico, mentale ed emozionale..
Il termine Yoga Nidra deriva da due parole sanscrite: Yoga che significa unione e consapevolezza unidirezionale e Nidra che vuole dire sonno
Si tratta di un rilassamento interiore raggiunto in uno stato intermedio di sonno-veglia.
Entriamo in uno stato alpha-theta
La coscienza ,ritrovato il suo equilibrio tra il mondo esterno ed il sonno, diviene potente e può essere applicata, ad esempio, per sviluppare la memoria, per incrementare la creatività e per crescere spiritualmente.
Le tensioni accumulate nei sistemi muscolari, emozionali e mentali saramnno rilasciate per vivere nel benessere psicofisico.
Il sistema di rilassamento di una pratica di Yoga Nidra è riposante come 4 ore di sonno normale.
Praticare Yoga Nidra significa aprire gli stadi più profondi della nostra mente. La mente diventa molto recettiva e recepirà e metterà in pratica ciò che è giuso per il Sè Superiore di ognuno di noi.
Yoga Nidra non è ipnosi, in quanto si mantiene la consapevolezza e la mente rimarrà completamente sveglia, così come tutti i canali sensoriali.
Tuttavia vi è in questa pratica un’influenzamento della mente (la mente è comunque e sempre influenzata poichè lavora in ogni nostro momento con del materiale che viene dall’esterno di sè) che non si basa però sulla suggestione o sulla persuasione, chi lo pratica impara a indurre il proprio stato di rilassamento seguendo le istruzioni dell’istruttore.
Con lo Yoga Nidra si “bruciano” i vecchi samskara, le abitudini e le tendenze, in modo da rinascere nuovamente
Questo procedimento non solo è più rapido di qualsiasi altro sistema che lavori solo su basi esteriori, ma i risultati sono più affidabili e duraturi
Essa è una forma di riposo psichico, fisiologico e di ringiovanimento, più efficace del sonno naturale.
Yoga Nidra rilassa la mente rilassando il corpo, azione che avviene naturalmente durante il sonno profondo poichè le emozioni ed i sensi fisici sono ritirati.
Con la pratica di Yoga Nidra si riesce dunque ad occupare il conscio con la rotazione della coscienza sui vari punti fisici, il subconscio con il creare delle visualizzazioni e lasciare infine senza filtri l’inconscio in modo da recepire il SANKALPA , LA RISOLUZIONE decisa da noi e che è il seme del nostro cambiamento!
L’istruttore è solo una guida, fornisce la tecnica o accompagna, ma non forzerà mai il praticante in nessun modo.
Con queste due tecniche otterremo contemporaneamente due benefici: un grande rilassamento e un positivo cambiamento mentale.
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Mikao Usui
Tra leggenda e verità, un uomo ha “risvegliato” il dono!
MIKAO USUI E’ PER NOI L’EMBLEMA DELL”ALLIEVO E
DEL TESTIMONE PERFETTO E COME TALE NOI LO ONORIAMO!
| Il Maestro Mikao USUI |
E’ difficile narrare di questo maestro che noi amiamo considerare un Uomo semplice, molto spirituale ed erudito, con una famiglia e dei figli da crescere
Un UOMO CHE HA RICEVUTO DAL DIVINO DEI DONI
Tuttavia sentiamo anche altre fonti:
Secondo la tradizione orale conosciuta in occidente Mikao Usui era un monaco cristiano nato in Giappone nella seconda metà del XIX secolo, che dopo anni di faticose ricerche e in seguito ad una intensa esperienza mistica, scoprì il Segreto della Guarigione chiamandolo REIKI.
Se fino a qualche anno fa esistevano solo vaghe informazioni sulla vita di Usui, al punto da far dubitare ad alcuni perfino la sua effettiva esistenza, recentemente sono emerse importanti prove documentali e testimonianze del suo passaggio terreno.
Le iscrizioni sul suo monumento funerario, il presunto ritrovamento di un personale Manuale di Appunti, il graduale superamento di comprensibili reticenze nei confronti degli occidentali da parte dei depositari orientali (più che centenari) dei suoi insegnamenti, hanno delineato una figura più nitida della vita e delle opere di Usui Sensei.
Ringraziamo il nostro Socio e amico fraterno Giuseppe Gaviraghi per la testimonianza e la documentazione da lui fornita dopo essersi recato in visita alla Tomba di Usui.
Noi oggi sappiamo che Mikao Usui nacque il 15 Agosto 1865 nella provincia di Kyoto, in Giappone, nel villaggio di Tania-mura, oggi chiamato Miyamacho, nel distretto Yamagata, che oggi è la Prefettura di Gifu.
Nel 1869 iniziò i suoi studi presso la scuola di un Monastero di Buddismo Tendai.
La famiglia di Usui era seguace del Buddismo Tendai e proveniva da una discendenza di Samurai (Hatamoto).
All’età di 12 anni cominciò a dedicarsi alle arti marziali raggiungendo alti livelli.
Era uno studente assai dotato e diligente.
Viaggiò molto per studio e per lavoro, ma non ebbe fortuna in affari e cadde in disgrazia.
Ma seppe riprendersi e continuò il suo lavoro di crescita.
A 30 anni Usui Sensei sposò Sadako Suzuki da cui ebbe due figli, un maschio, Fuji (nato nel 1908) e un femmina, Toshiko, (nata nel 1913).
Nel Marzo del 1922, come risultato finale di un percorso spirituale culminato con un digiuno e una meditazione di 21 giorni, Usui entrò in contatto con Reiki e comprese come utilizzarlo quale strumento di crescita personale, evoluzione spirituale e autoguarigione.
Nell’Aprile del 1922 anni aprì il suo primo Centro di Pratica e Insegnamento ad Harajuku, Aoyama, Tokyo.
Il “motto” del suo centro era: “In Unione con il proprio Sé attraverso armonia ed equilibrio”.
La sua fama crebbe rapidamente e molte persone lo raggiunsero per studiare con lui.
Nel 1923 Tokio fu distrutta da un terribile terremoto.
Migliaia di persone morirono, altre furono ferite, altre si ammalarono. Usui si adoperò per portare sollievo alle vittime con i suoi poteri di guarigione
Nel 1925, in seguito alla grande affluenza, Usui si spostò in un altro Centro, più grande, a Nakano, nella periferia di Tokyo.
Usui era una persona affettuosa, calorosa e umile nell’atteggiamento.
Era forte di salute e fisicamente ben proporzionato.
Non si dava mai arie e aveva sempre un sorriso per tutti.
Si dimostrava assai coraggioso nell’affrontare i momenti difficili.
Amava leggere e scrivere, possedeva conoscenze in materia di medicina, psicologia, teologia, praticava l’arte della divinazione e conosceva le religioni del mondo.
Nel corso della sua vita trasmise i suoi insegnamenti ad oltre duemila persone e iniziò 17 Maestri.
Morì il 9 Marzo del 1926 all’età di 62 anni.
Dopo la sua morte alcuni dei suoi studenti crearono la Usui Reiki Ryoho Gakkai (Associazione per l’apprendimento del Metodo di Guarigione Usui Reiki) e lo dichiararono post-morte Presidente.
Nel Febbraio 1927 venne eretta una Stele commemorativa nel cimitero del tempio Saihoji in Tokyo, da cui abbiamo la maggiore quantità di informazioni sulla vita di Usui.
Il mese successivo venne costruita dal figlio Fuji Usui una tomba di famiglia, contenente le spoglie di Usui Sensei.
Il Mito di Mikao Usui
Mikao Usui
Così Hawayo Takata narrava ai suoi studenti:
Mikao Usui era un Monaco Cristiano e come ogni domenica, si apprestava a officiare la regolare cerimonia nella cappella del collegio maschile di cui era anche il rettore. Uno degli studenti si alzò in piedi, chiese il permesso di parlare e quando gli fu accordato disse:
“Parlo a nome degli studenti che hanno concluso gli studi e lasceranno la scuola per andare nel mondo. Noi siamo giovani e abbiamo tutta la vita davanti a noi, ma abbiamo anche molti dubbi e timori e vorremmo delle rassicurazioni. Per anni abbiamo studiato in questo collegio e conosciamo la Bibbia, sappiamo che Gesù Cristo operava miracoli perché le persone credessero in lui. Ma noi non abbiamo mai assistito ad alcun miracolo e ci chiediamo che cosa significa credere in Dio. In tutti questi anni, Dottor Usui, Lei è stato il nostro insegnante e la nostra guida, conosciamo la Sua fede profonda nelle Sacre Scritture, ma noi non abbiamo la Sua fede. Per favore, la preghiamo di darci una dimostrazione che ciò che è scritto corrisponde a verità.”
Usui disse che effettivamente era un buon Cristiano e che aveva una assoluta fiducia che ciò che si diceva del Cristo fosse pura verità e che esistevano testimonianze storiche e opere teologiche che dimostravano le capacità taumaturgiche del Cristo e l’esistenza dei miracoli. Ma lo studente continuò: “Noi la onoriamo e la rispettiamo come nostro Maestro, ma tra poco noi saremo fuori di qui e ce la dovremo cavare da soli. Noi le chiediamo di farci vedere come si fa a restituire la vista a un cieco o a guarire un lebbroso o a resuscitare un morto.”
Usui rispose che questo non poteva farlo, perché nessuno glielo aveva insegnato.
E lo studente riprese a parlare, questa volta con un velo di amarezza nella voce: “Noi la ringraziamo per tutto quello che ci ha insegnato, ma ora sappiamo che la Sua fede è una fede cieca e noi non vogliamo credere ciecamente a qualcosa, vogliamo fatti e dimostrazioni tangibili, vogliamo essere certi che quello che facciamo o diciamo esiste davvero. Lei ha ricevuto in dono questa fede assoluta e ha vissuto a lungo per rafforzarla, ma questo riguarda la Sua vita. Noi stiamo iniziando la nostra e abbiamo bisogno di una dimostrazione per continuare a credere in Lei e nei Suoi insegnamenti e avere un giorno la Sua stessa fede.”
Usui disse che non poteva mostrare alcuna guarigione in quel momento, e non volle proseguire oltre quella discussione. Ma le parole dello studente lo avevano profondamente colpito e dopo un lungo silenzio aggiunse: “Bene, dunque. Io non posso dimostrarvi nulla, in questo momento, ma un giorno ve lo proverò. E per fare questo fin da ora rassegno le mie dimissioni da ogni incarico e parto alla ricerca del segreto della guarigione. E quando lo troverò, ritornerò e ve ne darò una dimostrazione.”
E così Mikao Usui, non più giovanissimo, partì alla ricerca di come poter guarire gli ammalati e ridare la vista ai ciechi. Per sette anni approfondì i suoi studi sul Cristianesimo e sulla Bibbia ma non trovò alcuna spiegazione né alcuna formula sulla guarigione. Studiò altre Religioni e Filosofie e quando giunse al Buddismo scoprì che anche il Buddha conosceva l’arte di guarire i ciechi e i lebbrosi. Si recò dunque nei monasteri chiedendo ai monaci se fosse vero che nei Sutra si parlava del potere di guarire le malattie, ma la risposta era quasi sempre la stessa:
“Si, certo, è scritto che il Buddha guariva i lebbrosi appoggiando le mani sul loro corpo, ma noi monaci buddisti riteniamo che tutto dipende dalla mente e non possiamo dedicare molto tempo al corpo. Certo è importante mangiare e bere moderatamente e occuparsi di essere in salute e rispettosi della vita, ma quello che ci preme innanzi tutto è la salute dello Spirito. Per questo noi trascorriamo lunghe ore immobili nella meditazione o recitando preghiere, per trascendere il corpo e sviluppare le facoltà della mente.”
E ogni volta Usui faceva un inchino, ringraziava e andava nel monastero successivo.
Trascorsero mesi e mesi di infruttuose ricerche, tutti sembravano troppo occupati con la mente per interessarsi del corpo, e Usui era molto depresso. Ma non mollava e ogni volta diceva a se stesso che evidentemente doveva esserci un altro posto in cui cercare.
E finalmente incontrò un Tempio Zen, fu accolto con benevolenza, gli fu accordato il permesso di leggere i Sutra e di partecipare alle sedute di meditazione con i monaci. Passarono altri tre anni ed era sempre più chiaro per Usui che le ricerche sarebbero durate ancora molto tempo. Egli comprese che molte trascrizioni erano originariamente scritte in cinese e per leggerle imparò il cinese, poi pensò che Buddha era nato in India e che sicuramente molte delle scritture non erano state ancora tradotte. E fu proprio in quei Sutra scritti nell’antica lingua sanscrita che Usui alla fine trovò la formula. Niente di complicato, semplice e chiara come due più due fa quattro e tre più tre fa sei. Ma la formula era stata scritta 2.500 anni prima. Doveva essere interpretata correttamente. Avrebbe funzionato o lo avrebbe ucciso?
Usui parlò con il monaco che dirigeva il monastero Zen: “Andrò sul monte Kuruiyama e mi sottoporrò alla prova per 21 giorni. Digiunerò e mediterò. Arrivato a questo punto non posso tirarmi indietro. Se il ventiduesimo giorno non sarò ritornato, mandate a cercare il mio corpo perché vorrà dire che sono morto.”
E partì. Scelse un luogo vicino a un corso d’acqua, si sedette sotto un grande cedro e iniziò la meditazione. Collocò davanti a sé ventun sassolini, e ogni giorno che passava ne toglieva uno. Egli sapeva che doveva aspettare che accadesse qualcosa, ma non sapeva cosa. E nel frattempo leggeva le scritture, recitava i Sutra, meditava e beveva solo acqua. Stava per sopraggiungere l’alba del ventunesimo giorno, la notte era ancora scura, senza luna, senza stelle. Quella era l’ultima meditazione.
Quando aprì gli occhi vide in lontananza una piccola luce tremolante, come la fiamma di una candela. La luce si avvicinava verso di lui, puntando diritta alla fronte. Ne ebbe paura, pensò che era ancora in tempo per evitarla o per chiudere gli occhi, ma sapeva che quella era la prova che stava aspettando e rimase a fissarla. In un attimo la luce lo colpì in mezzo alla fronte e l’impatto fu così forte che Usui cadde all’indietro. Quando cominciò a guardarsi intorno, ancora stordito dal colpo, vide milioni e milioni di sfere di luce agitarsi, muoversi, danzare davanti a lui. Avevano tutti i colori dell’arcobaleno, tutti e sette. Una grande luce apparve davanti a lui e come su uno schermo egli vide passare in lettere dorate ciò che aveva appreso quando leggeva il testo sanscrito. Le parole pulsavano davanti ai suoi occhi come dicendo: “Ricordati, Ricordati. E’ Così. Ricordati”.
E Usui non sentiva più dolore, né paura, né fame ne stanchezza e sentì che aveva ricevuto una benedizione, quel giorno. “Ora posso aprire gli occhi e gettare l’ultimo sasso” disse.
Si alzò e riprendendo il cammino di ritorno si accorse che le sue gambe erano forti e i piedi stabili, come se avesse pranzato. “Questo è il primo miracolo!” pensò, “Mi sento sazio e riposato”.
Scendendo dalla montagna, inciampò in una roccia e si ferì un dito del piede, l’unghia era staccata, la ferita sanguinava e doleva molto. Istintivamente afferrò il dito con la mano e poco dopo sentì un profondo calore che entrava nella ferita. Il dolore scomparve e il sangue cessò di uscire. “Questo è il secondo miracolo”, pensò. E continuò il cammino.
Dopo un po’ incontrò una locanda e si fermò per riposare e per mangiare qualcosa. La figlia del padrone aveva un terribile mal di denti e da settimane piangeva dal dolore. Usui mise le mani sulle sue guance e in breve il male svanì. La ragazza incredula e felice saltava qua e là ringraziando e dicendo a tutta la famiglia che quello non era un monaco normale, ma che aveva qualcosa di magico nelle sue mani.
Il padrone della locanda per sdebitarsi offrì una abbondante colazione al suo inatteso ospite, non nascondendo il timore che dopo tanti giorni di digiuno potesse arrecargli danno. Dopo essersi saziato Usui pensò che erano accaduti altri due miracoli: la ragazza non aveva più il mal di denti e lui non aveva fatto indigestione!
Verso sera fu di ritorno al monastero e come prima cosa voleva vedere il monaco per raccontargli ogni cosa, ma il monaco soffriva di artrite ed era in preda ad un violento attacco di mal di schiena. Usui andò a trovarlo nella sua piccola stanza e mentre raccontava teneva appoggiate le sue mani sulla schiena del povero malato. E disse del digiuno, della lunga attesa, della luce e di come era andata la giornata. Terminato il racconto Usui fece per congedarsi, ma il monaco dopo un attimo di stupore disse: “Il dolore non c’è più, potrò dormire finalmente! Mi sento meravigliosamente e pieno di energia! Così è questo che tu chiami Reiki! Domani parleremo ancora”.
E così decisero che il modo migliore per usare il segreto della guarigione era portarlo dove più ce ne era bisogno, ovvero nei sobborghi di Kyoto, nel quartiere dei mendicanti. E infatti Usui vi si stabilì per diversi anni, perfezionando la tecnica della guarigione: scoprì che i giovani guarivano più in fretta, bastavano pochi giorni di trattamento, mentre i più vecchi necessitavano di settimane, a volte mesi di applicazioni di Reiki. Egli lavorava instancabilmente e poco a poco tutti o quasi avevano potuto guarire le loro malattie, recarsi in città, trovare un lavoro e diventare cittadini rispettabili.
Ma un brutto giorno, mentre Usui girava per il sobborgo per vedere quanto lavoro restava ancora da fare, incontrò una faccia conosciuta, e poi un’altra e un’altra ancora. Le persone che aveva curato e che avevano cambiato vita stavano ritornando indietro, volevano fare di nuovo i mendicanti. Usui ebbe un violento accesso di collera, vide il lavoro di anni vanificarsi in un attimo e gridava queste parole: “Cosa ho fatto? Cosa ho fatto? Io non ho salvato una sola anima! Dunque avevano ragione che la mente è più importante del corpo. Ho dunque fallito, completamente fallito? Se avessi pensato prima di tutto a guarire il loro spirito e poi il corpo forse non sarebbe andata così”.
Ed era davvero deluso e amareggiato e se la prendeva con se stesso. E quando chiese ai mendicanti perché fossero tornati uno rispose: “Chiedere l’elemosina è un mestiere molto più facile di tutti quelli che ho trovato là fuori. E’ più facile trovare qualcosa da mangiare e un posto dove dormire che lavorare tutto il giorno. Fare il mendicante è un buon lavoro, mi riempio la pancia e non devo stressarmi più di tanto
” Le ultime parole di Usui furono: “Ingrati, siete avidi e ingrati, volete tutto per voi e non siete disposti a dare nulla in cambio: ecco perché siete di nuovo in mezzo al fango. I mendicanti restano mendicanti, siete solo capaci di chiedere, ma non conoscete gratitudine né generosità. Basta Reiki, basta mendicanti!”
Ma gli anni di lavoro nel quartiere non erano stati vani: ora egli sapeva che non bastava guarire il corpo, ma occorreva anche insegnare agli uomini a essere grati per la vita, a essere onesti e generosi, a ringraziare Dio per i doni di ogni giorno.
E così nacquero i Princìpi di Reiki: solamente per oggi, non arrabbiarti. Solamente per oggi, non preoccuparti. Terremo conto di tutte le benedizioni e onoreremo i nostri genitori, i nostri insegnanti e i nostri vicini. Onoreremo il cibo, non lo sprecheremo, perché anche il cibo è un dono di Dio. Vivremo onestamente, ci guadagneremo da vivere in modo dignitoso e infine saremo pieni di amore e di compassione verso tutto ciò che ha vita.
