L’ESTASI DEL CAMMINO
Chi cammina con consapevolezza e attenzione porta in ogni suo passo la vita, la vita di un corpo che si muove, che sente e si esprime.
“Sana non è la persona che non si ammala mai, ma colui che si mette sul processo di guarigione.” Camminare ogni giorno con passi di consapevolezza è una risorsa per ascoltarsi nel qui ed ora e trasformarsi. Cammino da sempre per trovare me stesso e risolvermi.
E cammino consapevolmente con altri. Camminare insieme è dialogo, un dialogo che ti mette di fronte a una verità anche quando non vuoi. In relazione con te e con l’altro. Se ci fai caso, il tuo modo di camminare insieme a qualcuno dice tutto sulla relazione che hai con l’altro. Un proverbio persiano dice «Per conoscere realmente qualcuno ci devi mangiare, dormire e viaggiare insieme». Un altro detto indiano dice: “per conoscere davvero una persona prima devi camminare nei suoi mocassini !”
“Gesù misura questa terra incolta, che è sfuggita alla tirannia dell’utile, con il passo lento del vagabondo che non ha altro da fare se non contemplare la vita dalle mille sfumature. Quando egli si distende sull’erba per un breve riposo, delle farfalle gli si avvicinano al viso, muovendo l’aria che respira con il battito senza rumore delle loro ali colorate”.
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Questa immagine di uno dei miei scrittori preferiti, Christian Bobin, sintetizza in un lampo la mia visione del mondo riguardo la meravigliosa e policroma arte del camminare. Vita, agnizione, sfumatura, vagabondaggio, poesia, natura, fatica, riposo, lasciarsi attraversare da quel sorriso che si fa rivelazione di una stanchezza felice quando uno sfarfallio di gioia ti schiaffeggia per riportarti in vita.
Tutto questo per me è camminare. Cammino da sempre per trovare me stesso e risolvermi.
Per essere “l’uomo dalle suole di vento”, come Verlaine definiva Rimbaud. Fermi tutti. Lo so, lo sento. Balugina all’orizzonte un catartico e liberatorio e chi se ne importa? E’ il cammino che è liberatorio, catartico, libertario e vivificante. Gesù è l’uomo che cammina, dal titolo di un altro dei volumetti più intensi dello scrittore francese Bobin. E ancora di più, in questa apologia del camminare che altro non è che la mia trasognata e fenomenologica “weltanshauung”, mi piace quando scrive: “Se ne va a capo scoperto. La morte, il vento, l’ingiuria: tutto riceve in faccia, senza mai rallentare il passo.
Si direbbe che ciò che lo tormenta è nulla rispetto a ciò che egli spera. Che la morte è nulla più di un vento di sabbia. Che vivere è come il suo cammino: senza fine”.
Ecco, nel camminare vedo l’infinito, la forza dei passi che si trastullano con l’eternità, la speranza dell’illimitatezza nella disciplina, della capacità di ardere senza consumarsi. Che il cammino abbia una valenza terapeutica, di guizzante benessere fisico e profonda salute spirituale e metafisica, è cosa nota. Per non dire delle sue “emanazioni” mistiche ed “erotiche” come contempla ogni esperienza mistica che si rispetti. Io, personalmente, ad ogni passo, possibilmente in solitudine, risorgo sempre. Come l’Uomo che cammina, che ci ha lasciato il ricordo e la certezza.
“Alzati e cammina” e la speranza giace nuda nel cuore della terra, per tre giorni e per tre notti. Poi si alza e se ne va.
E a noi non rimane che camminare, per cercare e avere ancora speranza. Imprimere la terra con i piedi, insomma, come scrive Adriano Labbucci, è un atto “rivoluzionario”: “Non c’è nulla di più sovversivo, di più alternativo al modo di pensare oggi dominante. Camminare è una modalità del pensiero. E’ un pensiero pratico. E’ un triplo movimento: non farci mettere fretta, accogliere il mondo e non dimenticarci di noi strada facendo”.
Secondo questa prospettiva, trovo i viaggi a piedi straordinari e autenticamente “sovversivi”. Contro il mito fagocitante della velocità e un futurismo di massa che rischia di farci diventare come le folle che Nicolas Gòmez Dàvila definiva “moltitudini transumanti che profanano ogni luogo sacro”, la vacanza “in movimento” non è solo vacanza. E’ esperienza profonda di sé e della traccia viva che c’è in ogni relazione.
