Tutto inizia da un seme. Le scritture antiche descrivono questo seme originale, chiamato bija, come un suono. Esse raffigurano l’immagine mistica di un suono primordiale dal quale l’intero cosmo si è manifestato. Vedono pianeti, stelle, galassie legate insieme magicamente da frequenze sonore. Anche la fisica quantistica ha da poco scoperto questo campo di vibrazione dinamica che unifica e sostiene, sopra il quale fluttua tutta l’esistenza.
Il nostro universo fisico contiene in sé stesso delle caratteristiche musicali. A livello atomico, ogni cosa danza, creando la sua propria “musica”, vibrando a diverse frequenze sonore. Ci sono suoni che ci imprigionano in questo mondo temporaneo e suoni che ci liberano da esso. Nello yoga sintonizziamo noi stessi su quelli liberatori, cioè le frequenze divine dell’universo. Attraverso la pratica dello yoga, possiamo partecipare alla sinfonia dei suoni sacri.
Tra tutti gli antichi rituali dell’umanità, nessuno è così largamente applicato in questi tempi moderni come quello che rende gloria alla divinità mediante il canto o la recitazione. In tutte le varie tradizioni e fedi che abbelliscono il mondo, sia che una persona sia cosciente che la vita origini dal suono oppure non lo sia, il cuore dell’uomo è stato sempre motivato ad esprimersi attraverso il suono. Dopotutto, noi veniamo all’esistenza come neonati attraverso il suono. La conferma della nostra esistenza avviene quando i nostri primi pianti sollecitano una amorevole e appropriata risposta dai nostri genitori. Così impariamo che possiamo influenzare la vita intorno a noi tramite il suono, e reciprocamente siamo incredibilmente influenzati dai suoni dell’ambiente circostante. L’esperienza uditiva lascia delle impressioni nella nostra coscienza che sono differenti da qualsiasi altro stimolo percepito dai nostri sensi. Il potenziale che il suono possiede nell’influenzarci ad un profondo livello emotivo fa della musica il nostro linguaggio universale. In accordo alle antiche tradizioni, la musica è ovunque.
Noi ascoltiamo il linguaggio musicale nel canto degli uccelli, nel gorgoglìo dei ruscelli, nel rullare dei tamburi, nei grilli della sera, nel mare in tempesta, nel riso, nel pianto, in ogni cosa. Le più antiche tradizioni credevano che l’universo intorno a noi “cantasse”, comunicandoci. La vibrazione energetica che produceva il suono era in sé stessa evidente e i significati di questi canti non richiedevano spiegazioni. In sanscrito, questo si chiama samskrita, o “comunicazione perfettamente compiuta” perché denota un’intima relazione tra la struttura della realtà e il suono prodotto. La filosofia mimamsa dichiara che tutti i suoni esistono eternamente e richiedono solo una variazione delle arie oppure del respiro (individuale o universale) affinché si manifestino. Questo movimento delle arie (prana) è attivato dal fuoco (agni), oppure dalla luce, simbolo di conoscenza. Il linguaggio sanscrito si crede sia stato generato da una conoscenza segreta trasmessa dal suono che è uno dei più potenti mezzi di rivelazione. Gli antichi inni vedici (dei Veda) sono dirette manifestazioni dei suoni sacri che ascoltiamo (shruti) dai saggi poeti che li sintetizzano mettendoli in forma scritta. Questo “ascolto” avviene dapprima nella propria coscienza. Queste rivelazioni assumono una controparte sonora. La consistenza tra i suoni (shabda) e il loro significato (artha), la realtà così annunciata, stabilisce la chiarezza nella comunicazione. L’universo ha sempre parlato all’uomo in un linguaggio chiaro. Ma cosa ci sta dicendo?