Usui trascorse il resto della sua vita viaggiando a piedi per tutto il Giappone. Egli andava nei mercati affollati di gente e vagava su e giù con una lampada accesa in mano in pieno giorno. E quando qualcuno gli faceva notare, rispettosamente, poiché era un monaco conosciuto e stimato, che se cercava qualcosa non c’era bisogno di quella luce, perché era giorno e si vedeva benissimo, egli rispondeva: “Quello che sto cercando io non si vede alla luce del sole. Il mondo è pieno di gente triste, chiusa e arrabbiata. Io cerco qualcuno che abbia voglia di far luce nel suo cuore e guarire da ogni sofferenza, e rendere puri e forti la mente, il carattere e il corpo. Se vuoi ascoltare questa lezione, seguimi”.
In memoria di Mikao Usui Sensei
Da destra verso sinistra
REIHO CHOSO USUI SENSEI KUDOKU NO HI
In Memoria della Benevolenza di Usui Sensei, Fondatore di Reiho (Metodo Spirituale)
Nel Tempio Saihoji che si trova nel Distretto Suginami di Tokyo esiste un monumento commemorativo di Usui Sensei, costituito da un monolito di due metri per quattro e collocato vicino alla tomba contenente le ceneri di Usui, della moglie e del figlio.
Contiene iscrizioni firmate dal Signor Ushida che parlano della vita di Mikao Usui e di come i principi di Reiki provengano dagli scritti dell’Imperatore Meiji.
Il memoriale fu costruito pochi mesi dopo la morte di Usui e mantenuto fino ad oggi dalla Usui Shiki Reiki Ryoho Gakkai Giapponese.
Ne riportiamo integralmente il testo:
Ciò che viene conquistato come risultato di profondi studi e ricerche è chiamato Virtù e ciò che viene offerto agli altri attraverso l’insegnamento di sistemi di guarigione si chiama Servizio.
Solo una persona di alti meriti e di grande virtù può essere chiamato Grande Maestro.
Saggi, filosofi e uomini brillanti fondatori di nuove forme di pensiero e di nuove religioni erano tutti così.
Usui Sensei era uno di questi.
Usui Sensei sviluppò il metodo per migliorare il corpo e la mente usando l’energia universale.
Avendo sentito parlare di lui innumerevoli persone andarono da lui e gli chiesero di insegnargli la grande via del Metodo spirituale e di guarirle.
Il nome con cui veniva comunemente chiamato era Mikao.
Era nato nel villaggio di Taniai nel distretto Yamagata della prefettura Gifu.
Il nome dei suoi antenati è Tsunetane Chiba.
Il nome di suo padre era Taneuji, ma veniva chiamato Uzaemon.
Il nome della famiglia della madre era Kawai.
Sensei era nato nel primo anno del periodo Keio, chiamato Keio Gunnen, (1865) il giorno 15 del mese di Agosto.
Egli era uno studete dotato e studioso, le sue capacità erano di gran lunga superiori a quelle dei suoi compagni.
Quando diventò adulto viaggiò molto in Europa, America e China per approfondire le sue conoscenze. Desiderava il successo nella sua vita, ma non lo raggiunse.
Lavorò duro, ma spesso fu colpito dalla disgrazia e dall’indigenza.
Ad ogni modo non si diede mai per vinto e continuò a rafforzare sempre più il suo spirito.
Un giorno andò sul Monte Kuruyama per sottoporsi a rigorose pratiche spirituali.
All’inizio del 21esimo giorno improvvisamente egli avvertì una grande manifestazione dell’energia universale in corrispondenza della sommità del suo capo.
Raggiunse l’illuminazione e in quel preciso istante comprese il Metodo di Guarigione.
Quando egli prima di tutto lo utilizzò su se stesso, ottenne immediati benefici effetti.
Dopodichè egli lo sperimentò sulla sua famiglia.
Poichè funzionava, decise che sarebbe stato assai più utile condividerlo con gli altri che tenerlo esclusivamente per sè e per i suoi.
Aprì un Centro Reiki ad Harajuku, Aoyama, Tokyo, per insegnare e praticare il Metodo spirituale.
Era l’11esimo anno del periodo Taisho (1922).
Molte persone andarono da lui per chiedere consigli e aiuto e spesso facevano la fila fuori dell’edificio.
Nel Settembre del 12esimo anno del periodo Taisho (1923) ci fu un terribile terremoto.
Ovunque si udivano lamenti dei feriti. Usui provò pena per le persone colpite e portò il Metodo Spirituale nella Città devastata e usò i suoi poteri di guarigione sui sopravvissuti, aiutando molte persone.
Dopodichè il suo Centro divenne troppo piccolo.
Nel Febbraio del 14esimo anno dell’era Taisho (1925) si trasferì in un nuovo Centro a Nakano, nella periferia di Tokyo.
A causa della sua crescente fama veniva spesso invitato in molti posti.
Sensei, accettando gli inviti, si recò a Kure e poi ad Hiroshima e Saga, fino a Fukuyama.
Fu proprio a Fukuyama che si ammalò improvvisamente e morì all’età di 62 anni.
Era il 9 Marzo del 15esimo anno del Periodo Taisho. (1926)
Sua moglie si chiamava Sadako, della famiglia Suzuki.
Ebbero un figlio e una figlia. Il nome del ragazzo era Fuji e fu lui ad incaricarsi della famiglia dopo la morte del padre.
Sensei era affettuoso, gentile e umile per natura e mai si comportò con ostentazione.
Era fisicamente grande e robusto.
Aveva sempre un sorriso di contentezza.
Di fronte alle avversità sapeva sempre trovare una via d’uscita con pazienza e determinazione.
Aveva molte doti e amava studiare.
Possedeva vaste conoscenze in storia, medicina, psicologia, arte della divinazione, magia, fisiognomica e conosceva le scritture Buddiste.
Il Metodo Spirituale non cura semplicemente le malattie, ma porta equilibrio nel corpo e nello spirito, stimola le innate capacità di autoguarigione dell’organismo e aiuta a raggiungere la felicità.
E così, quando insegnava, prima di tutto faceva imparare agli studenti i Precetti dell’Imperatore Meiji:
Primo: Per oggi non ti arrabbiare
Secondo:Per oggi non ti preoccupare
Terzo: Sii grato
Quarto: Lavora con impegno
Quinto: Sii gentile verso gli altri.
Questi sono davvero grandi insegnamenti per la crescita personale e richiedono disciplina e saggezza per essere applicati degnamente nella vita di ogni giorno.
Sensei chiamò questi insegnamenti:”Il Metodo Segreto per Invitare la Felicità” e “La Medicina Spirituale per Guarire Ogni Malattia”
FONTE : la citta’ della luce di Carmignani
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Grazie maestro Usui, grazie di cuore per il Reiki!
SCUOLA DI REIKI SPAZIO SACRO : WWW.SPAZIOSACRO.IT
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OSHO
IL MAESTRO “OCEANICO”
I SUOI LIBRI MI HANNO APERTO UN MONDO E ALL’INIZIO NE ERO STRAVOLTA, INTONTITA, QUASI “ANNIENTATA”
UN URAGANO SI ERA ABBATTUTO SU DI ME
HO DOVUTO DISTOGLIERMI PER MESI DAI SUOI SCRITTI
MA POI L’HO “RINCONTRATO” E L’HO AMATO GRANDEMENTE E TUTT’ORA E’ COSI’
Osho e’ sempre stato contestato, osho non e’ ordine, e’ caos…..ma che caos!
OSHO E’ IL MAESTRO CHE EMMANUEL CITA PIU’ SOVENTE E SPESSO LO VEDO CON UN SUO LIBRO IN MANO (IN REALTA’ I SUOI LIBRI SONO IL FRUTTO DEI SUOI DISCORSI CHE I SUOI SANJASIN RACCOGLIEVANO)
GRAZIE MAESTRO, HO SCOPERTO PERCHE’ MI PIACI TANTO:
PERCHE’ TU DICI QUELLO CHE IL MIO CUORE GIA’ SENTE E VUOLE. TRA NOI (a parte il libro finale che per me neppure lo riguarda) NON C’E’ DICOTOMIA
Fare amicizia con alberi, uccelli e…
La scoperta del tuo essere è l’inizio della vita. Allora ogni momento è una nuova scoperta, ogni momento è motivo di gioia; un nuovo mistero si schiude per la prima volta, un amore sconosciuto comincia a sbocciare dentro di te, una compassione mai provata prima d’ora, una nuova sensibilità per la bellezza, per la bontà…
Diventi talmente sensibile che persino un esile filo d’erba acquista per te un’immensa importanza. La tua sensibilità ti fa capire chiaramente che il filo d’erba, per l’esistenza, è importante quanto la stella più grande. Senza quel filo d’erba, l’esistenza sarebbe sminuita. Quel filo d’erba è unico e insostituibile e ha una sua individualità.
Questa tua sensibilità ti farà stringere nuove amicizie: con alberi, uccelli e animali, con le montagne, i fiumi, gli oceani e le stelle. La tua vita si arricchirà sempre più, mentre amore e amicizia fioriranno. [Osho]
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Se ami saprai che tutto inizia e tutto finisce e che c’è un momento per l’inizio e un momento per la fine e questo non crea una ferita. Non rimani ferito, sai che quella stagione è finita. Non ti disperi, riesci a comprendere e ringrazi l’altro: “Mi hai dato tanti bei doni, mi hai donato nuove visioni della vita, hai aperto finestre nuove che non avrei mai scoperto da solo. Adesso è arrivato il momento di separarci, le nostre strade si dividono”. Non con rabbia, non con risentimento, senza lamentele e con infinita gratitudine, con grande amore, con il cuore colmo di riconoscenza. Se sai come amare, saprai come separarti.
Osho
GRAZIE OSHO, E’ QUELLO CHE SENTO
Osho, alla nascita chiamato Chandra Mohan Jain (hindi devanagari: चन्द्र मोहन जैन), anche noto come Acharya Rajneesh dagli anni Sessanta in poi e come Bhagwan Shree Rajneesh (A Kuchwada, 11 dicembre 1931 – Pune, 19 gennaio 1990),
negli anni Settanta e Ottanta – adottò il nome Osho, che significa per i suoi sannjasin “oceanico” è stato un filosofo, mistico e maestro spirituale (guru) indiano, che acquisì un grande seguito internazionale.
I suoi insegnamenti sincretici enfatizzano l’importanza della meditazione, della consapevolezza, dell’amore, della celebrazione, della creatività e dell’umorismo – qualità che egli riteneva soppresse dall’adesione a sistemi di credenze statici, alla tradizione religiosa, al socialismo. Fu un forte critico delle religioni organizzate e dei sistemi di potere ad esse legati e per questo si fece anche molti nemici.
Egli considerava la maggior parte delle credenze religiose come superstizioni che nascondevano la verità sull’illuminazione]. Le sue idee ebbero un notevole impatto sul pensiero New Age occidentale e sulla controcultura ereditata dagli anni sessanta e la loro popolarità è decisamente aumentata dalla sua morte
Osho era un professore di filosofia e viaggiò per l’India negli anni Sessanta del XX secolo come conferenziere. Le sue posizioni contro il socialismo e la religione istituzionale erano considerate controverse. Sosteneva anche una più aperta attitudine verso la sessualità, verso una mente libera da lacci istituzionali
Nel 1970 si stabilì per breve tempo a Mumbai (Bombay). Prese ad iniziare discepoli, noti come neo-sannyasin e assunse il ruolo di maestro spirituale.
Anche se lui sosteneva che nessuno poteva essere veramente iniziato da qualcuno. “solo l’illuminato” sa nel silenzio del suo cuore di esserlo
Nei suoi discorsi reinterpretava gli scritti di tradizioni religiose, mistici e filosofi di tutto il mondo.
Trasferitosi a Pune nel 1974, fondò un’ashram che attrasse un gran numero di occidentali.
L’ashram offriva terapie derivate dallo Human Potential Movement, e apparve sui giornali in India e all’estero, in particolare per i suoi insegnamenti permissivi e provocatori.
Verso la fine degli anni Settanta, vi erano contrasti crescenti col governo e con la società indiane.
Nel 1981 Osho si trasferì negli Stati Uniti e i suoi seguaci fondarono una comune, in seguito nota come Rajneeshpuram, nello stato dell’Oregon. Entro un anno la guida della comune entrò in conflitto con i residenti locali, principalmente riguardo all’uso dei terreni, con episodi di ostilità da ambo le parti.
L’ampia collezione di Rolls-Royce di Osho, donata da alcuni ricchi seguaci, divenne famosa.
Ma i detrattori non avevano capito niente della sua provocatoria dimostrazione del lusso, in realta’ a lui non importava avere alcunche’….tutto era transitorio…..
Osho era provocatorio oltre ogni limite era controverso, tutto e il contrario di tutto…………ma la sua intelligenza, l’acutezza nel conoscere l’animo umano, la capacita’ di sondare il mistero, l’intuizione, erano veramente straordinari…..
La comune di Osho collassò nel 1985, quando Osho in persona rivelò che i dirigenti della comune avevano commesso numerosi gravi crimini,
Osho, pur dicendosi fuori da queste nefandezze, fu arrestato poco dopo e accusato di violazioni della legge sull’immigrazione.
Fu estradato dopo una richiesta di patteggiamento
Ventuno Stati gli negarono l’ingresso, e Osho dovette viaggiare a lungo prima di tornare a Pune, dove morì nel 1990
i suoi sannjasin dicono che fu’ avvelenato.
La sua ashram è oggi l’Osho International Meditation Resort e il suo pensiero continua ancora ad affascinare molte persone
Diceva egli di se stesso:
Certo, sono fragile, delicato e sensibile. Questa è la mia forza. Se tiri un sasso a un fiore, al sasso non succede nulla, ma il fiore scompare. Eppure.. non puoi dire che il sasso ha più potere del fiore: il fiore viene annientato, perché era vivo. E al sasso non accade nulla perché è morto.. •Osho …
Diceva dell’amore:
Amare significa lasciare all’altro la libertà di essere se stesso in ogni istante del proprio cammino insieme, ed esserne capaci implica aver raggiunto una maturità interiore tale da non temere neanche il venir meno dell’affetto o dell’interesse da parte dell’amato. Amare vuol dire desiderare la gioia del proprio amato senza porre alcuna condizione e senza aspettarsi nulla in cambio. L’amore è una qualità del proprio essere, se la si possiede, ne beneficia indistintamente chiunque ne venga …
Ti aspetti qualcosa… e non succede niente. Ti aspetti qualcosa… e accade tutto il contrario: il tuo ego ne rimane sconvolto, cadi nell’infelicità più nera. Limitati ad osservarlo: quando ti senti infelice prova a scoprirne il motivo. Le cause non stanno al di fuori di te. Il motivo fondamentale è dentro di te, ma tu guardi sempre al di fuori, chiedi sempre: chi mi rende così infelice? …
OSHO
A ogni pezzo delle antiche credenze che cade giù come una vecchia e arrugginita armatura,
diventi sempre più leggero e più capace di celebrare la tua vita liberamente,
proprio in questo momento, stai puntando a un incontro diretto con la verità.
Meno bagaglio hai e più facile è che accada.
Se tutto quel che hai vissuto può essere espresso in parole, non hai vissuto nulla. Quando ti succede qualcosa che è al di là delle parole, solo allora cominci a vivere, solo allora la vita bussa alla tua porta. •Osho Rajneesh
Di osho non diro’ altro se non qualche suo pensiero non si puo’ concentrare tutto quello che ha detto….ci sono 169 libri…..se vi va leggetene qualcuno…..:
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A tutti noi viene insegnato ad essere colti, non ad essere innocenti o a percepire la meraviglia dell’esistenza; ci vengono insegnati i nomi dei fiori; degli alberi e non come entrare in comunicazione con loro, in sintonia con l’esistenza. L’esistenza è un mistero e non è accessibile a coloro che vogliono sempre analizzare, selezionare, ma solo a coloro che sono disposti ad innamorarsene, a danzare con lei.
L’amore non è ciò che si intende di solito. L’amore comune non è che una finzione; dietro di esso si nasconde dell’altro. L’amore autentico è un fenomeno totalmente diverso: non è un pretendere, bensì un condividere; non conosce il chiedere, ma la gioia del dare.
Non ti chiedo di credere negli altri. Quello è solo il risultato di una mancanza di fiducia in se stessi.
L’uomo di mondo fugge da se stesso mentre il ricercatore fugge in se stesso per trovare la sorgente della vita, della consapevolezza.
E quando scopre la sorgente della vita, egli non ha scoperto solo la fonte della propria vita, egli ha scoperto la fonte della vita dell’universo, del cosmo intero.
Qualunque cosa distrugga la libertà non è amore. Deve trattarsi di altro, perché amore e libertà vanno a braccetto, sono due ali dello stesso gabbiano.
Ogni volta che vedi il tuo amore in conflitto con la tua libertà, significa che stai facendo qualcos’altro in nome dell’amore.
La felicità è un affiorare interiore; è un risveglio delle tue energie; è un risveglio della tua anima.
Accumulare avvelena il cuore. Ogni cosa accumulata è velenosa.
Se condividi, il tuo organismo sarà libero da veleni.
E quando dai, non preoccuparti che il tuo dare sia o non sia corrisposto.
Non aspettare neppure un grazie.
Sentiti riconoscente verso la persona che ti ha permesso di condividere ciò che avevi…non aspettarti nulla; non dire, in cuor tuo, che quella persona dovrebbe esserti riconoscente,
perché tu hai condiviso qualcosa con lei… no, sentiti tu riconoscente, perché l’altro è stato disposto ad ascoltarti, a condividere con te un’energia: ha accettato di ascoltare il tuo canto; era disponibile a guardare la tua danza; non ti ha respinto, quando sei giunto con il tuo dono…avrebbe potuto farlo.
Non c’è bisogno di correre. Non importa cosa succede intorno a te, mantieni un passo pacato che ti permetta di rimanere in sintonia con la brezza gentile della meditazione.
E appena te ne dimentichi, ritorna in quello spazio, semplicemente e senza sentirti in colpa. Sii la quiete nella tempesta.
L’opposto dell’amore è il falso-amore: un amore che finge di essere tale, e non lo è.
Non sei qui per vivere la vita di qualcun altro; puoi solo vivere un’unica vita, la tua!
Tu puoi essere solo te stesso… e non esiste qualcun altro che possa essere te!
Accetta la tristezza, dalle il benvenuto, lascia che sia un ospite beneaccetto.
E osservala con attenzione in profondità, con amore, con attenzione.
Sii un vero anfitrione! E rimarrai sorpreso, sorpreso al di là di qualsiasi aspettativa, perché vedrai che la tristezza possiede alcune bellezze che la felicità non potrà mai avere.
La tristezza ha profondità, mentre la felicità è sempre superficiale. La tristezza ha lacrime, e le lacrime scendono a profondità maggiori di qualsiasi risata. La tristezza ha un silenzio proprio, una melodia che la felicità non potrà mai avere.
Non si tratta di scegliere la tristezza ma di godere anche di essa….
Puoi amare solo quando sei felice dentro di te.
L’amore non può venir aggiunto dall’esterno. Non è un indumento che puoi indossare.
Io concepisco un mondo senza povertà, senza classi, senza nazioni, senza religioni, senza alcun tipo di discriminazione.
Io concepisco un mondo unito, un’umanità unita, un’umanità che condivide ogni cosa materiale e spirituale, una profonda fratellanza spirituale.
La vita non è un pugno chiuso: è una mano aperta pronta ad offrire i suoi segreti a chiunque sia pronto, ricettivo e disponibile a riceverli.
Comprendi la Paura, non tentare di liberartene. Accettala come parte del tuo essere. Se riesci ad accettarla è già scomparsa.
Solo colui che ha abbandonato ogni credo si trova sul sentiero della verità. Altrimenti chi ha pregiudizi, ed un certo credo stabilito non può rivendicare alcuna verità. I credo sono una creazione della mente dell’uomo. La verità non conosce scissioni, pertanto colui che è libero da pregiudizi, ed è imparziale, diviene il detentore del vero, essendone padrone.
