Il Rabarbaro è un medicinale antichissimo ma ancora attuale. Si pensa che il suo nome derivi dal greco rheo, che significa “fluire”, probabilmente alludendo all’azione purgante della pianta.
Il rabarbaro si identifica comunemente nella specie di Rheum palmatum o rabarbaro cinese. In Cina è conosciuto con il nome di Da huang. Si tratta della radice o rizoma di differenti specie di Rheum, pianta erbacea perenne appartenente alla famiglia della Polygonaceae. La farmacopea europea riporta che la droga, detta Rhei radix è costituita dalle parti ipogee del Rheum palmatum L. o del Rheum officinale Baill. o di ibridi comuni in Cina o in india, Pakistan o Nepal, o di una miscela delle stesse specie.
Le specie del genere Rheum hanno un robusto rizoma verticale da cui si diramano delle radici carnose. La parte aerea consiste in foglie di grandi dimensioni e lungamente picciolate, cordate o rotonde, che sono in gran parte riunite in una rosetta basale. Il margine è intero o dentato, più o meno ondulato.
I rami fioriferi sono riuniti in pannocchie allungate e fogliose e composte da fiori di color bianco verdastro o viola scuro.
Il frutto è una achenio oblungo-ovoidale od orbicolare.
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I principi attivi sono contenuti principalmente nel rizoma che viene raccolto in autunno, quando le foglie iniziano ad appassire, o primavera prima della gemmazione da piante di 8-10 anni: viene decorticato, sospeso con corde ed essiccato al sole o con calore artificiale. Oltre all’essiccamento rizoma e radici possono essere trattate con vino o carbonizzate.
La droga è di color bruno-giallastro e si presenta sotto varie forme: pezzi cilindrici, ovali, tondeggianti, con superficie convessa o di forma irregolare, spesso sono forati e i buchi contengono una parte delle corde usate per l’essiccazione, oppure hanno forma di cubo o rettangolo. La dimensione dei pezzi è di circa 5-15 mm di lunghezza e 4-10 mm di diametro. Sono duri e difficili da frantumare.
Il sapore è amaro e astringente e presenta un odore caratteristico e aromatico.
I principali costituenti chimici contenuti nel rabarbaro sono i derivati idrossiantracenici, che consistono in mono e diglicosidi dell’emodina, dell’aloe-emodina, del fiscione, e del crisofanolo, O-, C-glucosidi di forme monomeriche e dimeriche ridotte, come i renosidi A-D e i sennosidi A-F, i tannini e altre sostanze come isolindleina, lindleina, catechine e stilbeni.
Inoltre sono presenti cromoni, fenilbutanoni e tracce di olio volatile.
La droga essiccata deve contenere non meno del 2,2% (circa 10-30 mg) di derivati idrossiantracenici per dose, espressi come reina e calcolati sulla droga essiccata.
Il rabarbaro viene utilizzato a scopo alimentare e medicinale da moltissimo tempo.
L’uso alimentare è limitato, solo gli steli sono commestibili, ma dato il loro sapore amaro vengono utilizzati nella preparazione di marmellate, amari (rabarbaro Zucca) e cocktail.
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Il rizoma del rabarbaro è utilizzato come rimedio medicinale da più di 4000 anni. Ha una spiccata azione lassativa, dovuta alla presenza di glucosidi antrachinonici. Questi glicosidi si comportano da pro farmaci in quanto liberano l’aglicone che agisce da lassativo. Il glicoside antrachinonico viene somministrato per via orale e transita nello stomaco e nell’intestino tenue senza subire alcuna modificazione. A livello del colon le glicosidasi batteriche rimuovono lo zucchero, e la flora batterica intestinale produce metaboliti che sono scarsamente assorbibili e che agiscono a livello locale provocando variazioni della secrezione e della motilità del colon. Contemporaneamente si ha un aumento della permeabilità cellulare attraverso la mucosa del colon, probabilmente per inibizione della pompa Na+/K+-ATPasi o dei canali del Cl–, in questo modo il riassorbimento d’acqua dalla mucosa intestinale diminuisce. L’azione lassativa degli antrachinoni si osserva 6-12 ore dopo l’ingestione orale, a causa del tempo necessario per l’assorbimento sistemico e la conversione metabolica dei glicosidi in composti attivi.
La contemporanea presenza di tannini può causare costipazione per effetto astringente sulla mucosa, per questo motivo il rabarbaro può essere usato per controllare la diarrea provocata dalla presenza di sostanze irritanti. In considerazione di questo effetto secondario, è opportuno sottolineare che un uso prolungato del rabarbaro ad uso lassativo potrebbe comportare un aggravamento della stipsi.
Il rabarbaro possiede anche un effetto antispastico quattro volte più potente di quello della papaverina, diuretico per aumento dell’escrezione di Na+ e K+ , nefroprotettivo e colagogo.
In medicina popolare il rabarbaro è noto anche per la sua azione ipotensiva. La sua somministrazione è associata anche ad una diminuzione della richiesta di ossigeno da parte del muscolo cardiaco, riduzione delle frequenza cardiaca e delle resistenze vascolari periferiche.