L’universo ci parla costantemente della natura divina di tutto ciò che ci circonda! La Chandogya Upanishad descrive che tutta la musica, tutte le canzoni, le parole e tutti i suoni sono uniti tra di loro dal pranava omkara, come foglie unite al ramo. Gli yogi identificano la sillaba sacra “OM” come il suono sacro originale dal quale provengono tutti gli altri suoni. Non fu mai creato e non sarà mai distrutto. Tutti i suoni esistono eternamente all’interno dell’OM ed è solo un cambiamento nel livello vibrazionale della nostra coscienza che produce suoni diversi. Poiché “la natura dell’etere nello spazio del cuore” (antar-hridayakasha-shabdham) è in effetti uguale alla sillaba OM, questo cambio di coscienza inizia con il parlare e cantare dal profondo del cuore. I praticanti seri dello yoga hanno come scopo il generare suoni che emanano direttamente dai loro cuori, dallo spazio dentro di noi, che è qualitativamente non differente dall’OM. Molto spesso un cuore addolorato, solo, affamato inizia il proprio viaggio nel suono sacro.
La letteratura vedica ci offre una bellissima narrativa illustrandoci il modo in cui il primo essere creato sperimentò il suono sacro. Questo si collega con il profondo desiderio di unirci con le nostre aspirazioni divine. Il primo essere creato, Brahma (la divinità dei Purana), si sentiva insoddisfatto, seduto in solitudine sul fiore di loto della sua coscienza che stava sbocciando. Brahma si mise ad ascoltare in quieta meditazione, cercando di capire la ragione della sua esistenza e invitandola a manifestarsi. Sintonizzandosi con la musica dell’universo, ‘vak’, ella apparve davanti a lui come Sarasvati, la dea della musica e del sapere, offrendogli un valido strumento per aiutarlo a concentrarsi dentro il suo cuore.
Questo strumento è il mantra che servì a liberare (tra) la sua mente (manas) per raggiungere un livello di ricettività al suono sacro. Quando il potere di ascolto divenne sempre più profondo, egli sentì il suo cuore impregnarsi di shabdha brahman (il termine usato nelle Upanishad per designare il divino), o il suono assoluto. Questo suono incantevole era quello del flauto di Krishna, che nella sua potenza spirituale non differisce dall’OM, il quale sbocciò dapprima nel gayatri mantra, poi nei quattro versi essenziali del Bhagavata purana e successivamente nell’intero Veda! In tale modo la ricerca del significato della vita e delle rivelazioni divine diventano strettamente unite alla sperimentazione dei suoni sacri. I mantra ci preparano a questa esperienza.
I mantra sono le chiavi della creazione. Le loro vibrazioni, come le parole e la musica, sono infuse di energie creative specifiche. L’antica scienza medica dell’Ayur Veda riconosce tre tipi di mantra che corrispondono alle tre qualità caratteristiche della natura che permeano l’universo fisico. I testi vedici descrivono questa energia costituita da suoni come uno stampo, un progetto mediante il quale un suono assumerà una forma fisica o mediante l’effetto che avrà sull’ambiente. Particolari codici sonori informano la materia sull’aspetto che dovrebbe avere. Le rappresentazioni visuali dei mantra che comprendono colori specifici e strutture geometriche che assorbono l’energia dei mantra sono chiamati yantra. Dagli yantra sono generate altre forme. Qualsiasi oggetto materiale incontriamo, perfino ogni emozione sottile, ha una controparte sonora. Alcuni yogi mistici riescono, in modo strabiliante, a manifestare un oggetto fisico recitando un mantra il cui suono contiene i semi per la creazione dell’oggetto. Noi abbiamo la stessa capacità mistica di manifestare la nostra coscienza divina attraverso dei mantra dall’origine sonora appropriata. Questa coscienza divina è dentro di noi, nel più profondo del nostro essere.