L’amore non è un bisogno, ma un traboccare… L’amore è un lusso. È abbondanza. Significa possedere così tanta vita che non sai più cosa farne, quindi la condividi. Significa avere nel cuore infinite melodie da cantare; che qualcuno ascolti o no è irrilevante. Anche se nessuno ascolta, devi comunque cantare, devi danzare la tua danza.
GURU ARJAN- IL GURU DELLO SPAZIOSACRO
Arjan fu’ il terzo figlio di Guru Ram Das. Venne al mondo il 15 di aprile il 1563 a Goindwal.
Un poeta per eccellenza,un filosofo per suo diritto,un costruttore e un grande organizzatore.
Fu’ anche il primo martire della storia dei Sikk. Questo fu’ Guru Arjan.
Anche nei primi anni evidenzio’ segni di grande promessa, fedele nei suoi ideali e possessore di una mente bilanciata verso i suoi detrattori, uno dei quali era suo fratello maggiore,Prithi Chand,che fece di tutto per fargli del male per usurpargli il trono, eppure fu’ ripagato con nient’altro che perdono e carita’,
L’altro fratello di Guru Arjan, Mahadev,era un recluso e pertanto incapace a succedere al padre.
Seppure i Sikhs si mantennero per Guru Arjan mandandogli offerte sia da vicino che da lontano, queste erano intercettate da Prithi Chand, quindi niente arrivava al Guru, anche se lui e la cucina comunitaria dipendevano solo dalle offerte dei fedeli.
Ma segretamente le offerte arrivarono a lui ed Nel Cuore della citta’ di Amritsar, Guru Arjan fece costruire un Gurdwara, popolarmente consciuto ora come “TEMPIO D”’ORO” aperto ai quattro lati per significare che era aperto a tutte le quattro caste e a genti di tutte le parti del mondo.
AMRITSAR,TEMPIO D’ORO INDIA
Si dice,che chiese al santo Mussulmano Sufi, Mian Mir, di posare la prima pietra.
Dopo il Guru eresse due citta’,una di nome Taran Taran e l’altra Kartarpur nel distretto di Jullandar rispettivamente.
Intorno ai Gurdwara di queste citta’il Guru fece costruire due grandi laghi perche’ la gente potesse bagnarsi e tenersi meticolosamente puliti.
Quando nel 1595 Guru Arjan divenne padre di un figlio, Prithi Chand, IL FRATELLO, che sperava che il Guru essendo senza figli,passasse a lui IL TRONO o a suo figlio,
questi comincio’ a premeditare un vile intrigo.
Prima provo’ ad’avvelenare il figlio del Guru, pero’ una volta che il suo piano falli’,egli si associo’ con il governatore mussulmano di Jullandar Sulhi Khan e lo incito’ ad’attaccarlo.
Pero’ Sulhi mori’ nelle piu’ tragiche circostanze.
In un momento di tregua il Guru si adagio’ ad’una vita di pace e compilo’ il Guru Granth Sahib. Il Libro Sacro dei Sikk
Egli aveva gia’ dato ai suoi Sikh un posto centrale di preghiera,ossia il Darbar Sahib “la Corte del Signore” che come gia’ detto viene riferito oggi come il “Tempio d”Oro” e
Quindi organizzo’ la congregazione”Sangat”sotto i missionari”masands”
Nel frattempo, Jahangir l’imperatore mogul di Delhi, ascoltando voci che riportavano l’influenza del Guru, non solo fra gli indu’ ma anche fra i mussulmani., e poiche’
qualche tempo prima qualcuno aveva indicato all’imperatore Akbar che il Guru aveva compilato un libro dove insultava la fede mussulmana,
…. L’imperatore Jahangir chiese a Guru Arjan di leggergli il libro quando gli fece visita a Goindwal nel 1598,
e quando fu fatto l’imperatore ne rimase compiaciuto e soddisfatto che il Guru avesse una missione di sintesi e non di conflitto ed esclusivita’.
Pero’ l’imperatore Jahangir era fatto di un’altro tessuto e chiese al Guru di cambiare il testo del Granth,includendo le lodi del profeta Mohamed, maometto, ma in questo caso il Guru rifiuto’,
nel frattempo in quei giorni il figlio dell’imperatore Jahagir si ribello’ contro il padre,e scappo’ in direzione di Kabul, e durante il viaggio si fermo’ al Darbar “Corte del Guru”e come era costume in quelle occasioni,chiese la sua benedizione.
Fu’ riferito all’imperatore che il Guru aveva assistito suo figlio con denaro e gli aveva imposto un marchio fatto con lo zafferano sulla fronte”Tilak”e dato la sua benedizione per la lotta contro l’imperatore stesso.
(E’ da premettere qui’ che il segno del “tilak”si applicava sulla fronte all’incoronamento di un imperatore o un Guru Sikh)
Tutto questo era naturalmente falso, pero’Jahangir credette a queste storie e allo stesso tempo , poiche’ segretamente aveva sempre desiderato eliminare questa persona la cui autorita’ continuava a crescere
ne ordino’ l’immediato arresto e la confisca di tutte le sue proprieta’
Guru Arjan fu’ affidato nelle mani del governatore di Lahore, Murtaza Khan e torturato a morte.
Fu’ fatto sedere su una piastra incandescente,docciato con acqua bollente e docciato con sabbia incandescente.
un santo sufi, suo amico, lo visito’ e gli disse che se lui accettava di cambiare il Granth,le sue torture sarebbero terminate.
GURU ARJAN invece ringrazio’ i suoi torturatori
mettendo in risalto il ringraziamento per loro che gli “ avevano provveduto un posto cosi’ agiato per la sua meditazione” (la piastra incandescente!).
Infatti , Dopo aver nominato suo figlio Har Gobind come suo successore,
mori cantando WAHE GURU dopo 5 giorni e 5 notti di tortura !
Guru ji fu’ portato al fiume Ravi il 30 maggio del 1606 per un bagno.
Il suo corpo straziato dalle piaghe si dissolse nelle acque del fiume.
Cosi’ fu’ il primo martire della storia SIKK.
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IL MANTRA DI GURU ARJAN
RAKHE REKHANHAR
RAKHE REKHANHAR AAP UBAARIAN
GUR KEE PAIREE PAA-EH KAAJ SAVAARIAN
HOAA AAP DAYAAL MANHO NA VISAARIAN
SAADH JANAA KAI SANG BHAVJAI TAARIAN
SAAKAT NINDAK DUSHT KHIN MAA-EH BIDAARIAN
TIS SAAHIB KEE TAAYK NAANAK MANAI MAA-EH
JIS SIMRAT SUCKH HOE SAGAL DUKH JAE
Traduzione: Dio stesso si cura di noi, ci da luce e, si prende cura dei nostri cari. Dio è pieno di pietà e non si dimentica mai di noi. Dio ci guida, offrendoci l’aiuto di gente buona. Dio non permette che il dolore ci colpisca. Io traggo sollievo dagli insegnamenti di Dio. Quando ricordo Dio, mi sento pacifico e felice e tutti i miei mali spariscono.
Effetti: Queste sono le parole di Guru Arjan, il quinto Guru Sikh e, danno completa protezione. Vengono dalla preghiera della sera (Rehiras),
che aggiunge Energia all’essere e, ti aiuta quando sei debole fisicamente o hai una salute limitata. è una canzone di Vittoria che ci consente di essere guidati dalla mano piena di grazia e di pietà di Dio.
Elimina gli ostacoli per realizzare il destino di chi lo recita.
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.GRAZIE GRAZIE GRAZIE
Jiddu Krishnamurti
Verso la liberazione interiore
“Dove c’è conformismo, non può fiorire la bontà. Abbiamo assoluto
bisogno di libertà; ma la libertà può esserci solo quando capite fino in fondo e
nella sua interezza il problema dell’invidia, dell’avidità, dell’ambizione, del
desiderio di potere. È solo la libertà da tutto questo che farà sbocciare quella
cosa straordinaria che chiamiamo carattere. Un uomo libero ha in se la
compassione e sa che cos’è l’amore, non l’uomo che parla di moralità, usando
ripetutamente parole vuote.”
…..“L’amore e l’elemento più pericoloso che esista; porta con sé una totale
incertezza e siccome noi non vogliamo vivere nell’incertezza, siccome non
vogliamo sentirci in pericolo, viviamo nella mente e non nel cuore. L’essere
umano che ama è pericoloso e noi non vogliamo vivere pericolosamente;
vogliamo l’efficienza, vogliamo sentirci protetti
Ma nessuna organizzazione ha mai portato, né porterà mai, l’ordine e la pace
nel mondo. Alla fine, e quindi ora, chi può portare ordine e pace sono soltanto
l’amore, la buona volontà, la compassione”……
….”Noi non siamo integri. Siamo il prodotto di un’infinità di influenze, di
migliaia di condizionamenti, di deformazioni psicologiche; siamo il frutto della
propaganda e della cultura. Noi non siamo integri e quindi siamo esseri di
seconda mano. Quella solitudine che è assoluta integrità implica il non
appartenere ad una famiglia, per quanto si possa avere una famiglia, il non
appartenere ad una nazione, ad una cultura, il non dipendere da
un’occupazione particolare. Significa avere la sensazione di essere degli
estranei, estranei ad una nazione, ad una famiglia e ai loro modi di pensare e
di agire. In quella solitudine che è integrità c’è innocenza, un’innocenza che
libera la mente dal dolore….”
(krishnamurti)
.
Krishnamurti cominciò a parlare indipendentemente da qualsiasi
organizzazione nel 1929. I suoi discorsi rivelavano un’autorevole originalità,
come ebbe modo di sottolineare Aldous Huxley. La sua esplorazione della
natura della verità e della libertà, portata instancabilmente avanti nei suoi
discorsi e nei suoi dialoghi, avrebbe raggiunto milioni di persone. I suoi discorsi
sono stati tradotti in più di quaranta lingue diverse.
Krishnamurti, pur essendo timido e riservato, tenne migliaia di discorsi
senza mai aver bisogno di ricorrere ad appunti o a note di qualsiasi tipo.
Fondamentalmente, ha sempre sviluppato un unico tema: la verità può essere
scoperta da ognuno di noi, senza l’intermediazione di alcuna autorità. E questa
scoperta può essere fatta istantaneamente, perché la vita è in ogni istante.
I suoi discorsi hanno costantemente affrontato il conflitto, sia a livello
personale che a livello sociale. Osservando i nostri comportamenti conflittuali,
tanto nell’ambito personale che in quello sociale, si impone come necessaria
un’azione che sia in grado di trasformare noi stessi e la società in cui viviamo.
Durante uno dei suoi discorsi, gli fu chiesto perché egli parlasse e che
cosa si proponeva di ottenere.
Ed egli rispose: “Ho qualcosa da dirvi. Forse
posso indicarvi Il modo di scoprire la realtà. Ma non intendo proporvi un
metodo, un sistema. Se voi poteste scoprirla per conto vostro, non ci sarebbe
bisogno di qualcuno che venisse aparlarvi, ma tutti insieme ne discuteremmo
ed esprimeremmo la realtà nella vita che viviamo…
La verità non si può accumulare da qualche parte. Qualunque cosa si
accumuli, andrà inevitabilmente distrutta, dovrà scomparire. E la verità non
potrà mai andare distrutta; la si può scoprire, momento per momento, in ogni
pensiero, in ogni relazione, in ogni parola, in ogni gesto, nel sorriso o nel
pianto. Se voi ed io potessimo scoprirla e viverla – e la vera vita consiste
proprio nella scoperta della verità – non diventeremmo certo dei propagandisti,
ma saremmo degli esseri umani creativi; non esseri umani perfetti, ma esseri
umani creativi, che è una cosa completamente diversa.
Credo sia per questo che parlo e forse e per questo che voi siete qui ad
ascoltare. C’è un solo problema: non esiste alcuna risposta, perché un
problema può dissolversi solo quando siamo capaci di comprenderlo”.
Spesso Krishnamurti, quando gli veniva rivolta una domanda, non
rispondeva immediatamente, ma preferiva affrontare la questione ampliando e
approfondendo l’indagine. Nell’approfondire un problema egli trovava alimento
per la sua indagine, che smetteva di essere la semplice ricerca intellettuale di
una risposta, corretta da un punto di vista logico. I brani presentati in questo
libro invitano il lettore ad un’indagine approfondità e non alla ricerca di una
risposta immediata.
Un’infinità di volte Krishnamurti, nei suoi discorsi e nei suoi dialoghi, ha
sottolineato il fatto che a lui non interessavano speculazioni intellettuali.“Lo
scopo di questi discorsi – diceva – è di comunicare tra noi e non di imporvi
determinate idee. Le idee non cambieranno mai la mente; non sono
assolutamente in grado di trasformarla radicalmente. Ma se potessimo
comunicare tra noi, essendo nello stesso istante allo stesso livello, allora forse
potrebbe esserci una comprensione che non c’entra nulla con la propaganda…
Questi discorsi non hanno assolutamente lo scopo di convincervi di qualcosa,
né in maniera evidente, né in maniera sottile”.
Nei suoi discorsi in pubblico, capitava spesso che, riferendosi all’umanità
intera, Krishnamurti usasse termini generali come “il genere umano” oppure
“l’uomo”; nella seconda parte della sua vita, dopo aver usato uno di questi
termini, spesso si interrompeva e diceva al suo pubblico: “Vi prego, quando mi
riferisco all’uomo, includo naturalmente anche le donne, perciò non guardatemi
male”.
Egli parlava con straordinaria semplicità; non ricorreva a parole speciali,
né usava la terminologia dei guru o di quegli insegnanti religiosi legati ad una
setta o ad un’organizzazione particolare. Tra il 1930 e il 1986, anno della sua
morte, ha parlato a un pubblico sempre più numeroso, in Europa, nell’America
del Nord, nell’America del Sud, in Australia, in India.
SUOI PENSIERI
Lo scopo della vita
Sono molte le persone disposte a dirvi quale sia lo scopo della vita; vi
ripeteranno quello che dicono i libri sacri. Poi ci sono i furbi, che vi proporranno
lo scopo che loro stessi si sono inventati. I partiti politici hanno un loro scopo, i
vari gruppi religiosi ne hanno un altro e così via. Ma quale può essere lo scopo
della vita, quando voi stessi siete immersi nella confusione?
Se sono confuso, mi rivolgo a voi per chiedervi qual è lo scopo della vita,
perché spero di ottenere una risposta che mi faccia uscire dal mio stato di
confusione. Ma come posso avere la risposta giusta finché continuo ad essere
confuso? Capite? Se sono confuso, anche la risposta che riceverò sarà confusa.
Se la mia mente è confusa, turbata, se non è calma, se non è bella, qualsiasi
risposta mi venga data subirà gli effetti della mia confusione, della mia
angoscia, della mia paura, e quindi verrà deformata.
Allora quello che importa non è chiedere: “Qual è lo scopo della vita?
Qual è lo scopo dell’esistenza?”, ma dissipare la confusione che è in voi. È
come se un cieco chiedesse: “Che cos’è la luce?”. Qualunque cosa io gli dicessi,
la interpreterebbe ascoltando dalla sua cecità, dalla sua oscurità. Ma supponete
che all’improvviso possa vedere; non chiederebbe mai più che cos’è la luce. La
luce è lì. Analogamente, se poteste dissipare la confusione che è in voi,
scoprireste qual è lo scopo della vita; non dovreste più chiederlo a nessuno,
non dovreste andare a cercarlo da nessuna parte. Tutto quello che dovete fare
è liberarvi da ogni cosa che genera confusione.
Entrare in contatto con la morte
Abbiamo paura di morire. Per mettere fine alla paura della morte
dobbiamo entrare in contatto non con l’immagine della morte creata dal
pensiero, ma con quello stato che appartiene effettivamente alla morte.
Dobbiamo effettivamente provare a sentire questo stato, altrimenti la paura
della morte non finirà mai, perché la stessa parola “morte” genera paura e noi
preferiamo non pronunciarla nemmeno.
Ma è possibile entrare in contatto con
il fatto della morte pur essendo persone sane, normali, capaci di osservare e di
ragionare con chiarezza, di pensare con obiettività? Col passare del tempo
l’organismo si consuma, le malattie lo debilitano e alla fine muore.
Ma ora, se
siamo ancora persone sane, vogliamo scoprire che cosa significa morire. Non si
tratta di un desiderio morboso; forse, scoprendo che cos’è la morte capiremo
anche che cos’è la vita. La vita per noi ora è una tortura, una confusione senza
fine, una contraddizione continua; viviamo nel conflitto, nella sofferenza, nel
disordine. Andiamo in ufficio giorno dopo giorno provando sempre gli stessi
piaceri, gli stessi dolori, le stesse ansie, le stesse incertezze. Andiamo avanti a
tentoni: è questo che chiamiamo vivere. Ormai ci siamo abituati, lo accettiamo
e vivendo così invecchiamo e moriamo.
Per scoprire che cosa significa vivere e che cosa significa morire bisogna
entrare in contatto con la morte; questo significa che dobbiamo porre fine ogni
giorno a tutto quello che abbiamo conosciuto. Dobbiamo porre fine
all’immagine che abbiamo di noi stessi, della nostra famiglia, delle nostre
relazioni. È un’immagine costruita dai nostri piaceri e dalle relazioni che ci
legano alla società e a qualunque altra cosa. Questa immagine scompare
definitivamente nel momento in cui sopraggiunge la morte.
La paura della morte
Perché avete paura della morte? Forse perché non sapete vivere? Se
sapeste che cosa significa vivere in tutta la sua pienezza, avreste paura della
morte? Se amaste gli alberi, il tramonto, gli uccelli, la foglia che si e staccata
dal ramo; se vi rendeste conto della povera gente, delle lacrime versate da
tanti uomini e da tante donne, se veramente ci fosse amore nel vostro cuore,
avreste paura della morte?
Non lasciatevi convincere da me, pensiamoci insieme. Non c’è gioia nella
vostra vita, non siete felici, la vostra sensibilità non è viva a tutto quello che vi
circonda. Per questo voi venite a chiedere che cosa vi succederà quando
morirete. Vivere per voi significa soffrire ed e per questo che vi interessate alla
morte. Credete che forse troverete la felicità quando morirete. Questo e un
problema enorme e non so se volete veramente affrontarlo. Alla base di tutto
questo c’è la paura, la paura di morire, la paura di vivere, la paura di soffrire.
Se non capite che cosa genera la paura e se non siete capaci di liberarvene,
non ha molta importanza che viviate o che moriate.
Ho paura
Ora mi interessa indagare come si fa a liberarsi dalla paura del
conosciuto, cioè dalla paura di perdere la mia famiglia, la mia reputazione, le
mie qualità, il mio conto in banca, i miei desideri e così via. Potete dire che la
paura nasce nella coscienza, ma la vostra coscienza è costituita dai vostri
condizionamenti; quindi è un prodotto del conosciuto. Che cosa conosco?
Conoscenza significa farsi delle idee, avere delle opinioni su questa o
quella cosa, provare un senso di continuità nell’ambito di quello che
conosciamo…
C’è la paura del dolore. Il dolore fisico è una reazione nervosa, mentre la
sofferenza psicologica sorge quando mi attacco a qualcosa che mi soddisfa e
che ho paura di perdere; ho paura che venga qualcuno a portarmi via quello a
cui sono attaccato. Fin che accumulo acquisizioni psicologiche di vario tipo
senza particolari disturbi, sono al riparo dalla sofferenza psicologica. Questo
significa che io sono un cumulo di acquisizioni, di esperienze che fungono da
elementi protettivi tesi a impedire qualsiasi serio disturbo; io, infatti, non
intendo essere disturbato. Così ho paura di chiunque minacci queste protezioni.
Quindi la mia paura proviene dal conosciuto ed e connessa a tutte quelle
acquisizioni fisiche o psicologiche che mi servono per proteggermi dal dolore e
mi consentono di non soffrire.