Il rabarbaro è dotato anche di attività emostatica in quanto aumenta la viscosità del sangue e stimola l’aggregazione piastrinica. Inoltre le catechine presenti nella droga esercitano un’azione ipocolesterolemizzante, antiflogistica e analgesica.
Gli estratti metanolici di Rheum palmatum e R. officinale hanno dimostrato di possedere un’attività antiossidante, mentre gli estratti acquosi ed etanolici del rabarbaro si sono dimostrati efficaci nell’inibire l’Helicobacter pylory. I principi attivi emodina, aloe-emodina e reina posseggono invece azione antibatterica sui batteri della famiglia di streptococchi e stafilococchi, alcuni bacilli e su Salmonella typhi. È stata inoltre dimostrata un’attività antimicotica nei confronti di Candida albicans e di Aspergillus fumigatus paragonabile a quella della nistatina.
L’estratto etanolico del rabarbaro ha invece mostrato di poter inibire l’adsorbimento e la penetrazione del virusHerpes simplex, dimostrandosi quindi efficace come antivirale.
La medicina occidentale utilizza il rabarbaro per il trattamento di breve durata della stipsi occasionale.
La medicina cinese usa il rabarbaro come purgante e digestivo, ma non solo. Da huang purifica il calore e seda il fuoco, rinfresca il sangue, elimina le tossine e tratta il calore tossico du, drena il calore-umidità, muove il sangue e ne tratta la stasi e viene usato come emostatico nelle patologie caratterizzate da sanguinamento, anche se in questo caso si preferisce utilizzare il prodotto preparato mediante carbonizzazione. Trova quindi indicazione, se somministrato per via orale, nel trattamento dei dolori post traumatici, dolori addominali del postpartum, dismenorrea e patologie correlate a stasi di sangue. Per la sua azione antiemorragica viene usato nell’ematemesi, epistassi, sanguinamento emorroidario. È usato in caso di ittero, epatopatie, dolore addominale, disuria, stranguria e gonorrea. Per uso esterno viene utilizzato nelle dermatiti, ascessi cutanei, ustioni e foruncoli.
La FU XI riporta due monografie: rabarbaro estratto fluido e rabarbaro secco. Le preparazioni più usate sono tinture, infusi, decotti ed estratti fluidi.
La dose individuale corretta è quella minima sufficiente per produrre feci morbide. Per adulti e bambini al di sopra di 10 anni di età si consiglia l’assunzione di 15-50 mg/die di derivati dell’idrossiantracene (calcolati come reina) in un’unica somministrazione da effettuarsi preferibilmente la sera. Se assunto come decotto, 0,5-1,5 g di droga allo stato secco devono essere decotti al massimo per 10 minuti.
Il rabarbaro, così come gli altri lassativi stimolanti, non deve essere usato per periodi superiori a 2 settimane, e in pazienti affetti da ostruzione, stenosi o atonia intestinale, disidratazione grave, stipsi cronica e in presenza di eventuale sintomatologia addominale non diagnosticata. Il rabarbaro non deve essere somministrato ai pazienti affetti da patologie intestinali di tipo infiammatorio, come il morbo di Crohn, la colite ulcerosa, l’appendicite e la sindrome del colon irritabile. È controindicato in gravidanza e durante l’allattamento, in quanto alcuni principi attivi possono passare nel latte materno. La medicina cinese specifica che va usato con cautela anche in presenza di interessamento del biao, nei deficit di qi soprattutto di Stomaco, durante la gravidanza, nel postpartum e puerperio e durante le mestruazioni.
L’uso cronico del rabarbaro può causare pigmentazione del colon, che non è dannosa ed è reversibile con la sospensione del trattamento; può causare dipendenza con eventuale necessità di aumentare progressivamente il dosaggio. Cirrosi epatica, ipokaliemia e colon atonico possono essere causati da una somministrazione prolungata di rabarbaro. Disturbi dell’equilibrio idrico ed elettrolitico possono determinare disfunzioni cardiache e neuromuscolari. A questo proposito è bene sottolineare che l’ipokaliemia risultante dall’abuso di questi lassativi è in grado di aumentare l’attività dei glucosidi cardioattivi e di potenziare l’azione dei farmaci usati per il trattamento delle aritmie cardiache, come la chinidina. Lo scompenso elettrolitico può essere ulteriormente aggravato dall’uso contemporaneo di farmaci che inducono ipokaliemia, come i diuretici tiazidici, i corticosteroidi e la radice di liquirizia. Infine la diminuzione del tempo di transito intestinale può ridurre l’assorbimento di farmaci somministrati per via orale.
Il sovraddosaggio può causare coliche e grave diarrea con perdite di liquidi ed elettroliti. Inoltre potrebbe verificarsi una reazione allergica caratterizzata da calore al volto, prurito, eruzione di papule, asma e tachipnea. Le foglie presentano una nefrotossicità legata all’elevato contenuto di acido ossalico, che può causare insufficienza renale per precipitazione di ossalato di calcio a livello tubulare.
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http://www.oloselogos.it/articoli-fitoterapia/il-rabarbaro-da-huang/
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