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Gli aspetti spirituali, terapeutici, psicologici del camminare. Perché “mettersi in moto”?
Non è un caso che da qualche anno l’Organizzazione mondiale della Sanità abbia inserito all’interno delle possibilità di prescrizione medica l’attività fisica. E’ proprio così. I medici possono prescrivere in una “ricetta” l’attività fisica, il camminare al posto di farmaci. Interessante, no? Parto dal punto di vista medico, anche se non è il mio perché è quello a cui l’occidente fa riferimento quando si parla di salute. Camminare è una pratica salutare. Ogni passo è un massaggio tonificante e benefico per tutto il corpo, ma anche una meditazione. Meditare è un atto di profonda conoscenza.
Cosa succede quando si cammina? C’è un’attivazione di tutto il corpo, mente compresa. Il nostro passo rivela il tipo di curiosità che abbiamo per il mondo, ai nostri piedi non possiamo mentire. La struttura ossea occupa la parte superiore del piede. Sotto c’è la polpa, un’ampia massa densamente vascolarizzata. Quando camminiamo, questa massa vascolarizzata viene, alternativamente nei due piedi, compressa e rilassata. Il sangue venoso viene spinto in alto, quello arterioso aspirato in basso. I piedi in cammino sono due potenti pompe che affiancano e aiutano il lavoro del cuore. Nella camminata i movimenti muscolari ripetuti sono connessi con l’attivazione dei gangli della base, i quali a loro volta hanno un’influenza sul talamo, il quale ha una proiezione sulla corteccia orbitofrontale: i movimenti stimolano le funzioni cognitive e di pianificazione personali.
Gli ormoni dello stress (corticosteroidi) aumentano nel nostro sangue lungo la giornata e producono pensieri frammentari e superficiali. Camminando abbassiamo questi ormoni e ci riconnettiamo con i nostri pensieri. Aumenta la creatività, l’elaborazione di nuove, appropriate idee (grazie al ritmo dato dai movimenti ripetuti).
L’effetto si estende anche al lasso di tempo subito successivo alla camminata: ” Tutti i pensieri veramente grandi sono concepiti camminando” diceva Nietzsche. Se aggiungiamo anche e aggiungiamo lo stare all’aperto, tutto questo contribuisce a rendere le persone più loquaci e la maggior parte degli scambi verbali include idee creative. Migliora l’umore potenziando il pensiero divergente e la creatività. Ha una forte influenza positiva sulla memoria associativa. Insomma, come vedi, diversi benefici psicofisici. Ma c’è di più, camminare è un atto ripetitivo, una meditazione.
Camminare insieme è un dialogo con se stessi e con gli altri. All’interno di questo sta, a mio parere, l’effetto spirituale, terapeutico benefico del camminare in sé. Se aggiungiamo che camminare per più giorni significa uscire dalla propria zona di comfort, significa cambiare ambiente familiare, casa, letto, beh, allora camminare è anche un atto di profondo cambiamento, un’azione che ci aiuta a vivere i cambiamenti.
Camminare è, dunque, un atto veramente rivoluzionario?
Migliaia di anni fa vivevamo in mezzo alla natura, a stretto contatto con la natura. Oggi, tendenzialmente, la tagliamo fuori dalla nostra quotidianità, a parte alcuni di noi, più fortunati. La natura cattura in modo discreto la memoria volontaria, non ci costringe a stimoli continui ed eccessivi come la città, donandoci la possibilità di rigenerarci. Camminare a contatto con la natura, più che in città, inibisce la formazione di pensieri negativi che possono sfociare in gravi patologie come la depressione. La natura ha insito in sé un potere “naturale” di grande benessere per l’essere umano. Camminare in mezzo alla natura favorisce i cambiamenti dell’umore, alza il livello di energia e migliora il funzionamento dell’attività cognitiva per effetto di una maggior vascolarizzazione e ossigenazione.
Come stimolare un cambio di mentalità?