Anche la conoscenza consente di evitare il dolore. Come la conoscenza
medica consente di evitare la sofferenza fisica, così le nostre fedi ci consentono
di evitare la sofferenza psicologica. È questo il motivo per cui ho paura di
perdere quello in cui credo, anche se non so bene che cosa sia quello in cui
credo, perché non ho alcuna prova concreta della sua realtà.
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Soltanto quello che muore può rinnovarsi
Quando parliamo di un’entità spirituale, intendiamo qualcosa che non
rientra nel campo della mente. Questo è ovvio. Ora, l’io è un’entità spirituale?
Se lo fosse, dovrebbe essere al di là del tempo, quindi non potrebbe né
rinascere né continuare. Il pensiero non può andare al di là della mente,
perché si svolge nel tempo e si basa sul passato. Il pensiero è un movimento
continuo, è la reazione del passato; quindi fondamentalmente è un prodotto
del tempo. L’io che il pensiero può prendere in considerazione fa parte del
tempo, non può essere libero e quindi non ha nulla di spirituale. Questo è
evidente. L’ “io” è solo un processo di pensiero e voi vorreste sapere se questo
processo di pensiero, continuando anche dopo la scomparsa del corpo fisico,
tornerà a nascere, si reincarnerà in una forma fisica.
Approfondiamo ancora un po’ la questione. Quello che ha una continuità
potrà mai scoprire la realtà, che è al di là del tempo e della misura? Quell’io,
che è un’entità legato ad un processo di pensiero, potrà mai rinnovarsi? Se non
può farlo, vuol dire che il pensiero deve necessariamente finire. Quello che
continua non è fondamentalmente distruttivo? Tutto quel che ha una continuità
non potrà mai rinnovarsi. Fin che il pensiero continuerà, alimentandosi di
ricordi, di desideri, di esperienze, non potrà mai rinnovarsi; quindi, proprio a
causa della sua continuità, non potrà conoscere la realtà. Potete anche
rinascere mille volte, ma non toccherete il male, non conoscerete la realtà,
perché solo quello che muore, solo quello che finisce può rinnovarsi.
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Morire senza discutere
Sapete che cosa significa venire in contatto con la morte? Morire senza
discutere? La morte, quando viene, non si mette certo a discutere con voi. Per
incontrarla dovete morire ogni giorno alla vostra angoscia, alla vostra
solitudine, alle vostre relazioni alle quali siete tanto attaccati; dovete morire ai
vostri pensieri, alle vostre abitudini, a vostra moglie, perché solo così potrete
vedere vostra moglie per la prima volta; dovete morire alla società, perché
solo così potrete sentirvi come esseri umani nuovi, freschi, giovani, capaci di
guardare tutto ciò che li encomia. Ma non potete incontrare la morte se non
morite ogni giorno. Solo quando morite c’è amore.
Una mente impaurita è incapace di amore; ha le sue abitudini, le sue
simpatie, si sforza di essere gentile; ma tutto questo rimane in superficie. La
paura genera dolore e il dolore è tempo e pensiero.
Per porre fine al dolore dovete entrare in contatto con la morte mentre
siete vivi; dovete morire al vostro nome, alla vostra casa, alle vostre proprietà,
alla vostra causa. Solo così troverete la freschezza, la giovinezza, la chiarezza
che vi consentono di vedere le cose come sono, senza la minima distorsione. È
questo che accadrà quando morirete.
Ma noi abbiamo circoscritto la morte ad un fatto fisico. Sappiamo molto
bene che l’organismo prima o poi smetterà di funzionare e arriverà la sua fine.
È una cosa logica. Quindi ci inventiamo una vita che vada oltre le angosce
quotidiane, la nostra insensibilità, la montagna di problemi che ci siamo creati,
la stupidità dell’esistenza che abbiamo accettato. Quello che vorremmo
continuasse a vivere lo chiamiamo “anima” e diciamo che è la cosa piu sacra
che esiste, che è parte del divino; ma tutto questo fa ancora parte del vostro
pensiero e quindi non ha nulla a che fare con la divinità. È questa la vostra
vita!
Così bisogna vivere ogni giorno rimanendo accanto alla morte, perché
solo così siete in contatto con la vita.
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Nella morte c’è l’’immortalità
Nella fine c’e rinnovamento. Solo la morte può consentire di esistere a
qualcosa di nuovo. Non è mia intenzione cercare di consolarvi, non vi sto
dicendo qualcosa a cui dobbiate credere o che dobbiate accettare
intellettualmente, perché ve ne servireste per trovare consolazione, come fate
con la vostra fede nella reincarnazione o nella continuità della vita dopo la
morte. Il fatto è che quel che continua non può rinascere, non può rinnovarsi.
Solo morendo ogni giorno è possibile rinnovarsi e rinascere. È questa
l’immortalità. Nella morte c’è l’immortalità, non nella morte che voi temete
tanto, ma nella morte di tutte le conclusioni a cui siete arrivati, dei ricordi,
delle esperienze con cui vi siete identificati. Il vostro ego è frutto di queste
identificazioni. Nella morte dell’ego, minuto per minuto, c’è l’eternità
c’è
l’immortalità, c’è qualcosa che bisogna sperimentare. Non serve a nulla
parlarne, discuterne, proprio come fate a proposito della reincarnazione e di
cose del genere.
Quando smettete di avere paura perché ogni minuto porta con sé la sua
fine e quindi un rinnovamento, allora vi aprite all’ignoto. La realtà non è
qualcosa che si possa conoscere e anche la morte è qualcosa che non si può
conoscere. Dire che la morte è bella, che è meravigliosa perché continueremo
ad esistere nell’aldilà, non ha alcun fondamento. Realtà significa vedere la
morte per quello che è, una fine, una fine nella quale c’è rinnovamento,
rinascita e non una continuità. Tutto ciò che continua decade, mentre solo
quello che ha il potere di rinnovarsi è eterno.
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La reincarnazione e’ fondamentalmente egoistica
Voi vorreste che io vi dessi per certo che tornerete a vivere un’altra vita.
Ma una cosa del genere non ha nulla a che fare né con la felicità, né con la
saggezza. Considerare la reincarnazione come un mezzo per raggiungere
l’immortalità è un processo fondamentalmente egoistico e quindi falso. La
vostra ricerca dell’immortalità e solo un altro aspetto del desiderio di dare
continuità alle vostre reazioni di autodifesa che vanno contro la vita, contro
l’intelligenza. Questo vostro desiderio vi può solo condurre a vivere
nell’illusione.
Allora quello che importa non è credere se la reincarnazione esista o
meno, ma trovare la propria completa realizzazione nel presente. E potrete
farlo solo quando la vostra mente e il vostro cuore avranno smesso di
proteggersi nei confronti della vita. La mente e astuta e sottile nel trovare
modi per difendersi e deve rendersi direttamente conto della natura illusoria
delle protezioni dietro cui vorrebbe trincerarsi. Questo significa che il vostro
pensiero e le vostre azioni devono costantemente rinnovarsi. Dovete liberarvi
dalla rete dei falsi valori che l’ambiente vi impone. Deve esserci una nudità
completa, assoluta. Allora c’è l’immortalità, c’è la realtà.
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Che cos’è la reincarnazione?
Vediamo di scoprire che cosa si intende per reincarnazione, vediamone la
verità; lasciate perdere quello che vi piace leggere, quello che avete sentito
dire o quello che il vostro maestro vi ha insegnato. Di certo è la verità che
libera, non le vostre conclusioni, le vostre opinioni…
Quando dite: “Io rinascerò”, dovete sapere che cos’è questo “io”. È
un’entità spirituale? È qualcosa che possiede una sua continuità? È qualcosa
che non dipende dai ricordi, dall’esperienza, dalla conoscenza? O l’io è
un’entità spirituale oppure è semplicemente un processo di pensiero. O è
qualcosa che non ha nulla a che fare col tempo, che possiamo definire
spirituale e che non può essere misurato in termini di tempo, oppure è qualcosa
che rimane circoscritto nel campo della memoria, del pensiero, del tempo. Non
ci sono altre possibilità.
Ora, vediamo di scoprire se questo “io” è al di là del tempo, se è
qualcosa di incommensurabile. Spero che stiate seguendo quanto stiamo
dicendo. Vediamo di scoprire se l’io, nella sua essenza, è qualcosa di spirituale.
Col termine “spirituale” intendiamo qualcosa che non possa essere
condizionato da nulla, qualcosa che non sia una proiezione della mente umana
– e quindi non rientra nel campo del pensiero – qualcosa che non muore.
Un’entità spirituale è al di là della mente, che non fa parte del campo in cui
opera il pensiero. Ora, l’anima e un’entità spirituale? Se lo fosse, dovrebbe
essere al di là del tempo e quindi non potrebbe essere qualcosa che rinasce o
che continua. Tutto ciò che continua non potrà mai rinnovarsi. Finché il
pensiero continuerà, alimentato dai ricordi, dal desiderio, dall’esperienza, non
conoscerà alcun rinnovamento. ciò che continua non può conoscere la realtà.
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Esiste l’anima?
Per comprendere il problema della morte dobbiamo essere liberi dalla
paura, che si inventa ogni genere di teorie sull’al di là, sull’immortalità, sulla
reincarnazione. In Oriente affermano che la reincarnazione esiste, che
torneremo a rinascere e che in questo processo si produce un costante
rinnovamento di quel qualcosa che viene chiamato “anima”. Ora, vi prego,
ascoltate attentamente.
Esiste qualcosa che possiamo chiamare “anima”? Crediamo che esista, ci
fa piacere crederlo: l’anima è qualcosa che consideriamo al di là del pensiero,
al di là delle parole, al di là di tutto; è qualcosa di eterno, di spirituale, che non
morirà mai. Il pensiero si aggrappa ad un’idea del genere, ma esiste davvero
una cosa simile? Esiste davvero un’anima che sia al di là del tempo, al di là del
pensiero, che non sia un concetto inventato dall’uomo?
Esiste un’anima che
trascenda la natura umana, che non sia l’invenzione di una mente astuta?
La mente vede in quale enorme incertezza, in quale confusione viviamo;
non c’è nulla che permanga nella vita, proprio nulla. Le vostre relazioni, vostra
moglie, vostro marito, il vostro lavoro, niente di tutto questo è permanente.
Così la mente si inventa qualcosa di eterno, che chiama “anima”. Ma proprio
perché la mente può pensare a una cosa del genere, proprio perché il pensiero
può immaginarsi una cosa simile, questa fa ancora parte del tempo. È
evidente. Quello a cui io posso pensare fa parte del mio pensiero. E il mio
pensiero e un prodotto del tempo, dell’esperienza, della conoscenza. Quindi
l’anima rimane circoscritta nei limiti del tempo.
L’idea della continuità di un’anima, che continua a rinascere
indefinitamente, non ha senso; è l’invenzione di una mente impaurita, di una
mente che cerca di continuare ad esistere e che pretende una certezza alla
quale affidare la sua speranza.
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Karma
Karma implica la causa e l’effetto. Un’azione determinata da una causa
produce un effetto. L’azione che scaturisce dal condizionamento produce certi
risultati. Ma causa ed effetto non sono qualcosa di fisso, di statico. L’effetto a
sua volta diventa una causa. Quindi né la causa né l’effetto sono qualcosa di
fisso. L’oggi è il risultato di ieri, è il frutto di ieri sia dal punto di vista
cronologico che da quello psicologico. E l’oggi diventa la causa di domani.
Quindi la causa è l’effetto e l’effetto a sua volta diventa la causa: è un unico
movimento, senza interruzioni.
Né la causa, né l’effetto sono qualcosa di fisso.
Quando causa ed effetto diventano cose fisse, si produce una specializzazione
e la specializzazione implica la morte. Qualsiasi specie, una volta che ha
raggiunto una precisa specializzazione, inevitabilmente scompare.
La grandezza dell’essere umano consiste nel fatto che non può
specializzarsi. può farlo nel campo tecnologico, ma non nella sua intima
struttura. Una ghianda è specializzata: può essere solo quello che è. Ma
l’essere umano non è completamente delimitato. Esiste in lui la possibilità di un
costante rinnovamento. Non è circoscritto nei limiti di una specializzazione.
Se noi consideriamo la causa, lo sfondo, che determina il
condizionamento, scollegati dagli effetti che provocano, il pensiero entrerà
inevitabilmente in conflitto con lo sfondo, con la causa. Il problema è
estremamente complesso e non si risolve col credere o non credere nella
reincarnazione. Il problema riguarda il vostro modo di agire e non ha molta
importanza che crediate o meno nella rein carnazione o nel karma. È del tutto
irrilevante in che cosa crediate.
L’azione basata su un’idea
Un’azione che è un susseguirsi di cause e di effetti, che cosa ha a che
fare con la libertà? Ho fatto qualcosa in passato, ho avuto delle esperienze:
queste, evidentemente, condizionano le mie reazioni odierne e le mie reazioni
di oggi condizionano il mio domani. Questo è il processo del karma, la catena
delle cause e degli effetti. E sebbene questo processo possa avere a che fare
temporaneamente col piacere, alla fine porta inevitabilmente con sé il dolore.
Il punto cruciale della questione è: il pensiero può essere libero? Un
pensiero, un’azione che siano liberi non producono sofferenza, non generano
altro condizionamento. Questo è il punto fondamentale dell’intera questione.
Allora, esiste un’azione che non sia collegata al passato? Può esistere
un’azione che non si basi su un’idea? Un’idea rappresenta la continuità; è la
continuazione di ieri, che si modifica assumendo la forma di oggi e condiziona
inevitabilmente il domani. Questo significa che un’azione basata su un’idea non
sarà mai libera; un’azione basata su un’idea non farà altro che estendere il
conflitto. È un fatto inevitabile.
Ma esiste un’azione che non abbia nulla a che fare col passato? Esiste
un’azione che non sia oppressa dal peso dell’esperienza e della conoscenza di
ieri? L’azione legata al passato non sarà mai libera, mentre e soltanto nella
libertà che potete scoprire la verità.
Il fatto è che se la mente non è libera, non
può agire; può solo reagire. Le nostre azioni, in realtà, non sono altro che
reazioni. Le nostre azioni non sono affatto azioni, sono semplicemente un
insieme di reazioni che provengono dal ricordo e dall’esperienza di ieri. Allora
la domanda che ci si deve porre è: la mente può essere libera dal suo
condizionamento?
L’amore non è il piacere
Senza capire il piacere, non potrete comprendere l’amore. L’amore non è
piacere, è qualcosa di completamente diverso e, se volete capire il piacere,
dovete imparare a conoscerlo. Per la maggior parte di noi, come per ogni
essere umano, il sesso e un problema. Perché? Ascoltate attentamente. È un
problema che non siete capaci di risolvere, e quindi cercate di sfuggirlo.
I
sanyasi tentano di sottrarsi ad esso facendo voto di castità. Cercano di
reprimerlo. Ma guardate che cosa accade ad una mente che reprime qualcosa
che è parte integrante della vostra struttura ed ha a che fare con l’intero
sistema ghiandolare: diventate aridi e alimentate un conflitto costante dentro
di voi.
Come stavamo dicendo, a quanto sembra noi abbiamo solo due modi per
affrontare un problema: o cerchiamo di reprimerlo oppure tentiamo di
sfuggirlo. Ma in realtà tra il reprimere e il fuggire non c’è alcuna differenza,
sono la stessa cosa. Ci siamo inventati un’infinità di vie di fuga, estremamente
intricate, a livello concettuale o emozionale.
E anche tutte le nostre ordinarie attività quotidiane costituiscono una
fuga. Ci sono infiniti modi per fuggire. Ora non li prenderemo in
considerazione; tuttavia il problema resta. Il sanyasi, che fugge il problema a
modo suo, non lo risolve. può reprimere il sesso, può fare voto di castità, ma
quel problema ribolle dentro di lui. Esteriormente può indossare la veste della
semplicità, ma questo complica ulteriormente le cose e il problema continua ad
esistere, così come esiste nella vita quotidiana dell’uomo comune. Come
risolverete questo problema?
Non si può coltivare l’amore
Non si può coltivare l’amore. Non si può dividere l’amore in amor sacro e
amor profano. C’è soltanto amore che non fa differenza tra l’uno e i molti. Non
ha senso chiedere a qualcuno se ama tutto. Sapete, ad un fiore che emana il
suo profumo non importa se qualcuno lo odora oppure gli volta le spalle. Anche
per l’amore è così. L’amore non è un ricordo, non è un’invenzione della mente,
dell’intelletto. È la compassione che affiora quando viene capito e risolto con
naturalezza l’intero problema dell’esistenza, con tutto quello che esso
comporta: la paura, l’avidità, l’invidia, la speranza, la disperazione. Un uomo
ambizioso non può amare. Un uomo attaccato alla sua famiglia è incapace di
amare. La gelosia non ha nulla a che fare con l’amore. Quando dite: “Amo mia
moglie”, in realtà non sapete che cosa significa, perché un attimo dopo vi
lasciate assalire dalla gelosia.
L’amore implica grande libertà. Libertà non significa fare quello che ci
pare e piace. L’amore affiora quando la mente è molto calma, del tutto
disinteressata, priva diqualsiasi egoismo.
Non vi sto proponendo degli ideali. Se in voi non c’è amore, fate quello
che volete – inseguite tutti gli dei della terra, dedicatevi ad ogni genere di
assistenza sociale, cercate di attuare delle riforme politiche che eliminino la
povertà, scrivete libri o poesie, ma sarete degli esseri umani morti. Senza
amore i vostri problemi aumenteranno, si moltiplicheranno all’infinito. Mentre,
se c’è amore, qualunque cosa facciate non correrete rischi, non vivrete nel
conflitto.
L’amore è l’essenza della virtù. Una mente che non sia in quello stato che
è amore, non è una mente religiosa. Solo la mente religiosa è libera dai
problemi e conosce la bellezza dell’amore, della verità.
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Esiste un amore che non ha motivi?
Che cos’è l’amore che non ha motivi? Esiste un amore che non richiede
stimoli, che non pretende nulla per sé? Esiste un amore che non si senta ferito
se non viene ricambiato? Se io ti offro la mia amicizia e tu mi volti le spalle,
non mi sento ferito? E il mio sentirmi offeso che cos’ha ha a che fare con
l’amicizia, la generosità, la simpatia? Certamente, finché mi ritengo offeso,
finché provo paura, finché cerco di aiutarti nella speranza che anche tu mi
aiuterài, mi servirài, non potrà esserci amore.
Se lo capite, avrete anche la risposta.
L’amore è pericoloso
Come fa l’uomo a vivere senza amore? Certo, si può esistere senza
amore, ma e un’esistenza piena di confusione e di sofferenza, un’esistenza
nella quale il controllo prende il sopravvento.
Ed è proprio un’esistenza del
genere che la maggior parte di noi sta creando. Per esistere ci organizziamo
accettando il conflitto come inevitabile, perché siamo ininterrottamente alla
ricerca del potere. Quando amiamo, l’organizzazione e messa al posto giusto e
svolge Il proprio ruolo; ma senza amore qualsiasi organizzazione diventa un
incubo, una struttura meccanica che mira esclusivamente all’efficienza, come
l’esercito. E siccome la società moderna si basa esclusivamente sull’efficienza,
non possiamo fare a meno di avere degli eserciti, il cui scopo è quello di fare la
guerra. Anche nel cosiddetto tempo di pace, quanto più siamo efficienti, tanto
più diventiamo spietati, brutali, ipocriti.
È questo il motivo per cui c’è tanta confusione nel mondo, dove la
burocrazia diventa sempre più potente e i governi tendono ad essere sempre
più dittatoriali. Noi accettiamo questa situazione come inevitabile perché per
vivere usiamo il cervello e non il cuore, così per noi l’amore non esiste.
L’amore e l’elemento più pericoloso che esista; porta con sé una totale
incertezza e siccome noi non vogliamo vivere nell’incertezza, siccome non
vogliamo sentirci in pericolo, viviamo nella mente e non nel cuore. L’essere
umano che ama è pericoloso e noi non vogliamo vivere pericolosamente;
vogliamo l’efficienza, vogliamo sentirci protetti da un’organizzazione, perché
crediamo che le organizzazioni servano a portare l’ordine e la pace nel mondo.
