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Il sacro tradito: tra le urla vuote dei bestemmiatori e la rivoluzione silenziosa del benedire

Il sacro tradito: tra le urla vuote dei bestemmiatori e la rivoluzione silenziosa del benedire

La bestemmia come specchio di un’epoca senza radici

Quando una ragazza di quindici anni urla parole vuote per strada, tra un selfie e un like, non è solo una mancanza di rispetto: è la fotografia di una società che ha perduto il senso del linguaggio. Le bestemmie non sono più sfoghi d’ira o grida di dolore, ma mercanzia consumata in streaming, su social e nelle pagine di libri celebrati. La superficialità del maledire è diventata un rito, un modo per farsi notare. Ma che cosa nasconde quel vuoto che si maschera da ribellione?

C’è qualcosa di dissonante quando si trovano video virali su YouTube con titoli come “Io bestemmio sempre”, pronunciati con orgoglio da volti noti e seguiti da milioni di giovani. E c’è qualcosa di profondamente assurdo nell’atto di offendere un Padre… proprio mentre si proclama di non crederci

La parola, un ponte in rovina

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Fino a poche generazioni fa, la parola era un ponte tra l’umano e il trascendente. Anche chi non pregava conosceva il peso di un “grazie” lanciato al cielo, l’incanto di uno sguardo fisso su un albero o una stella. Oggi, quel ponte è crollato: la lingua si è ridotta a strumento di sfregio, a grido indirizzato a un nulla che nemmeno risponde. E se la bestemmia non è un atto di fede, quale dio offende, allora? Quale divinità può esistere nel cuore di chi pronuncia un nome senza significato?

Benedire: l’atto rivoluzionario che nessuno osa compiere

Il contrario della bestemmia non è solo il silenzio, ma la scelta consapevole di benedire. Benedire non e’ solo un gesto religioso, ma umano, un rifiuto di arrendersi all’aridità del tempo presente. È dire “ti auguro bene” a un nemico, accarezzare con uno sguardo un estraneo, riconoscere il sacro in un fiore, in un figlio, in un respiro

La bestemmia disperde, la benedizione unisce. La prima è un grido al vento, la seconda è un seme piantato nella terra. Eppure, chi osa oggi usare la parola come guarigione? Chi ha il coraggio di non urlare, ma di accendere una luce?

Viviamo in un’epoca che ha smarrito la sacralità del linguaggio. Dove la parola, che un tempo era ponte tra l’umano e il divino, è diventata scarto, urlo, slogan da bar. Eppure, non è sempre stato così. Gli uomini delle origini, anche senza una religione codificata, si inchinavano davanti a un tramonto, a un fulmine, al primo fiore dopo l’inverno. Ogni loro gesto era benedizione. Ogni sguardo, gratitudine. La parola grazie era un atto sacro, un ponte invisibile che legava la terra al cielo.

Il vuoto dietro la bestemmia
La bestemmia non è solo un’offesa religiosa: è il riflesso di un vuoto interiore. Chi bestemmia non sfoga solo rabbia, ma rivela una mancanza di radici, di rispetto di se stesso e degli altri che lo applaudono pure! e’ una perdita di senso. È come sputare in uno specchio che riflette la propria coscienza

Le parole che costruiscono o distruggono il mondo

Ogni parola è un atto di creazione o distruzione. Quando scegliamo di maledire, inquiniamo l’aria stessa che respiriamo. Quando benediciamo, seminiamo aria pulita. Il linguaggio non è neutro: è lo specchio dei nostri valori. La bestemmia è il sintomo, non la causa. L’antidoto è una nuova alleanza con la bellezza del vivere.

Non si tratta di moralismo. Ma di dignità

Chi maledice ciò che non conosce, chi insulta per moda, chi bestemmia per sentirsi ribelle, dimentica che ogni parola ha un peso. Le parole sono semi. E ogni seme germoglia. E lui non ha idea di cosa sta piantando!

Se piantiamo rabbia, raccoglieremo distruzione. Se seminiamo rispetto, raccoglieremo umanità

Forse la bestemmia è il segnale d’allarme di chi cerca significato senza saperlo chiedere. Ma la benedizione è una scelta. Un atto rivoluzionario, una resistenza dolce a un mondo che ha perso la rotta
Le parole non sono solo suoni: sono architetti invisibili del reale.

Quando scegli di maledire, costruisci muri. Quando scegli di benedire, tracci ponti

L’arte dimenticata del benedire
Benedire è un atto silenzioso e potente. È augurare il bene, vedere il bene, scegliere il bene.

Non ha bisogno di una religione: ha bisogno di coscienza. È un atto creativo.

Dire “ti benedico” significa inviare luce, guarigione, speranza. È un dono che torna indietro, che illumina chi lo riceve e chi lo pronuncia e lo augura

Benedire è l’antidoto alla superficialità. Alla volgarità. Alla dimenticanza del sacro

Ecco perché è tempo di riscoprirlo

In un mondo che urla odio, l’arte del benedire è una forma di rivoluzione. Una ribellione gentile contro il degrado delle parole. Una dichiarazione d’amore per la vita, anche quando sembra dura. Una scelta di stile. Di verità. Di bellezza. Di spiritualita’

Per chi, come te, che si sente di non appartenere ad un’epoca urlata, ricorda: non sei tenuto a salvare il mondo. Ma sei chiamato a consegnargli il meglio di ciò che puoi dare.

La rivoluzione inizia in minima scala. Un “grazie” a chi non se l’aspetta. Un ascolto senza risposte. Un gesto di tenerezza offerto a chi ti sembra indifendibile.

Non serve essere eroi: basta celare la ferocia nella gentilezza

E se domani sentirai una voce che grida parole vuote, prova a risponderle non con il giudizio, ma con un silenzio che sa di comprendere. Perché anche in chi offende, c’è forse un cuore che non sa ancora come chiederti aiuto. E tu, semplicemente, sei lì per ricordargli che LA BESTEMMIA non è l’unica lingua della rabbia della diseguaglianza o del disagio

Le parole che scegliamo costruiscono il mondo in cui viviamo. Riscoprire il valore del linguaggio sacro è un atto di civiltà, di amore e di rinascita spirituale.

Forse non possiamo cambiare tutto, ma possiamo iniziare da noi. Una parola benedetta alla volta.
Per questo noi ti benediciamo e lo facciamo nel nome di DIO in cui crediamo!

Carmen ed Emmanuel

GRAZIE, VI BENEDICIAMO!

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