Possiamo stimolare ad un cambio di mentalità offrendo spazi di esperienza, dove poter assaporare ed esperire con il proprio corpo gli effetti di uno stile di vita che tenga maggiormente conto della nostra neurofisiologia, dei nostri bisogni, dei nostri ritmi, della possibilità di creare una coerenza sistemica di benessere tra la nostra parte più attiva e la componente recettiva. L’apprendimento passa attraverso l’esperienza. L’esperienza crea uno spazio al piacere e come diceva Platone “l’apprendimento passa per via erotica”.
Chi partecipa al viaggio, riuscirà a diventare “uomo dalle suole di vento”?
Io credo che l’anima viandante o ce l’hai o non ce l’hai. C’è qualcosa che nasce da dentro che porta a scoprire il mondo. Quanto esperiamo nella crescita e nelle relazioni di attaccamento con le figure di accudimento non possono far altro che assecondare o meno quella spinta. La vita è nel corpo. La vera sfida è sentirsi a casa “viandando”, passami la licenza lessicale. Camminando percorriamo la via dei sensi, ascoltiamo e onoriamo il corpo e quello che porta con sè in ogni momento. In un mondo di volatilità, la vera sfida è rimanere fedeli a se stessi. Per farlo bisogna conoscersi, cosa di meglio di un viaggio, soprattutto un viaggio camminato! Chi cammina fa esperienza di radici e ali per volare. Radici e ali per volare permettono all’uomo di viaggiare, allontanarsi senza portare con sé la paura di farlo e di non sentirsi a casa.
Come “vivificarci”, nutrendo anima e corpo? La storia dell’umanità inizia con i piedi, scrisse André Leroi-Gourhan, antropologo francese. Credo che il camminare sia un gesto profondo, più di quanto oggi noi sentiamo. In questi ultimi anni si sono venuti a creare in Italia numerosi movimenti di camminatori. A me piace pensarli più come walkers che camminatori. Chi cammina con consapevolezza e attenzione porta in ogni suo passo la vita, la vita di un corpo che si muove, che sente e si esprime. Viviamo in un mondo veloce e frettoloso, in superficie, camminare è una perdita di tempo, un atto anacronistico o di moda agli occhi della massa. Camminare è il gesto più energico e rivoluzionario che possiamo compiere. Tornare alle radici e andare avanti non dimenticandosi di portarsi con Sé. Un giorno qualcuno d’importante per me mi ha detto: “Sana non è la persona che non si ammala mai, ma colui che si mette sul processo di guarigione.” Camminare ogni giorno con passi di consapevolezza è una risorsa per ascoltarsi nel qui ed ora e trasformarsi.
Il cammino risveglia consapevolezza e migliora dunque anche la relazionalità?
Il cammino risveglia. Questa è la magia. A prescindere, accade qualcosa nel nostro corpo. E’ prima di tutto relazionalità con le diverse parti che sono in noi: pensiero, sentire e movimento, ectoderma, endoderma e mesoderma se vogliamo prendere in prestito termini dall’embriologia. Una comunicazione da cui non possiamo esimerci che a volte scorre fluida, altre volte si blocca nel suo fluire in qualche punto del corpo. Camminare ci rimette in connessione con questi tre livelli e già di per se è strumento di benessere. Se fatto con consapevolezza e intenzionalità diventa anche strumento terapeutico.
nel mio essere psicoterapeuta biosistemica ho integrato il camminare anche nel lavoro clinico. La capacità di mettersi in relazione costituisce la base del senso profondo di esistere. Camminare insieme è dialogo, un dialogo che ti mette di fronte a una verità anche quando non vuoi. In relazione con te e con l’altro. Se ci fai caso, il tuo modo di camminare insieme a qualcuno dice tutto sulla relazione che hai con l’altro. Un proverbio persiano dice «Per conoscere realmente qualcuno ci devi mangiare, dormire e viaggiare insieme». Un altro detto indiano dice: per conoscere davvero una persona prima devi camminare nei suoi mocassini !!” Spesso, nel mio lavoro mi confronto con il problema della solitudine, con la penuria di contatto e di contatti e con il senso d’inutilità delle proprie azioni. Nel nostro essere umani abbiamo bisogno di stare in relazione, di sentirci connessi e in movimento. Il cammino, il cammino in gruppo è anche questo.
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