Ma nessuna organizzazione ha mai portato, né porterà mai, l’ordine e la pace
nel mondo. Alla fine, e quindi ora, chi può portare ordine e pace sono soltanto
l’amore, la buona volontà, la compassione.
La compassione non è una parola
Il pensiero non ha la minima possibilità di coltivare la compassione. Con
la parola compassione io non intendo qualcosa che sia l’opposto, l’antitesi
dell’odio, della violenza. Se in noi non c’è una compassione profonda,
diventeremo sempre più spietati e disumani nelle nostre relazioni reciproche.
Avremo delle menti meccaniche che funzionano come computer, addestrate ad
essere psicologica, e perderemo con tatto col senso della vita, con la sua
straordinaria profondità e bellezza.
Quando parlo di compassione, non intendo qualcosa che si possa
acquisire. La compassione non è una parola, non è qualcosa che appartiene al
passato, ma e’ qualcosa che agisce nel presente; è il verbo e non la parola, il
nome, Il sostantivo. C’è differenza tra il verbo e la parola. Il verbo e’ azione nel
presente, mentre la parola proviene sempre dal passato e quindi e’ qualcosa di
statico. Potete conferire del movimento, della vitalità a una parola, a un nome,
ma il verbo e un’altra cosa. Il verbo e’ il presente…
La compassione non è un sentimento, non è vaga simpatia o
compartecipazione. Non è qualcosa che il pensiero possa coltivare; non potete
imporle una disciplina, un controllo; non potete reprimerla, né per accostarvi
ad essa vi basta la gentilezza, l’educazione, la dolcezza e così via. La
compassione affiora solo quando il pensiero è stato definitivamente sradicato.
Trasmettere la compassione
Se mi stanno a cuore la compassione, l’amore, il sentimento del sacro,
esiste un modo che consenta la trasmissione di questo sentire? Vi prego, fate
attenzione. Se io trasmetto qualcosa attraverso un microfono o se ricorro ai
sistemi della propaganda per convincere gli altri, i loro cuori continuerànno a
rimanere vuoti. Entrerà in funzione la fiamma dell’ideologia e le persone che si
lasceranno convincere cominceranno a ripetere formule vuote, proprio come
fate voi. A che serve ripetere che dobbiamo essere buoni, gentili, liberi? A che
serve ripetere le assurdità che i politici
Che cosa deve fare un essere umano, quando si rende
conto che qualsiasi imposizione, più o meno sottile, non porta con sé la
bellezza e non consente il fiorire della bontà, della compassione? Che relazione
c’è tra l’essere umano che ha in se la compassione e l’uomo che è aggrappato
alla tradizione e che si rifugia nella collettività? Come facciamo a scoprire, non
in maniera teorica ma effettivamente, che relazione esiste tra questi due esseri
umani?
Dove c’è conformismo, non può fiorire la bontà. Abbiamo assoluto
bisogno di libertà; ma la libertà può esserci solo quando capite fino in fondo e
nella sua interezza il problema dell’invidia, dell’avidità, dell’ambizione, del
desiderio di potere. È solo la libertà da tutto questo che farà sbocciare quella
cosa straordinaria che chiamiamocarat ter e. Un uomo libero ha in se la
compassione e sa che cos’è l’amore, non l’uomo che parla di moralità, usando
ripetutamente parole vuote.
La bontà non può fiorire nell’ambito della società, perché la società e
inevitabilmente corrotta in se stessa. L’essere umano, che si libera
completamente dalla struttura della società perché ha capito su quale processo
essa si basa, ha carattere, e solo un uomo simile può fiorire nella bontà.
La solitudine ha la sua bellezza
Non so se vi siete mai sentiti soli: all’improvviso vi rendete conto di non
essere in relazione con nessuno. Ve ne rendete conto non intellettualmente,
ma effettivamente… Vi sentite completamente isolati; pensiero ed emozione si
bloccano; non sapete da che parte voltarvi. Non c’è nessuno a cui possiate
rivolgervi, né dei, né angeli. È come se se ne fossero andati tutti quanti oltre le
nubi; e quando le nubi scompaiono vi accorgete che anche loro sono scomparsi
e voi rimanete totalmente soli.
Ma c’è una solitudine completamente diversa, una solitudine ricolma di
bellezza. Questa solitudine vi è necessaria.
Quando l’essere umano non ha più
nulla a che fare con la struttura sociale, fatta di avidità, ambizione, invidia,
arroganza, quando smette di desiderare una posizione e il successo e si libera
da tutto questo, allora si ritrova in quella solitudine, completamente diversa
dalla solitudine che ben conosciamo. Allora c’è una grande bellezza e il senso di
una straordinaria energia.
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Una solitudine che non è isolamento
Sebbene siamo tutti esseri umani, abbiamo costruito delle barriere che ci
separano gli uni dagli altri, le barriere del nazionalismo, della razza, della
casta, della classe sociale, che ci condannano a vivere nell’isolamento, nella
solitudine.
Una mente rinchiusa nel suo isolamento, nella sua solitudine, non ha la
minima possibilità di capire che cos’è la religione. può credere in qualcosa, può
aggrapparsi a teorie, formule, concetti, può tentare di identificarsi con quello
che essa chiama Dio, ma io ho l’impressione che la religione non abbia in realtà
nulla a che fare con le fedi, i preti, le chiese e i cosiddetti libri sacri.
Si può capire quale sia lo stato di una mente religiosa solo quando
cominciamo a comprendere la bellezza. E ci si deve accostare alla
comprensione della bellezza con quello stato della mente che è solo perché non
ha confronti. Quando la mente vive in uno stato nel quale non ha bisogno di
nulla, può conoscere la bellezza; nessun altro stato può consentirle di
avvicinarla.
La solitudine di cui stiamo parlando non è isolamento e non è nemmeno
legato, ad una capacità eccezionale in qualche campo; essa semplicemente
implica il sostegno della sensibilità, dell’intelligenza, della comprensione.
Questa solitudine richiede che la mente sia libera da qualsiasi influenza e
capace di non farsi contaminare dalla società. Questa solitudine è necessaria
per capire che cos’è la religione: religione significa scoprire per conto proprio
se esiste qualcosa che è immortale, che è al di là del tempo.
Vivere nell’isolamento
L’isolamento deve essere completamente superato, se vogliamo scoprire
una solitudine che non ha nulla a che fare con l’isolamento. La solitudine di cui
stiamo parlando richiede una mente integra, in cui ci sia armonia fra tutte le
sue funzioni. La nostra mente non è così; divide e separa tutto quello che
tocca. È questo il suo modo di funzionare e quindi e condannata a vivere
nell’isolamento.
La solitudine di cui parliamo non separa, non è influenzata dalla
frammentarietà, non è Il prodotto della frammentarietà. La nostra mente è a
pezzi, e piena di frammenti, e stata costruita e ridotta così attraverso i secoli e
quindi non può conoscere quell’interezza che è completezza. Solo quando la
mente si rende conto dell’isolamento in cui vive, quando scopre la sua
frammentarietà, può consentire che l’interezza affiori. Allora può esserci
qualcosa che è incommensurabile.
Sfortunatamente la maggior parte di noi si accontenta di dipendere,
vuole dipendere. Vogliamo compagnia, vogliamo degli amici e continuiamo a
vivere mantenendo uno stato di separazione che inevitabilmente genera
conflitto. Quella solitudine che è interezza non conoscerà mai il conflitto. La
mente che vive nell’isolamento non potrà mai conoscere né capire quello stato
che è senza conflitto.
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La solitudine che porta con sé l’innocenza
La maggior parte di noi non conosce quella solitudine che è interezza.
Potete andare a fare gli eremiti su una montagna, ma inevitabilmente
porterete con voi le vostre idee, le vostre esperienze, le vostre tradizioni, la
conoscenza che avete accumulato.
Il monaco cristiano, chiuso in un
monastero, non conosce quella solitudine che è interezza. Vive con i suoi
concetti teologici, con le sue immagini di Genii, con tutto quello in cui crede,
con i dogmi legati al suo particolare condizionamento. E si può dire la stessa
cosa per il sanyàasi, in India, che si ritira dal mondo e vive in isolamento. La
sua solitudine non è interezza, perché anch’egli vive legato ai suoi ricordi.
Sto parlando di una solitudine nella quale la mente e del tutto libera dal
passato; in questa libertà c’è innocenza, che è virtù. Forse voi direte:“È
troppo chiedere una cosa simile; non si può vivere così in un mondo tanto
caotico, dove bisogna andare in ufficio tutti i giorni per guadagnarsi da vivere,
per mantenere i propri figli e dove bisogna sopportare le lamentele del marito
o della moglie”.
Eppure io credo che quanto stiamo dicendo sia direttamente e
strettamente connesso alla vita quotidiana, al nostro agire quotidiano;
altrimenti non avrebbe alcun valore. Da quella solitudine, che è interezza
interiore, proviene una virtù che è forza è che porta con sé una straordinaria
purezza e gentilezza. Non ha molta importanza se si commettono degli errori;
non è questo che conta. Quello che è importante avere la sensazione di essere
assolutamente soli, intatti, al di là di qualsiasi contaminazione. Solo allora la
mente può conoscere, può cogliere quello che è al di là della parola, al di là del
nome, al di là di ogni immaginazione.
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innocenza e solitudine
Uno dei fattori che alimentano la sofferenza degli esseri umani è il loro
isolamento. Fatevi pure tutte le amicizie che volete, venerate i vostri dei,
accumulate una conoscenza straordinaria, datevi incredibilmente da fare nel
campo dell’assistenza sociale, discutete all’infinito di politica – cosa che i
politici fanno normalmente – ma non potrete minimamente scalfire
quell’isolamento. Nel suo isolamento l’essere umano cerca di dare un
significato alla vita o se ne inventa uno, ma la sua solitudine rimane. Ora,
potete osservare questo isolamento per quello che è, senza fare confronti,
senza tentare di sfuggirlo, senza tentare di nasconderlo, senza cercare di
allontanarvene? Allora vedrete che questa solitudine diventa qualcosa di
completamente diverso.
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Noi non siamo integri. Siamo il prodotto di un’infinità di influenze, di
migliaia di condizionamenti, di deformazioni psicologiche; siamo il frutto della
propaganda e della cultura. Noi non siamo integri e quindi siamo esseri di
seconda mano. Quella solitudine che è assoluta integrità implica il non
appartenere ad una famiglia, per quanto si possa avere una famiglia, il non
appartenere ad una nazione, ad una cultura, il non dipendere da
un’occupazione particolare. Significa avere la sensazione di essere degli
estranei, estranei ad una nazione, ad una famiglia e ai loro modi di pensare e
di agire. In quella solitudine che è integrità c’è innocenza, un’innocenza che
libera la mente dal dolore.
Cominciate da qui
Un uomo religioso non cerca Dio. Per l’uomo religioso quello che importa
è la trasformazione della società, perché la società è lui stesso. Religioso non è
colui che celebra una quantità infinita di rituali, non è colui che segue le
tradizioni o che vive immerso in una cultura ormai morta, continuando a
cantare litanie, a fare il sanyàasi, a spiegare senza sosta laGita o laBibbia. Un
uomo simile non è affatto religioso, è semplicemente una persona che si rifiuta
di affrontare i fatti. Quello che veramente interessa all’uomo religioso e capire
fino in fondo la società, in ogni suo aspetto, perché la società è lui stesso; egli
non è separato dalla società.
Il fatto di aver prodotto dentro di sé una trasformazione radicale, che
implica la totale scomparsa dell’avidità, dell’invidia, dell’ambizione, fa sì che
egli non dipenda dalle circostanze, sebbene ne sia il prodotto, a causa del cibo
che mangia, dei libri che Legge, dei film che va a vedere, dei dogmi, delle
credenze, delle cerimonie religiose che sono alla base della cultura in cui è
stato educato. Egli è un essere responsabile e quindi deve capire se stesso:
deve capire che è lui il prodotto della società che egli stesso ha creato. E allora,
se vuole scoprire la realtà deve cominciare da qui; non gli servirà andare al
tempio o venerare un’immagine, costruita dalla mente o dalla mano dell’uomo.
Altrimenti, come potrà scoprire qualcosa di nuovo, uno stato assolutamente
nuovo?
Il vostro Dio non è Dio
Colui che crede in Dio non lo troverà mai. Se siete aperti alla realtà, non
avete alcun bisogno di credere. Se siete aperti all’inconoscibile, non avete
alcun bisogno di crederci. La mente che si aggrappa ad un a fede lo fa solo per
autoproteggersi e solo una mente meschina può credere in Dio. Gli aviatori,
che durante la guerra andavano a bombardare le città nemiche, dicevano che
Dio era con loro mentre sganciavano tutte quelle bombe! Voi credete in Dio
anche quando uccidete, anche quando sfruttate il vostro prossimo! Venerate
Dio e poi continuate a estorcere spietatamente denaro, a finanziare eserciti…
Eppure dite di credere nella misericordia, nella compassione, nella gentilezza.
Finché vi aggrapperete alle vostre fedi non potrete pensare all’inconoscibile,
all’incommensurabile.
La mente è frutto del passato, è il prodotto di quello che è accaduto ieri.
Come può una mente simile aprirsi all’inconoscibile? Può solo proiettare
immagini che però non sono la realtà: così il vostro Dio non è Dio; è
un’immagine che vi siete creati perché possa darvi soddisfazione. La realtà
affiora solo quando la mente comprende la totalità dei processi che la
costituiscono e si dissolve in modo definitivo. Solo la mente che è del tutto
vuota possiede la capacità di ricevere l’inconoscibile. La mente non può
purificarsi finché non capisce il significato della sua relazione con la proprietà,
con la gente e non scopre il modo giusto di essere in relazione con qualsiasi
cosa.
La mente non potrà mai essere libera, finché non capite come nasce il
conflitto nelle sue relazioni.
Quando nella mente c’è un silenzio assoluto, una
calma assoluta, quando la mente non proietta più nulla, quando non cerca più
nulla, in quell’assoluto silenzio affiora l’eterno, cioè quello che è al di là del
tempo.
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Sri Ramana Maharsi
Rimanendo testimone (questa lettura ci aiutera’ molto) |
ASSOLUTAMENTE DEVI AGGIUNGERLO PERCHE’ SAREBBE INCOMPLETO
Siddharta Gautama il BUDDHA
Scritto da Editore VOPUS |
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Siddharta Gautama il BUDDHA, fu un principe che rinunciò al suo trono per andare alla ricerca della verità. Visse 80 anni, la storia dell’umanità racconta che è uno degli avvenimenti più notevoli sulla terra. Tutto nella sua vita è un esempio da seguire per colui che cerca il cammino che libera dalle sofferenze, e vuole scoprire la forza della creazione. Tutta la sua vita ha un profondo significato. Il suo nome, BUDDHA significa: «illuminato, sveglio». Nacque nel quinto secolo a.C., contemporaneo di Confucio, Socrate e Deutero Isaìas, grandi influenti dell’ultimo cristianesimo. La presenza di questi grandi uomini, indica il livello elevato di spiritualità di quell’epoca. Le antiche tradizioni parlano di un Buddha che ogni 2500 anni viene alla creazione per far girare la RUOTA del DHARMA o della Legge, Siddharta Gautama era atteso, così gli uomini, cercatori della verità, ebbero l’opportunità di percorrere il cammino della liberazione. La simbologia della nascita del Buddha e del Gran Kabir Gesù il Maestro dei Maestri, è simile. Racconta la leggenda che sua madre Maya, (che significa «illusione,» «o universo», in sanscrito); trascorreva un periodo di astinenza e castità nel palazzo del regno di Kapilavastu, nel nord dell’India. Quando una mattina, una strana sonnolenza l’avvolse, si sdraiò sul letto reale della sua camera, cadde in un sonno molto speciale: sognò che i quattro Re Celestiali, i Signori dei quattro punti cardinali del Mondo della Sfacchinata, la terra della felicità, la trasportavano innalzandola con il suo letto, al di sopra delle catene dell’Himalaya, arrivati oltre le cime altissime, l’adagiarono presso un albero, che si mise da un lato rispettosamente. Arrivarono le mogli dei quattro re, la lavarono accuratamente, purificandola da ogni macchia umana, l’adagiarono in un letto divino, rivolto a est. All’orizzonte una stella brillò intensamente, e discese dirigendosi verso Maya, quando toccò terra, si trasformò in un elefante bianco, colse con la sua proboscide un fiore di loto, lo depose al suo fianco, dove lei giaceva, e il fiore scomparve penetrando nel suo utero. In quell’istante il Bodhisatva di compassione entrò nel grembo di sua madre. La regina, al suo risveglio, molto turbata, raccontò il suo sogno al Re Suddodhana, a sua volta il Re interrogò i Bramini per avere il loro parere sul presagio, buono o cattivo. I Sacerdoti annunciarono che un grande Essere sarebbe venuto nella sua famiglia, un RE o un Buddha. Dobbiamo dire che il regno di Kapilavastu era piccolo, e militarmente debole, e un regno più potente lo minacciava continuamente desiderando conquistarlo. Per questo motivo, si prese cura della sua educazione militare e degli affari del palazzo reale, con la speranza che si fortificasse ed espandesse il suo regno. Alla sua nascita dopo sette giorni, sua madre Maya morì. I Bramini danno varie spiegazioni su questo, una di esse è che le madri dei BUDDHA muoiono, dopo aver fatto nascere figli illustri, perché il ventre che ha concepito un Boddhisatva è come il santuario di un tempio, e non può servire per altri figli. Un’altra spiegazione, molto più profonda e che lei si ritira nell’universo Manifestato o Maya. Il principe Siddharta, racconta la leggenda, che con gli anni, oltre a imparare tutte le arti di un futuro Re, si compiaceva nella meditazione e nella solitudine, con pensieri sempre più profondi. Il Re Suddhodana, desiderando che suo figlio diventi il suo degno successore, fece in modo di distrarlo da tutte le questioni esistenziali profonde : In India, come in tutto il mondo Orientale in generale, avevano antiche usanze; quando gli uomini compivano l’età in cui si ritiravano dal lavoro, (come la pensione nei nostri giorni) si ritiravano nel bosco per meditare sulla loro vita: il periodo dell’apprendimento, la famiglia, il lavoro. Generalmente il primo periodo era lo studio, iniziava a sette anni e finiva a vent’anni, poi iniziava una seconda fase, la più lunga, che durava trent’anni, dedicata alla famiglia, ai figli, al commercio, svolgendo tutto questo come un buon capofamiglia. Compiuti i doveri familiari, e generato un erede suo successore, era libero di ritirarsi e vivere nel bosco, per riflettere sui cinquant’anni trascorsi, raggiungendo così piena maturità filosofica. Al termine del periodo ascetico e pratica religiosa, usciva dal bosco, e passava l’ultimo periodo della sua vita spostandosi da un posto all’altro, mendicando, sussistendo unicamente di elemosina, da cui dipendeva totalmente. La storia racconta che Sakyamuni passò rapidamente quelle quattro tappe, tanto era grande il suo anelito di trovare la sorgente, l’origine dell’universo. A sedici anni si sposò con Yosodhara, ebbe un figlio a cui diede il nome di Rahula, che significa «Impedimento». Questo avvenimento fu di grande importanza, Siddharta aveva un’erede per la sua successione al trono, e per fortuna era libero di rinunciare ai suoi diritti, e abbracciare la vita religiosa. LA GRANDE PARTENZA La leggenda racconta che quattro incontri determinarono il Principe Siddharta ad abbandonare il suo palazzo per dedicarsi alla vita religiosa, egli trascorreva tutto il tempo tra le mura del palazzo reale, protetto da suo padre, che gli nascondeva la realtà, e le disgrazie della vita. Ma per quattro volte varcò la soglia del palazzo accompagnato dal suo fedele domestico. Una volta vide davanti al suo carro, un anziano, un’altra volta un malato, la terza volta un cadavere . Poi, lo fece riflettere un uomo con la testa calva e gli occhi sereni, era un asceta che dedicava la sua vita alla religione. Allora, Siddharta Sakyamuni profondamente commosso, decise di abbandonare il suo palazzo, per vivere la stessa vita di quell’uomo, con il proposito di scoprire le cause della sofferenza, la malattia, la vecchiaia e la morte. La leggenda ci dice che le quattro uscite dal palazzo, sono simboliche, e relazionate con il risveglio delle quattro verità sacre, daremmo la loro spiegazione più in là. E così Sakyamuni aveva scoperto il dolore, e la sofferenza del suo regno. E, cosciente che la forza militare non offre mai una soluzione duratura alle sofferenze umane, iniziò il cammino per la strada che egli sperava l’avrebbe condotto alla vera liberazione. Prima di trasformarsi in un Re che esercita potere politico in un mondo temporaneo, decise di trasformarsi in un Re filosofo nel regno metafisico, e risolvere la causa di ogni sofferenza. Così dopo le quattro tappe, Sakyamuni seguendo le usanze della sua epoca, iniziò il cammino spirituale, per obbedire al suo Intimo Profondo, il suo ESSERE. Una notte accompagnato dal suo servo uscì dal palazzo, quando fu abbastanza lontano disse addio al suo domestico e amico, gli diede il suo cavallo. Si racconta che il suo cavallo si lasciò morire di pena a causa della separazione da Gautama. Siddharta scambiò i suoi lussuosi abiti con altri più umili, tagliò i suoi capelli, e iniziò il suo cammino verso il bosco, alla ricerca della verità. LA VITA RELIGIOSA NEL BOSCO In quei giorni era molto discusso il brahamanismo, e molte erano le scuole e Sette di ogni sorta, che insegnavano ognuna il suo modo per liberarsi dal dolore di questo mondo. Alcuni nuovi pensatori, insegnavano pratiche religiose di differenti filosofie, ripudiando apertamente le tradizioni, erano pratiche ascetiche estreme, come: stare seduti nudi in pieno sole, mangiare solo erbe selvatiche, ecc. . Erano i rivoluzionari dell’epoca, contestatori, come il movimento Hippie, solo che questi erano più drastici. Siddharta imparò presto che il mondo era colmo di un’infinità di religioni. In quei tempi esistevano due eremiti Bramini ai piedi di un monte, e Sakyamuni decise di seguire i loro insegnamenti. I saggi eremiti orientali venivano considerati persone di grande saggezza e potere. Capaci di volare in aria a gran velocità, camminare sulle acque e tante altre cose straordinarie. Erano considerati grandi autorità nel campo religioso e metafisico. Per questo Sakyamuni li scelse come maestri. Inizia qui la pratica dello yoga che, caratterizza la terza fase della vita di ogni orientale, acquisire la concentrazione mentale, introspezione nel proprio Essere Intimo Profondo, l’emancipazione del corpo fisico attraverso il controllo psichico. Lo Yoga in quel periodo era considerato un mezzo per liberarsi dalle sofferenze legate alla condizione umana. I Maestri Eremiti insegnarono a Siddharta le discipline della meditazione, queste rimasero poi integrate nelle pratiche del Buddismo. Come dicevamo, queste discipline rimasero scritte nelle pratiche Buddiste, di meditazione e disciplina, ma nelle dieci tappe che portano a Buddha, sono considerate minori, perché queste meditazioni non eliminano le passioni, non ne diminuiscono gli effetti, non risvegliano la coscienza, non portano alla liberazione totale, ma solo fanno sperimentare «il NULLA». La ricerca di Sakyamuni era orientata verso l’illuminazione che libera l’umanità dalla sofferenza dell’eterno ciclo di nascita e morte. Comprese che quelle pratiche, non lo avrebbero condotto verso la meta a cui aspirava, le abbandonò, e si dedicò alle pratiche ascetiche. LE PRATICHE ASCETICHE Come abbiamo raccontato Sakyamuni aspirava all’illuminazione, e rendendosi conto che i due maestri asceti e le loro pratiche, non gli avrebbero permesso questo, racconta la leggenda che si dedicò da sei a dieci anni alla pratica nel più puro asceticismo. La stessa fonte, racconta, che fuggì nel bosco vicino al villaggio di Senna, dove si riunivano Bramini che avevano abbandonato le loro famiglie, e praticavano l’austerità. Questa pratica era simile alla meditazione Yoga e, praticata come metodo per progredire spiritualmente, molti ricorrevano ad essa. Si aveva la convinzione che, sottomettendo il corpo a diversi metodi di mortificazione e imparando a sopportare il dolore, lo spirito si liberava totalmente. Queste discipline sono classificate in varie categorie, il controllo della mente, sospensione del respiro, dieta drastica e digiuno totale. Sospendere il respiro, questo esercizio era considerato uno dei più difficili, ci si concentrava per ostacolare l’entrata e l’uscita dell’aria dal naso e dalla bocca. Per logica uno dovrebbe soffocarsi, ma quando si sospende l’entrata e l’uscita dell’aria dal naso e dalla bocca, uno inizia a respirare dall’apparato uditivo. Si dice che questo provoca un forte ronzio all’interno dell’orecchie, e i dolori sono insopportabili. Riguardo il digiuno totale, spesso questi disincarnano durante la pratica. Anche Sakiamuni pensava che se non sperimentava queste dolorosissime pratiche, non avrebbe raggiunto il vero progresso spirituale. Quando Sakiamuni ricordava quel periodo della sua vita, diceva, ed è scritto nei testi sacri, che nessun bramino passato, presente o futuro, aveva sofferto o soffrirebbe quelle severe auto-torture, che egli si inflisse, e che non gli avevano permesso di guadagnarsi l’illuminazione. Così Gautama abbandonò quelle pratiche e si risolse alla via dell’equilibrio, senza estremi, comprese il significato della via di MEZZO. Respinse la via della vita lussuosa del palazzo reale, e la vita di pratiche ascetiche estreme, queste due forme appartengono al dualismo; la via di mezzo dell’equilibrio è quella che conduce sicuramente alla liberazione. L’ILLUMINAZIONE Dopo aver praticato tutte quelle severe austerità, esistenti nella sua epoca, senza raggiungere l’illuminazione, Sakyamuni abbandonò quelle pratiche. Il suo primo passo fu recuperare forza fisica, tanto danneggiate da quelle privazioni. Racconta la leggenda, che si bagnò nel fiume, per togliersi la sporcizia accumulata nel suo corpo fisico, riprese a nutrirsi, mangiando riso, e migliorando la sua alimentazione, recuperando infine tutte le sue forze. Con il fermo proposito di trovare la radice di tutte le sofferenze si sedette all’ombra di un Tipal (l’albero del fico in indù), e decise di non alzarsi fino a trovare la soluzione, a costo di perdere la pelle e la sua carne, e conoscere la realtà di ogni cosa. LE TENTAZIONI DI MARA E così Sakyamuni prese posto sotto quell’albero, sedette sul suo tappeto, determinato a raggiungere l’illuminazione. Mara significa «il travolgente di vita», è l’ego a livello psicologico, elementi inumani che portiamo dentro noi stessi di esistenza in esistenza, Mara si allarmò di fronte alla prospettiva di trionfo, e disse al futuro Buddha: «sei così magro, pallido sei sull’orlo della morte. Hai solo una possibilità su mille di sopravivere. Dovresti vivere perché solo vivo ti sarà possibile realizzare buone opere…. Ma tutti i tuoi sforzi attuali sono vani, inutili, perché la strada che conduce al vero dharma è inaccessibile, penosa e dura». Gli parlò in quel tono più volte Mara, volendo scoraggiarlo, ma Gautama rimase impassibile per vincere colui che è chiamato il demone interiore, ego, con le sue intimidazioni e resistenze. All’alba raggiunse l’illuminazione, l’occhio di saggezza riscosse sublime chiarezza quando la stella del mattino brillò, Sakyamuni sentì che tutta la sua vita esplodeva, in un istante distinse l’ultima realtà di tutte le cose. In quell’istante si trasformò in un Buddha. Al tramonto, dopo il passaggio per i quattro stati di dhyana o intensa meditazione, raggiunse il primo grado, staccato dai sensi, poi il secondo: la sua caratteristica è la concentrazione perfetta della mente unita a uno stato di allegria. Nel terzo grado s’immerse in uno stato di pace e serenità senza limiti, nel quarto grado, raggiunse uno stato di suprema purezza, al di là di ogni sofferenza, piacere, pena, allegria. Dopo essere riuscito nel completo dominio dei quattro gradi di dhyani, andò alla ricerca dell’origine di ogni sofferenza. Si racconta che in quella notte ricordò la sua vita antecedente, poi tutte le altre, migliaia di esistenze in innumerevoli aeoni, rivide tutte le sue morti, il tipo di vita che ebbe, se felice o dolorosa. Questo lo sperimentò, lo vide grazie al suo occhio di saggezza aperto. Gli insegnamenti del Buddha parlano dei sei regni che l’anima deve attraversare uno dopo l’altro fino al raggiungimento della liberazione finale… Poi, nella seconda fase, la notte, esplorò il mondo, la vita, la morte, l’eterno ritorno di tutte le creature, che nascevano e morivano in base alla legge de Karma, Dharma, cattive o buone azioni. Le creature che avevano vissuto nel peccato passavano un tempo nella sfera della miseria, chi aveva fatto buone azioni, trascorreva un tempo nei tre cieli. In quell’istante comprese la legge del Karma, che governa tutto l’universo. Nella terza fase della notte, l’ultima verità: le dodici cause dell’eterno ritorno, vere cause e origine di tutte le sofferenze. Comprese le quattro Verità Sacre, il modo in cui rimangono tutte le cose transitorie e impermanenti, e di tutte le cose che fanno parte del nobile sentiero ottuplice. Così Gautama, si era trasformato in Buddha. E tutto il risultato delle esperienze vissute quella notte, furono le basi dell’insegnamento per i suoi discepoli. Infine, aveva trovato l’origine di tutte le sofferenze, e si propose di divulgarlo a tutte le persone, che cercavano la vera strada della liberazione, persone con inquietudini sincere e avanzati spiritualmente, capaci di raggiungere l’illuminazione momentanea, semplicemente, e ascoltare le sue rivelazioni in una forma semplice e chiara. A questi insegnamenti si diede il nome: La Ruota Del Dharma o della Legge. Perché chi trascende questa Legge, raggiunge il Padre, và oltre il ciclo di nascita, morte, gioie, sofferenze, senza ego, senza desideri, attaccamenti. Raggiungendo la beatitudine, diventa Buddha. |
DAL SITO VOPUS
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Yogi Bhajan
Harbhajan Singh Puri, che significa “Il Leone che canta la gloria divina del nome di Dio”, è venuto in questo mondo il 26 Agosto 1929 nel momento in cui il Sole si accingeva a tramontare, nel piccolo villaggio di Kot Karkar Tensilvarabad, nel distretto di Gurcharambara, che ora si trova nel Pakistan, ma che in quel momento faceva ancora parte dell’India.
Yogi Bhajan era il primo figlio maschio nato in quella famiglia, che aveva tanto pregato per quella nascita di un erede maschio: aveva pregato per tale evento per più di 25 anni, ed in una di queste preghiere, ci fu la promessa che questo figlio sarebbe stato portato all’Ashram di Visnu Devi per ringraziare della sua nascita e per dargli immediata Darshan in questo santo posto.
Così accadde che il piccolo infante, Harbhajan Singh, fu legato al torace del padre, annidato sotto la sua barba fluente e trasportato per la ripida salita, alla grotta di Visnu Devi, per portare a termine quella sacra promessa.
Nonostante Harbhajan Singh fosse soltanto un infante, la cui età era misurata in giorno piuttosto che in mesi o in anni, l’impatto di questa prima visita alla sacralità e le preghiere e la determinazione di mantenere quell’impegno, erano eventi che avevano modellato la sua intera filosofia ed esperienza della vita. Perciò per l’uomo chiamato Harbhajan Singh, cominciò la pratica di visitare ogni possibile Santo Srain, ogni santa persona, e di conseguire lo studio di tutte le scritture e le tecnologie delle religioni di questo mondo.
Suo padre era un medico, il dottor Karta Singh Puri, e sua madre era stata chiamata alla nascita Lila vanti, ed acquisì il nome di har Krishna kaur, al momento del matrimonio; era una donna di indomabile volontà, e di costante aderenza ai retti principi, la sua reputazione era così alta che seppure non avessero chiuso le porte della casa, nessun ladro avrebbe mai osato entrare né si sarebbe spinto nei pressi al suo circondario. Con sue parole Yogi Bhajan ci riporta le sue impressioni su questa incredibile donna: ”In tutta la mia vita non ho potuto fare niente di sbagliato perché mia madre non me lo avrebbe permesso, non avrei potuto diventare egocentrico, perché mia madre non lo avrebbe tollerato.
Ricordo un esempio importante della mia vita: dovevo decidere su un caso e poiché io ero schietto e sincero, l’altra parte sapeva che il giudizio sarebbe stato duro; loro non potevano usare nessuna tattica, e nessun tipo di influenza così cercarono un punto debole e lo trovarono in mia madre; l’avevano avvicinata con la paura che io avrei presentato il mio rapporto e avrei raccomandato o proposto una punizione molto più dura di quella che qualsiasi altra persona avrebbe potuto infliggere. La mattina ero pronto per il lavoro, avevo messo la mia uniforme migliore, ed il mio attendente aveva portato la macchina; io ero sul punto di andare, quando apparve dinnanzi a me mia madre; mi chiese se stavo andando in ufficio, ed io le risposi che sì, certamente, ero pronto per andare in ufficio, allora ella mi chiese che cosa andassi a fare quel giorno in ufficio, volle sapere esattamente che lavoro avrei fatto ed io dissi che c’era un caso importante che avevo già preparato e che avrei presentato, proposto; lei mi chiese se questo era il caso di quelle persone particolari ed io le dissi che sì, era il loro caso, allora mi guardò, poi alzò la sua mano e mi schiaffeggiò; il mio turbante cadde.
Ero sbalordito, non riuscivo a crederci, normalmente chiunque altro avesse fatto una cosa del genere ad un ufficiale del governo in uniforme, avrebbe corso il rischio di essere accusato di fellonia e di essere arrestato immediatamente. Le chiesi perciò il perché di tale gesto, e lei mi rispose: “Mi sono accorta di avere un figlio che non conosce, non sa avere compassione; la compassione, invece può essere posta al di sopra della legge”. Io mi rimisi in sesto ed andai in ufficio. Scrissi sulla pratica di questo caso che l’altra parte aveva avvicinato mia madre e che perciò questo aveva creato delle circostanze pregiudiziali per cui non potevo più decidere serenamente.
Quando tornai a casa, alla sera le chiesi perché si fosse comportata così quella mattina e lei mi rispose che aveva fatto tutto quello che una madre doveva fare, non volendo che io avessi la reputazione di grande onestà tale da incutere paura alla gente e di poca compassione. Tutto ciò è sorprendente perché io posso vedere questa stessa schiettezza nella mia vita, posso anche capire che non c’è nessun altro in questa terra che può avere il privilegio di prendermi a schiaffi in pubblico e tuttavia sento che questo era un diritto di una madre. Un privilegio che appartiene ad una sola persona nella vita. Una volta, nel cuore della notte, mia madre si alzò e io le chiesi che cosa stesse facendo e lei mi rispose che aveva da fare un lavoro; io non potevo credere che a mezzanotte aveva un lavoro da fare, ma dopo circa mezz’ora trovai i tre agenti di polizia che camminavano davanti a lei che li aveva trovati profondamente addormentati. Li aveva portati da me in modo che io li potessi redarguire per il fatto che non erano di ronda nella zona, ma che erano addormentati profondamente. La mattina le dissi che questo non era il suo lavoro, ma che era il compito degli ufficiali della polizia locale che erano in servizio, lei mi rispose che lei considerava ogni persona come suo figlio e che se i loro ufficiali avessero sorpreso le guardie nel sonno, li avrebbero licenziati; ed allora aveva preferito redarguirli lei, dando loro una lezione di onestà”.
Harbhajan Singh, nacque in una famiglia di ricchi possidenti i cui possedimenti includevano il loro intero villaggio, conseguentemente il suo compleanno rappresentava un occasione particolarmente festosa ed era celebrata in tutto il villaggio. Ogni anno nel giorno del suo compleanno egli veniva pesato e per quanti chili lui pesava, altrettante monete d’oro, d’argento e di rame, insieme a sette volte il numero dei chili in frumento erano distribuiti ai poveri del villaggio. Da questa tradizione di dar da mangiare ai poveri nella ricorrenza del suo compleanno, la coscienza di Shiva e la pratica di dar da mangiare ai poveri si stabilì in lui molto presto nella vita.
La sua educazione primaria fu assai particolare, in quanto egli era l’unico ragazzo che frequentava una scuola conventuale di ragazze cattoliche, una scuola che procurava l’educazione più fine disponibile in quella regione. Frequentemente faceva perdere la pazienza alla madre superiora, con le sue domande profonde alle quali a volte ella non sapeva rispondere. In un’occasione una delle sorelle lo rimproverò per essere arrivato tardi alla cappella ma non trovò nessuna parola di risposta quand’egli spiegò semplicemente che, quando le campane avevano suonato per chiamarli alla cappella, aveva trovato il suono così bello che l’unica cosa che aveva sentito di fare in quel momento, era stato di andare in meditazione e non aveva potuto trovare alcun motivo per cui alzarsi prima che le campane avessero finito di suonare.
Harbhajan Singh dimostrò anche una grande disposizione per le guarigione e le medicine, e spesso si informava con suo padre sulla funzione delle medicine che egli usava; dimostrò una grande sensibilità per tutti i tipi di conoscenze antiche come le tecniche preventive dello Yoga, della dieta, ma anche per i rimedi allopatici ed omeopatici standard. Suo padre, il dottor Kartar Singh Puri, ricorda la storia seguente che dimostra la precedente associazione con Guru Ram Das ed alcune delle stupefacenti conoscenze curative che egli possedeva fin dalla più tenera età.
Quando Harbhajan Singh aveva appena 7 anni improvvisamente si ammalò di morbillo e sviluppò una febbre molto alta con una forma accentuata di dissenteria; la sua malattia era grave e i due dottori che lo curavano avevano pareri discordi sulla terapia da dargli, così la mattina successiva lo portai da mia sorella (del dott. Kartar Singh Puri) e poi consultai un dottore che era stato mio compagno di classe il quale dopo averlo esaminato gli diede una puntura da fare. La sera oltre alla fortissima dissenteria ebbe un grande dolore all’orecchio e si aggravò ulteriormente: piangeva dal dolore e sembrava che ogni speranza per la sua guarigione fosse perduta.
Egli allora mi chiese se era venuta la sua ora ed io gli risposi che non potevo far fronte questa volta a quella situazione ed andai sulla terrazza, poi mi inginocchiai e pregai Guru Ram Das di risparmiare il mio unico figlio maschio; feci la promessa di recitare tutti i giorni il suk mani che mio padre mi aveva sempre raccomandato come il mantra che avesse risolto ogni problema (mi aveva detto inoltre che se io avessi seguito regolarmente tutti i giorni questa pratica, dopo un anno lo avrei saputo a memoria.
Promisi che se mio figlio fosse stato risparmiato, io avrei recitato con molta fede il suk mani ogni giorno. Poi tornai e mi sedetti al suo capezzale: in quel momento mio figlio mi parlò e mi chiese se avessi qualche medicina per guarirlo, io gli risposi che purtroppo non avevo nulla. Allora egli aggiunse che Guru Ram Das gli era apparso dicendogli che cosa avrebbe potuto curare la sua malattia: tutte le medicine dei medici curanti erano state provate, gli avrei dovuto dare il succo di due cipolle, lasciar friggere inoltre una cipolla in olio e versare poi quest’olio appena caldo nell’orecchio.
Era stata la misericordia di GURU RAM DAS che aveva prevalso e la benedizione di Dio lo fece guarire completamente. La mattina dopo egli ritornò a casa di sua madre ed io ritornai nel mio posto di cura estivo a Dallesi.
L’insegnante più influente, durante gli anni di formazione di Harbhajan Singh Puri fu Sant Bhai Fateh Singh Ji, suo nonno, che generalmente lo prendeva sulle ginocchia, e gli raccontava storie molto suggestive. Lo incoraggiava sempre a vivere rettamente sottolineando che la vera forza spirituale consiste nel rinunciare alla natura animale ed alla vita delle passioni quando uno è ancora giovane. Oh bella forza per il lupo gridare “sono vegetariano”, quando egli ha perso tutti i denti ed è diventato troppo vecchio per cacciare. Molte di queste istruttive lezioni venivano impartite da quel venerabile uomo, inclusa la storia che venne raccontata poi da Yogi Bhajan il 15 Gennaio 1978.
“Molti anni sono passati da quando Bhai Fateh Singh, mio nonno, lasciò il suo corpo, ma i suoi insegnamenti non mi hanno lasciato, egli era un grande saggio, viveva rettamente, camminava rettamente e parlava rettamente. Un giorno andai con lui alla Gurdwara che chiamiamo Dharmsala, casa in cui si insegna il Dharma (questo era il nome originale delle Gurdware). Mi ricordo che prima di andare io dovetti recarmi con lui alla fonte a bagnarmi, egli recitò il suo Nit Nem e io lo ascoltai. Poi a mia volta recitai il mio Nit Nem, ed egli lo ascoltò e questa fu la prima volta che io imparai che il Nit Nem è una recitazione individuale. Egli disse che eravamo due Sikh e così ognuno doveva recitare il Nit Nem mentre l’altro ascoltava, ed anche se la differenza di età era enorme non era minimamente coinvolto il falso ego, era solo un concetto di singolarità, di univocità.
Dopodiché ci vestimmo e ricordo che quel giorno egli mi corresse la fascia che mi cingeva la vita perché era un po’ storta egli teneva l’estremità della stoffa ed io dall’altro lato mi giravo introno per arrotolarmela. Si curò che le pieghe avessero perfetta equidistanza tra loro, allora io gli dissi: “ Nonno ma il Guru vede tutto ciò?” E lui mi rispose semplicemente che il guru che era in me vedeva come io mi stessi preparando ed il Guru che è fuori stava osservando il mio aspetto e come alla fine io sarei uscito fuori, disse ancora: “Ragazzo mio andiamo alla Gurdwara in un modo totalmente diverso da come andiamo in Chiesa oppure in una Moschea, forse sono ubicati nello stesso posto, ma io ti voglio insegnare la differenza oggi: in una Moschea vai e preghi, ma nella Gurdwara non vai per pregare”.
Questo mi meravigliò assai, e dissi “Oh, mio Dio, io sono andato sempre alla Gurdwara a pregare davanti al Guru, non è il SIRI GURU GRANTH SAHIB il nostro Guru e non andiamo a pregare davanti a Lui? Egli rispose di no. Questa risposta mi sorprese molto e chiesi a mio nonno se poteva essere punito per ciò che diceva: egli mi rispose che quello che lui stava dicendo lo potevo riferire a Santji quando fosse venuto perché avrebbe dovuto imparare molte cose attraverso il mio tramite, e che il suo rispetto era tale che egli gli avrebbe dato degli insegnamenti attraverso di me. Allora gli dissi che era giunto il momento di imparare per me. E gli chiesi che cosa volessi insegnarmi. Allora Lui mi rispose che quando un Sikh va alla Gurdwara va per offrire se stesso, “Guru Gobind Singh non ci ha dato l’Amrit la prima volta che gli abbiamo offerto la testa, prima ci ha dato il Bana, l’Amrit ce l’ha dato più tardi; egli ha glorificato l’uomo nella divinità.
Quando noi andiamo alla Gurdwara, noi offriamo il nostro essere, offriamo noi stessi, e poi ascoltiamo le parole del Guru; nella Gurdwara, non andiamo per offrire preghiere, nella Gurdwara noi riceviamo, è una visita egoistica, nella Gurdwara noi sentiamo la benedizione della beatitudine”.
Quasi in ogni persona nella vita Yogi Bhajan vede le qualità che lo ispirarono e ha usato tutti gli esempi mostratigli da suo nonno come modello per la sua stessa vita. Questa è una lezione che può essere condivisa con gli altri: “Una volta io venni a casa dal collegio ed incontrai mio nonno, stava seduto e tutto ciò che egli disse fu sia benedetto questo questo prezioso momento in cui Dio deve essere così presente da darmi l’opportunità di vedere mio nipote in un gioioso modo divino. Io mi guardai intorno e gli chiesi se fossi diventato un angelo e con le braccia allargate feci come se battessi le ali, agitando le braccia; egli sapeva che avevo un gran senso dell’umorismo e mi chiese se avevo trovato le ali.
Gli risposi: “Nonno sto cercando di vedere me stesso, ho pensato che forse mi erano cresciute le ali e che tu le avevi viste”. E lui mi rispose che la mia radiosità era così chiara che lui vedeva attraverso me e la mia persona la suprema eccellenza di Sua Grazia; poi mi disse: “Vieni, siedi e parliamo, puoi capire questo linguaggio? Questo è solo un incontro tra un nonno e suo nipote; uno non deve citare sempre le scritture per dimostrare di essere un uomo molto religioso, se tu sai parlare con l’infinito, vivere come infinito, sentire come infinito, agire come infinito, allora tu diventerai un essere vivente infinito, tutto questo può essere l’impatto con le parole che noi come adulti abbiamo verso i nostri figli e la gente che viene nell’ambito della nostra vita”.
Un altro insegnante importante nella vita di Yogi Bhajan fu Sant Rajit Singji, che gli insegnò la spiritualità universale in relazione ai pensieri ed ai concetti di religioni comparative. Erano argomenti molto profondi per un giovane ragazzo, ma Yogi Bhajan non era un giovane ragazzo qualunque, ed il futuro lo avrebbe dimostrato. In futuro Yogi Bhajan ebbe molti ma molti insegnanti nella sua vita, la sua mente inquisitiva abituata alla ricerca e la sua sete di conoscenza, lo condussero a prendere gli esempi e le lezioni offerte da ogni persona che egli conosceva: anche al di là dell’immediato circondario, egli cercò i Saggi, i Santi, gli Swami, i Sadhu, che potevano avere delle conoscenza da impartigli. Da Sant Rajit Singh Ji egli imparò anche il Gurbani Kirtan, e la prima Shabad che egli imparò rimane fresca nella sua memoria, con le parole, il messaggio, la musica ed il ritmo.
(testo in gurmuki) La traduzione di questo testo è: “Manda al mio amato amico la condizione della sua umile disciplina che un letto morbido e soffice è un tormento senza di lui, combattere, duellare in una comodo casa è come vivere tra i serpenti. Il mio vaso per l’acqua è come un aculeo di torture, la mia coppa è come un pugnale e tutte queste cose mondane sono come il ceppo dove il macellaio infila il suo coltello. Veramente il giaciglio del mio amico o la dura terra sarebbe piacevole per me perché vivere in un palazzo senza di lui è come vivere in una fornace ardente”.
La nonna paterna di Yogi Bhajan, Ishar kaur, fu anche una delle sue insegnanti, ed il 29 Luglio 1976 ad Espanola, egli raccontò la seguente storia, offrendo sua nonna come esempio alle donne del Women Camp.
“Nella mia vita, ho incontrato solo una donna Sikh e questa era mia nonna; nella sua vita nessuna della famiglia l’ha mai sentita urlare, gridare o parlare ad alta voce, nonostante ciò non ho mai visto un singolo individuo nell’intera famiglia e nel villaggio che poteva permettersi di disobbedirle. La sua parola era legge.
Lei si alzava la mattina alle 3, faceva il suo bagno, faceva la sua Sadhana; e finiva alle 4,30, poi prendeva lo yogurt, lo scremava, cantando Sat Nam Wahe Guru. Poi verso le 6, la trovavo pronta col burro fresco, siero di latte e ciapati. Tutti i figli, tutti i bambini venivano intorno a lei, che, dopo averci fatto sedere, ci offriva la colazione, che era la cosa più salutare del mondo, ma prima ci chiedeva di recitare correttamente un Puri del Japji.
Questo era il modo in cui lei era abituata ad istruirci. Una volta notai che tutto il tempo in cui lavorava, era solita cantare il Gurbani: e mi disse le donne sono fatte per purificare, santificare tutte le cose sulla terra, tutte le cose che le donne toccano diventano divine ed il solo modo per far diventare qualcosa divino è santificarlo con le parole del Guru, così che può diventare puro, pieno di salute ed eterno. Era moglie dell’uomo che era a capo del villaggio, tutti la rispettavano, ogni piccola cosa nel villaggio, qualsiasi ingiustizia o problema veniva portato davanti a lei, al suo cospetto; lei doveva ascoltare ogni richiesta e ogni lamentela. Io non l’ho mai vista inquietarsi e non l’ho mai sentita parlare di qualcuno in sua assenza. Una volta le chiesi: “Nonna come fai a decidere ogni cosa in modo tale che va sempre tutto bene?”. Ed ella mi rispose: “Io decido le cose alla luce della Verità, io non decido mai per guadagno o per perdita: questo è il vivere umano e tu devi vivere secondo questa prospettiva”.
Harbhajan Singh approfondì il Kundalini Yoga all’età di 16 anni sotto la direzione di Sant Hazar Singh, maestro di Kundalini Yoga, ed anche Mahan Tantrico; da lui egli imparò tutte le conoscenze tantriche che gli sarebbero poi state così utili negli anni successivi, quando il momento ed il destino gli avrebbero dato l’umile responsabilità di svegliare le coscienze di molte persone in questo pianeta nel suo ruolo di Mahan Tantrico.
La storia successiva fu raccontata davanti a Mahan Singh Khalsa di Boston. Il giovane Harbhajan Singh stava seguendo un avvenimento sportivo e per vedere meglio al di sopra della folla fece un salto e si aggrappò ad un condotto del riscaldamento; sfortunatamente il condotto cadde e portò giù metà della parete ed il soffitto sopra di lui. Egli era seriamente ferito e metà del suo corpo era temporaneamente paralizzata,(questo causò anche la cicatrice sotto il suo occhio destro) e fu portato velocemente all’ospedale.
Questo incidente capitò nel momento in cui doveva conseguire la maturità liceale e per il sistema britannico non presentarsi agli esami finali significava ripetere la scuola per l’intero anno.
Al momento degli esami l’insegnante di Harbhajan Singh, Sant Hazar Singh, lo visitò in ospedale, e quando seppe che il suo giovane studente avrebbe dovuto passare ancora un anno nella scuola, insistette perché un tale spreco di tempo non fosse tollerato per un giovane così brillante come lui. Il test dell’esame doveva essere fatto. Harbhajan Singh non solo aveva un grande dolore dappertutto, non poteva scrivere e riusciva appena a parlare, i dottori si opposero alla sua dimissione dall’ospedale, ma Sant Hazar Singh non sentì nessuno e Harbhajan Singh fu impacchettato e portato su una barella nella sala degli esami.
Sant Hazar Singh allora convinse gli esaminatori a permettere di far sostenere gli esami ad Harbhajan Singh: egli stesso avrebbe letto le domande e qualcuno avrebbe scritto le risposte che il candidato dava parlando. Gli esami furono superati, ed il corpo guarì; ma cosa molto importante, è che Yogi Bhajan fu impregnato permanentemente dalla realtà del Keep Up, di tenersi sempre su, di essere sempre in alto.
L’intransigente insistenza del suo insegnante, lo aveva spinto al di là di ogni limite. Egli imparò a non indietreggiare mai, e a mettersi in relazione con l’infinito e non con il finito (non è una singola questione di vita che conta, ma il coraggio che tu dimostri nella tua vita). Yogi Bhajan era seduto sul letto in modo molto casuale mentre raccontava queste storie sul suo insegnante ed a un certo punto assunse una posizione che imitava il suo insegnante. Assomigliava ad un incrocio tra il leone più regale e il vulcano più poderoso, non si aveva bisogno di vederne l’aura per sentirne l’incredibile energia emanata molto lontano.
Poi si rilassò e raccontò alcune altre storie sul suo insegnante.
Il suo insegnante era incredibilmente severo; quando Yoghi Bhajan cominciò il suo addestramento c’erano molti studenti. Se uno studente faceva lo sciocco, anche soltanto una volta, veniva cacciato via. Una volta uno studente, commise un errore e, sconvolto dalla possibilità di essere mandato via, si gettò ai piedi del suo insegnante e gli si aggrappò fermamente pregandolo e supplicandolo di non mandarlo via. Il tempo passava e per 8 ore Sant Hazar Singh stette semplicemente in piedi mentre lo studente era lì che piangeva e si stringeva ai suoi piedi. Alla fine lo studente si stancò e lasciò la presa, Sant Hazar Singh semplicemente si girò e con molta calma se ne andò via. Lo studente fu mandato via.
Yogi Bhajan raccontò inoltre alcune storie dell’inizio della 3HO. Oggi si rimane sorpresi dalla pazienza e dalla compassione che aleggia intorno a noi di fronte alla nostra ignoranza ed ai nostri insulti, la nostra pigrizia, di fronte alla nostra persistenza nel vivere le nostre limitazioni piuttosto che realizzare il nostro completo potenziale umano. Questo uomo non si sarebbe mai arreso davanti ad un individuo che sinceramente desiderava andare avanti, non aveva importanza quali fossero gli ostacoli o le insicurezze, c’era una speranza e questa speranza non risiedeva nella personalità, ma in un uomo che aveva ricevuto la benedizione della conoscenza per rendere le persone sane, felici e sante, e che dedicò la sua vita a dividere con gli altri la sua conoscenza.
Un’altra penosa lezione nella sua vita fu insegnate direttamente a Yogi Bhajan da Sant Hazar Singh nel 1947. Sant Hazar Singh annunciò a Yogi Bhajan che egli ora stava entrando nel periodo della sua vita in cui avrebbe vissuto un inferno: non si sarebbero dovuti mai più rivedere faccia a faccia. Sant Ji avrebbe dovuto passare molti anni come combattente per la libertà. Guadagnò infatti una grande fama presso l’oppressore britannico, continuò a vivere una vita matrimoniale da uomo sposato. Sono passati solo alcuni anni dal momento della sua dipartita ed i suoi ordini furono eseguiti dal suo disciplinato studente. Il dolore della separazione fu sicuramente molto grande.
Lo studio e la pratica dello yoga era un uso molto comune in quel tempo in India così il giovane Harbhajan Singh continuò a perfezionarsi nella scienza divina e allo stesso tempo a frequentare le scuole e a partecipate a numerosi avvenimenti atletici vincendo premi.
Era stato selezionato per essere capitano della squadra di calcio, fu sempre uno dei più bravi giocatori di calcio e di Hokei, era il leader degli studenti, molto amato dai suoi amici. Uno dei suoi insegnanti scrisse di lui: “Attivo energico e di buone maniere ha un interesse molto profondo per le attività sociali del collegio, ha un carattere morale profondo, è membro del club atletico, e si è laureato nell’università del Punjab con il massimo dei voti ed ha conseguito un master equivalente nel 1950”.
Quando era solito addestrarsi per i vari eventi sportivi del collegio, egli non andava fuori per correre o per fare i soliti addestramenti di routine, ma al contrario praticava Kundalini Yoga per sviluppare l’energia che lo faceva vincere.
Praticò ulteriormente sotto la guida dell’Acarya Narinda Dev dello Yoga Smirti che insegnava tecniche di Hata Yoga e l’impatto e il bilanciamento del sistema nervoso. Queste ultime tecniche si rivelarono molto valide per i successivi insegnamenti di Yogi Bhajan negli Stati Uniti, dove trovò che la maggior parte delle persone soffrivano per disordini al sistema nervoso.
L’Ashram di Sivananda, conosciuto in tutto il mondo a Risikesh, dove swami Sivananda, swami Visnudevananda e swami Satcitananda studia, servì come fonte spirituale per il flusso dell’eterna Verità che è conosciuto come filosofia Vedanta. Da questa famosa sorgente della conoscenza divina Harbhajan Singh fu in grado di bere profondamente e riempire il suo cuore con il Dharma Sanatana.
Quando ci fu la divisione dell’India e del Pakistan, nel 1947, fu Harbhajan Singh che condusse la sua famiglia ed il suo intero villaggio così come molti uomini, donne e bambini delle zone circostanti, alla salvezza attraverso pericolose miglia di territorio infestato da bande che girovagavano e da banditi ed assassini.
Quando cominciarono i negoziati per la ripartizione dell’India, trascorsero quasi 2 anni fino all’attuale situazione ed in questi 2 anni Harbhajan Singh cercò di raccogliere il più gran numero di giovani che erano suoi amici e cominciò a dar loro lezioni di parata portandoli all’acquisizione del ritmo: essi marciavano ogni mattina per 2 miglia. Il giorno che furono divisi la vita fu molto dura: in ogni posto gente innocente veniva uccisi e dai villaggi circostanti tutti venivano al suo villaggio per scappare al massacro; c’erano 7.000 persone che dovettero essere trasportate fuori dalla regione con l’impostazione della parata.
Bisognava cercare di evitare qualsiasi villaggio, qualsiasi collisione o conflitto perché c’erano donne e bambini, non c’erano strade, ma campi di riso che si dovevano attraversare nella melma.
Erano 7.000 persone, uomini, vecchi, donne, bambini, cavalli, asini, buoi, carri, e dovevamo farci strada da soli; si può ben immaginare la difficoltà di tutto ciò. L’unica acqua disponibile per bere era l’acqua della melma che venivano raccolta in un tovagliolo e fatta filtrare. Racconta Yogi Bhajan: “Impiegammo 18 giorni per attraversare questa regione e ci furono soltanto 3 incidenti.
Nel caso fossimo stati attaccati, non ci sarebbe stata nessuna possibilità di sopravvivenza; quando venimmo a Latore c’era il fiume Ravi, per attraversare il quale si doveva passare su un grande ponte; immaginate 7.000 persone che avevano vissuto una vita di pace, e dall’altra parte c’erano 30.000 persone con armi spade e cannoni che aspettavano soltanto di attaccarci; c’era anche un’armata del reggimento dalla nostra parte del ponte e il capitano disse: “Io ho 12.000 persone ed il nemico conta invece di 30.000 persone e voi siete circa 7.000 persone.
Io non penso di potervi difendere, ed inoltre non so cosa fare”, ed io gli risposi: “Mio caro tu non devi fare niente, ti do’ mezz’ora: se in questo arco di tempo tu riuscirai a disperdere quella massa di gente, allora essi vivranno; altrimenti io farò esplodere il ponte e farò esplodere tutte quelle 30.000 persone. Adesso ti farò vedere come farò”. Diedi in quel momento un semplice ordine alla mia gente di formare una trincea: e tutte le donne si stesero a terra una sopra l’altra come dei ciocchi di legna, per formare una trincea come una barriera e dietro di loro gli uomini immediatamente vennero e installarono le loro armi, poi mettemmo il nostro mortaio di dietro, e dei fucili a lunga portata e usammo dei corpi umani per proteggerci. Tutta questa messa in scena era stata effettuata in 5 minuti, il capitano del reggimento se ne rese conto mentre io cominciai a guardare il mio orologio e queste furono le sue esatte parole: “ Signore dacci 15 minuti in più e vedrai quelle persone andarsene”.
Quell’uomo che prima mi diceva che eravamo da soli e che saremmo stati macellati, alla presenza di 12.000 soldati disciplinati e armati del governo, quando vide agire anche noi in modo disciplinato, completamente addestrati e assolutamente attivi, si rese conto che avremmo combattuto e vinto contro quella folla di 30.000 persone in un attimo; prima che la mezz’ora fosse scaduta la strada era liberata, il ponte era sgombrato; noi ci muovemmo con i nostri bambini e fummo scortati per 10 miglia al di là dei limiti della città.
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Un’altra storia che Yogi Bhajan raccontò riguardante il periodo dell’indipendenza indiana dimostra l’influenza che ebbe sua madre sulla sua vita.
Durante il periodo della divisione dell’India dal Pakistan, non c’era in realtà nessuna legge vigente e Batani e i musulmani dell’Afganistan pianificavano di attaccare la città di Anandpuri; così Sant Azar Singh chiamò tutta la gente che era lì in quel momento, incluso Harbhajan Singh a difendere la città sacra. Yogi Bhajan raccontò che doveva andare alla città sacra per difenderla a sua madre per ottenere la sua benedizione.
Questa è la storia: “Un giorno dovevamo recarci ad Anandpuri ed io mi ero vestito con l’armatura, con il kirpan, il mala, in alta uniforme, ed andai da mia madre per chiedere la sua benedizione; le dissi che Sant Azar Singh aveva ordinato alla sua gente di vestirsi per il sacrificio, ecco perché avevo avuto il privilegio di tornare a casa: la sola persona che avrei voluto incontrare era mia madre per chiedere la sua benedizione; le dissi che se il Guru fosse stato con me questo non era un problema, per questo il mio spirito e la mia anima potevano avere una risposta, ma oggi ero venuto a chiederle qualcosa di diverso; nel caso in cui avessi scelto di morire, se Dio mi avesse dato l’opportunità di morire, io chiedevo soltanto una cosa, che io potessi morire in stato di grazia.
Nell’impresa che dovevo sostenere mia madre volle capire cosa c’era di singolare o di strano in questo fatto, ed io le risposi che il fatto strano era che noi eravamo solo 200 persone e invece i nemici erano circa 15.000; avevamo pochissimi armi, mentre, secondo le informazioni ricevute, il nemico era completamente equipaggiato. Ecco perché ci era stato concesso un giorno per incontrare le persone che volevamo; io avevo deciso di incontrare lei, ed allora lei rispose: “Io non voglio benedirti perché tu muoia, perché non ti ho mai benedetto affinché tu vivessi, non sEi venuto nella nostra famiglia perché noi aspettavamo un figlio maschio, sei venuto attraverso le nostre preghiere, e se questa preghiera sceglierà di lasciarti andare, allora non mi opporrò, ma ricorda che tu devi morire un giorno, anche se nessuna madre vuole che suo figlio muoia, né desidera che sia così; ma vedendoti come ti vedo, e vedendoti così ben vestito io sento che tu hai già fatto la tua scelta.
Ma ora, dal momento che hai deciso, ti voglio dire una cosa: Bhajan, la vita viene molte volte”.
Questa era una sua nuova filosofia, non avevo mai saputo che leggeva la Gita ogni giorno, non lo potevo credere, ma lo faceva, in tutta la sua vita ella faceva le cose con molta onestà, leggeva un Puri del Suk Mani ed un brano della Gita. Questo era il suo Nit Nem addizionale. Mi resi conto che io ero diventato Arjuna davanti alo Signora Krishna in quel momento.
Lei mi chiese: “Tu credi nella teoria della reincarnazione?” Ed allora io mi resi conto che quello era il momento di sedermi e, nonostante quella maglia di ferro della divisa che avevo sul corpo, mi dovetti sedere, anche se non so come ci riuscii. Lei mi disse: “Sai che nella nostra famiglia non sarebbe dovuto nascere un figlio maschio?”. Io gli risposi: “Sì lo so”; e lei continuò: “sai io ti ho portato in qualsiasi sacro posto quando tu eri nato per quanto le mie forze me lo permisero. Le risposi che lo sapevo.
Disse ancora: “Con tutto ciò che io ho potuto fare con te come madre, oggi voglio dirti una cosa: può darsi che tu sia nato molte volte e può darsi che tu sia stato già mio figlio nelle precedenti incarnazioni, ma ti dico che tu sei nato da me.” Io le dissi che questa sembrava essere molto vero, e non c’era alcun dubbio. Lei disse: “Allora se tu dovrai morire per Guru Gobin Singh, non ritornerai in disgrazia”. Questa era un’azione che solo una madre poteva fare. Io non ero sposato, così non avevo una moglie da guardare ed andai con la grazia del Guru. Il pericolo della situazione era risolto. Ci videro talmente trincerati nella Gurdwara che non ci attaccarono. Nel frattempo la spartizione dell’India ebbe luogo e tutto si sistemò.
La famiglia di Yogi Bhajan che una volta era molto facoltosa, scappando con i solo vestiti indosso, si trovò a New Dheli senza casa e completamente senza soldi, ma presto con il duro lavoro, il coraggio e la volontà di risorgere, si ristabilì finanziariamente come una volta.
A causa della sua tendenze verso le mete spirituali, Harbhajan Singh si manteneva ancora equilibrato e molto stabile nel suo senso del dovere e di responsabilità nei confronti della sua famiglia e, come figlio più grande e secondo la tradizione del Sikh Dharma che incoraggia il pieno proseguimento della famiglia come Rist Ashram, dopo aver completato la scuola ed avendo stabilizzato la sua carriera come ufficiale del governo indiano, all’età di 24 anni nel 1953 si sposò con Sardar Inderjit kaur, la figlia di Bhai Sahib Kartar Singh Urpal e Sardarni Rauel Kaur.
Il padre Bhai Shaib Kartar Singhji era un uomo molto semplice, umile e spirituale, era un Gursikh, con una grande devozione e con un cuore pieno di compassione e di misericordia, mentre le moglie era la personificazione vivente della gentilezza, dell’umiltà, era servizievole, non alzava mai la voce con nessuno.
Fu in queste mura domestiche che Bibi Inderjit Kaur nacque, e fu segnata dal destino per diventare la moglie del futuro Siri Singh Sahib. Anche in quel caso Harbhajan Singh ebbe la visione di ciò che la sua missione nella vita doveva essere e, quando per la prima volta si avvicinò alla possibilità del matrimonio con Sardar Inderjit Kaur, guardò dentro di lei e concluse che sarebbe stata la compagna perfetta che lo avrebbe assistito e servito nella sua vita di servizio per l’umanità.
Egli vedeva il suo pio contegno la sua grande capacità di sacrificarsi, capacità che avrebbe reso possibile il sacrificio suo e di suo marito per il bene della missione del Guru. All’inizio della loro relazione, egli prese come abitudine di ascoltare da lei il Gurbani quando ne recitava un passo ogni mattina, lei aveva avuto come insegnamento prima dalla sua prima infanzia di fare le sue meditazioni quotidiane e di leggere e di capire il Siri Singh Granth Sahib. Quando Harbhajan Singh passava le sue ore dando consigli spirituali alle persone, Bibi Inderjit KAUR, li serviva con grande ospitalità e amore seguendo l’esempio di Mata Kiwi, la moglie di Guru Angad. Era in questo spirito che la loro giovane crescente famiglia veniva istruita secondo le qualità di Seva Semran.
Essi crebbero i loro tre figli e parlavano del giorno in cui avrebbero donato le loro vite per il servizio al Guru, un giorno che sarebbe arrivato molto prima di quanto si potesse immaginare..
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Una delle più importanti esperienze della vita di Harbhajan Singh fu l’identificazione del suo sentiero da seguire con la figura di Guru Ram Das, che fu il punto di svolta che segnò il suo destino.
Come ufficiale del governo era stato assegnato a vari distretti dislocati in tutta l’India e nel 1960 egli fu assegnato ad un distretto che circondava la città di Amritsar. Durante la durata di questo mandato egli prese la determinazione di cogliere l’opportunità di lavare i pavimenti di marmo dell’Arimandir Sahib e come Sikh egli naturalmente riconobbe il significato speciale del Tempio d’Oro e della citta santa di Amritsar, ma al di sopra e al di là di questo, il suo personale scopo spirituale lo aveva convinto che solo attraverso l’umiltà e l’attuazione dei più umili Seva, avrebbe trovato ciò che stava cercando. Aveva passato molti anni come studente presso molti insegnanti spirituali e religiosi, ed aveva passato molti anni come insegnante ed aveva assunto tutte le Siddhi di un perfetto Yogi; ma nonostante ciò egli sapeva che era necessario nella sua vita un insegnante per la vita ed un Guru a cui appartenere al di là dei legami personali ed individuali e dei beni terreni.
Egli desiderava tanto questo tocco finale di amore infinito e di comprensione che avrebbe fatto sì che tutti i pezzi di questo puzzle, avrebbero combaciato. Ogni giorno, per quattro anni e mezzo, l’ufficiale del governo Harbhajan Singh andò a lavare il pavimento dell’Arimandar Sahib. Pulendo i pavimenti di questa amata casa del Guru egli si rese conto che era un figlio benedetto ed in stato di grazia della casa di Guru Ram Das.
Per diventare ciò che sono oggi, rifletté Yogi Bhajan, non è stato facile e immediato, mi ci sono voluti quattro anni e mezzo di lavaggio dei pavimenti del Tempio d’Oro attraverso grandi sforzi di volontà, per mezzo della grazie di Dio e del Guru. E’ stato l’atto di lavare questi pavimenti che ha lavato tutto lo sporco che era in me, non è stato niente altro; io non avrei potuto brillare senza quello straccio. Il cucciolo non arriverà mai alla maturità, alla radiosità di un Leone senza strofinare i pavimenti di marmo del tempio blu.
Khalsa è l’ordine della divinità del Leone, che è il capo degli animali, sta per Singh che significa che tu devi conquistare la bestia che è in te stesso.
Questa è una mia esperienza che voglio condividere con voi: “L’Arimandar Sahib è il nucleo del potere spirituale dove i cieli e la terra si sono incontrati per portare armonia; questo non avviene soltanto nel territorio indiano, il tempio d’oro è in due posti, non solo in un posto, uno è situato nel cuore del ricercatore, l’altro è in terra nella città di Amritsar.
Era circa l’anno 1964 quando Harbhajan Singh fu mandato ad Amritsar; un giorno andò in gita turistica nel villaggio di Kazal vicino a Dharmasala, con due ufficiali, un deputato di Ceylon ed un capo segretario di Hassan; questi ufficiali ebbero il desiderio di visitare un astrologo del posto e così avvenne che anche egli andò. Durante questa visita l’astrologo si rivolse ad Harbhajan Singh e gli disse che una nuova fase della sua vita stava per cominciare al più presto e che egli avrebbe dato le dimissioni dal lavoro e avrebbe viaggiato per terre straniere per insegnare e liberare le genti del mondo occidentale; l’astrologo gli predisse che un giorno ogni casa avrebbe avuto la sua foto, che sarebbe stato servito e rispettato come un re, ma che egli avrebbe vissuto con la consapevolezza di un Santo, che ci sarebbero stati dei troni preparati appositamente per lui in ogni angolo della terra. Dopo l’incontro con l’astrologo essi avrebbero dovuto proseguire verso l’Ashram di Visnu devi, ma prima di lasciarlo Yogi Bhajan decise di dargli 10 rupie.
L’astrologo gli disse che le avrebbe dovute tenere perché quello era tutto quello che lui possedeva in quel momento e ne avrebbe avuto bisogno. Questo particolare era sorprendente perché quando Yogi Bhajan controllò si rese conto che l’astrologo diceva la verità, infatti era senza portafogli e quelle 10 rupie erano state messe nella sua uniforme dall’attendente che aveva avuto istruzioni in merito. Yogi Bhajan insistette per donare le 10 rupie all’astrologo, ma di nuovo quest’ultimo disse che avrebbe dovuto tenerle con lui donandole ai poveri sulla strada per le grotte di Visnu Devi.
Prima di cominciare la ripida ascesa Harbhajan Singh fece cambiare le rupie in monete e le distribuì ai poveri che chiedevano l’elemosina in nome della Madre Divina.
Arrivarono al sacro Ashram di Visnu Devi, dopo un’estenuante salita. Yogi Bhajan racconta l’esperienza vissuta in questo posto sacro con le sue parole: “Quando arrivammo in cima io avevo molta sete, per cui andai cercare un posto dove poter bere; nel momento in cui bevvi l’acqua, che era molto fredda, persi coscienza dopo di che l’unica cosa che mi ricordo è che ero sdraiato dentro una specie di globo di luce, c’era luce che filtrava da ogni angolo, ed io cominciai a vedere il panorama della mia vita, dalla mia nascita attraverso tutti i momenti della mia esistenza, fino al giorno in cui io mi ero arrampicato fino alla grotta di Visnu Devi e vidi me stesso nell’atto di bere l’acqua. Poi una voce mi parlò: “Adesso devi decidere”.
Poi mi trovai trasportato dentro una forma cilindrica di luce: come dentro un ascensore io scendevo giù nella terra e più lontano andavo e più mi sentivo calmo ed avevo piacevoli sensazioni. Era estremamente piacevole, come in un stato di estasi; finché non raggiunsi un posto dove io mi avvicinavo ad una apertura, come se mi avvicinassi alla fine di un tunnel dove c’era tutta luce. Venne la voce e mi chiese di scegliere il sentiero: c’erano 2 strade da poter prendere, una era calda e confortevole come una casa, l’altra era come un picco di montagna pieno di neve con una luce così brillante che assomigliava al sole che splendeva.
Io dovevo scegliere quale strada intraprendere; da tutti e due le parti sentivo un’attrazione magnetica ed in quel momento rimasi fermo e pensai; no, non vado da nessuna delle due parti perché questo è il sacro posto dove io sono caduto in stato di incoscienza e morire qui significherebbe che tutta la gente che viene qui in pellegrinaggio perderebbe la fede.
Mi piegai in preghiera e dissi: “O Madre Divina non ho nessuna intenzione di danneggiare la fede della gente, e Lei rispose: “Allora vai, torna indietro e divulga la fede.
Poi mi vidi aprire gli occhi e vidi che sul mio corpo erano state messe molte coperte, molta gente era intorno e si commossero tutti quando io cominciai ad alzarmi. Mi dissero che ero stato dichiarato morto e che ero in quello stato da circa 45 minuti; non avevo altra scelta che credere a queste parole, anche perché un dottore che si trovava lì mi confermò l’accaduto. Agli ufficiali che erano in gita con me dissi soltanto che il nostro Yatra era stato completato e che uno nuovo sarebbe dovuto iniziare.
Poi ritornammo indietro in direzione del Golden Temple semplicemente per pregare e per ringraziare nella casa di Guru Ram Das. La morte non è un’esperienza dolorosa affatto, è semplicemente come andare da un aeroporto all’altro e, lungo il tragitto, passare attraverso l’ispezione doganale. In realtà una persona condanna se stessa con proprie azioni. La tua vita viene proiettata di fronte ai tuoi occhi e se tu non sei soddisfatto, ti condanni da solo secondo la tua coscienza, e quando devi scegliere tra due sentieri, se tu scegli quello caldo e confortevole, allora ti sei condannato da solo all’inferno, ma se tu scegli quella montagna nevosa, fresca e chiara, simbolo della più alta coscienza e Luce, questo dimostra che cosa è la liberazione dal ciclo della reincarnazione. Quando avete uno stato neutrale di coscienza, potete dirigere la vostra vita come volete, questo è chiamato il Turea, stato di coscienza..
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Harbhajan Singh Puri aveva speso 18 anni della sua vita al servizio del governo indiano, durante il suo servizio si era guadagnato la reputazione di assoluta onestà ed integrità ed il rispetto e l’ammirazione sia dei giovani ufficiali che degli anziani. Una volta che aveva presa una decisione era quasi impossibile revocarla; e non esisteva neanche un modo per imbrogliarlo perché egli sapeva leggere l’aura e sapeva benissimo chi gli diceva e chi non gli diceva la verità.
Ci furono molti incidenti nel periodo in cui Harbhajan Singh fu ufficiale di dogana all’aeroporto internazionale di Palin, lo stesso dal quale nel settembre del 1968 sarebbe partito per iniziare una nuova fase della sua vita. Uno degli eventi che si verificarono fu quando un gentiluomo canadese, appartenente al dipartimento canadese della dogana di New Dheli, espresse la sua insoddisfazione per gli sforzi vani fatti fino a quel momento per localizzare lo Yogi, che voleva portare in Canada ad insegnare all’Università di Toronto.
Furono presentati ed Harbhajan Singh parlò con questo gentiluomo del suo addestramento logico e gli fu fatta subito l’offerta di insegnare in Canada. Entro il più breve tempo possibile egli sarebbe dovuto partire. Nel settembre del 1968 Harbhajan Singh si dimise dal governo indiano, nel frattempo la famiglia sarebbe dovuta rimanere a Dheli fino a che le circostanze non avessero reso possibile il raggiungimento. Egli aveva un’immensa fede in Dio e nel Guru che sarebbe stato guidato verso il pieno raggiungimento della volontà divina.
Prima della partenza ricevette questo Ukkam dal Siri Guru Granth Sahib: Tu gur prashad kar rag jog, con la Grazia del Guru tu godrai di sovranità spirituale e secolare.
All’arrivo a Londra le linee aeree avevano perso il suo bagaglio: tutto ciò che gli rimaneva era una piccola borsa dell’Air France, che conteneva un registratore, ed un Gurbani Kirtan ed un Suk Mani. Sarebbe stato eventualmente rimborsato finanziariamente dalle linee aeree per la perdita, ma il suo bagaglio non gli sarebbe stato più restituito.
Perciò entrò in Canada con i soli vestiti che indossava completamente senza soldi, ed apprese che il gentiluomo, con cui aveva preso contatti per il suo soggiorno in Canada, era morto in un incidente automobilistico.
La mano di Dio e del Guru era evidente quando rifletté su questi eventi. Harbhajan Singh era arrivato in occidente e ora doveva scoprire quale era la strada che il Guru gli aveva preparato. Si assicurò subito un lavoro come impiegato in una casa editrice ed insegnò Yoga in un Ashram del posto. Fu conosciuto dai suoi studenti, che subito gli si affezionarono, come Yogi Bhajan
Poi nel dicembre 1968 un suo amico indiano lo invitò a Los Angeles c’era il centro dei movimenti dei giovani che andavano alla ricerca di una conoscenza interiore e verso la scoperta di se stessi, e dei valori reali e significativi. Vide che il Guru lo aveva guidato lì perché era stato ben equipaggiato di conoscenza, di esperienza e di tecnologie in modo che avrebbe potuto soddisfare le aspettative di quelle anime che erano alla ricerca. Così iniziò ad insegnare Kundalini Yoga, inizialmente nell’istituto Est-Ovest e poi nel magazzino di mobili di Jul Bucceri al Madison Avenue 1800.
Ogni aspetto della sua vita e del suo lavoro lo avevano preparato molto bene per questo ruolo dalle mille sfaccettature che egli avrebbe dovuto espletare nell’Ovest, come insegnante spirituale, organizzatore ed amministratore di una vasta rete di comunità attraverso il mondo. Egli era in grado di attingere alla saggezza che gli era stata comunicata dai suoi molti insegnanti nella sua vita, dalla sperimentata tradizione culturale della vecchia e nobile società. Era in grado di utilizzare l’addestramento nelle scienze logiche e la conoscenza dalla semplice pratica della dieta derivata da una cultura che era ancora in contatto con lui e della stessa medicina tradizionale.
Combinando queste qualità con la sua innata saggezza ed illuminazione spirituale nella casa di Guru Ram Das l’uomo che era conosciuto come Harbhajan Singh, e che era stato modellato da Dio e dal Guru come messaggero dell’amore stesso di Dio e della Sua Verità, era ora proposto ad una missione di servizio, di guida, modellamento e formazione di una comunità spirituale di individui destinati ad evolversi.
“Egli divenne Siri Singh Sahib per il suo servizio a Dio e all’uomo, un maestro è fatto dal suo stesso sacrificio e non dal segno di una penna”.
(DA ALTEREGO)
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