La più potente esperienza del mantra divino accade quando noi liberiamo la nostra mente nella sua manifestazione sonora attraverso una recitazione costante: “Questa [rappresentazione verbale del Supremo] deve essere ripetuta costantemente e il suo significato è percepito nel cuore” (taj-japas tad-arthabhavanam, Yoga Sutra 1.28, traduzione del Dott. Graham Schweig). Il saggio Patanjali incoraggia qui una continua e sentita ripetizione del mantra divino, il quale invita l’essenza spirituale a manifestarsi nella nostra esistenza.
I mantra sono di natura misteriosa ed eterna e hanno il potere di tirare le redini dei nostri pensieri fluttuanti per attrarci nella profonda e gioiosa esperienza dell’essere. I mantra sono le chiavi che aprono il dialogo interiore naturale dell’anima con la divinità. Per una pratica yoga che sia efficace, i mantra sono dunque essenziali. Quando vengono recitati ad alta voce, con un accompagnamento musicale, insieme ad altre persone che compiono le stesse pratiche (kirtana), oppure recitati in una meditazione solitaria e devota (japa), l’intonazione dei sacri suoni nella forma dei mantra è di una potenza unica e insuperabile allo scopo di elevare velocemente la coscienza. Il solo requisito per un canto efficace dei mantra è quello di sospendere completamente la propria identificazione con la mente. Per uno yogi, il più grande sacrificio, o yajna, è l’arrendere la propria mente al mantra. Questa offerta della propria mente con la recitazione di preghiere nel linguaggio rituale, o mantra, è il più antico metodo usato dall’umanità per unirsi alle sue origini divine. Dall’antichità fino ai giorni d’oggi, la meditazione con kirtan e japa è praticata abbondantemente da coloro che rifiutano di limitarsi entro i confini della materia.
Completamente al di là del vertiginoso ciclo dell’esistenza materiale, nel regno divino, dove ogni parola è una canzone e ogni passo una danza che celebrano la divinità, l’antica poesia sanscrita rivela un kirtan ispirato che consiste di 16.000 partecipanti principali! Il decimo canto dell’opera Bhagavata Purana, conosciuto come la rasa lila di Krishna, risplende con bellissime descrizioni di maestri di yoga chiamati gopi. In risposta a un richiamo d’amore da parte della divinità (quando Krishna suona il suo flauto), queste perfette yogini sono ispirate spontaneamente ad unirsi tra di loro e con la divinità, creando un cerchio perfetto di canti, danze e musica. Questo cerchio è conosciuto come rasa mandala, e i grandi maestri ci hanno rivelato che è l’essenza di tutti i kirtan che hanno decorato l’etere dall’eternità.
Quando noi offriamo i nostri cuori alla pratica del kirtan, recitando versi sacri, mantra sacri, noi invitiamo la divinità a una relazione più intima, proprio come quella ottenuta dalle gopi con Krishna, quando esse danzarono nella rasa mandala, abbracciandolo. Questa unione è il cuore dello yoga, ed è compresa nella definizione stessa della parola yoga: dalla radice sanscrita “yug” che significa “unire”, “aggiogare”, “connettersi”. Al di là dell’ovvia intimità tra l’anima e la divinità, la rasa mandala indica una potente connessione tra i membri della comunità degli yogi e yogini che insieme si sforzano di realizzare intimamente il divino. Questa comunità spirituale si chiama sanga, ed è costituita per ravvivare la nostra danza con il divino. Nel libro di Graham Schweig, La danza del divino amore, egli estende la definizione del termine sanga, come simbolizzato dalla danza rasa, accogliendo tutte le diverse tradizioni religiose. Le gopi danzano e cantano in sinfonìa nella rasa lila (una manifestazione dei loro sentimenti armoniosi e sincronici nella celebrazione della divinità) diventando un modello comportamentale per gli esseri umani nell’unirsi insieme all’eterna danza dello yoga: “dove Dio e l’anima perdono sé stessi nei ritmi, nelle melodie e nei movimenti dell’amore divino!” Questa “danza dell’amore divino” è la più elevata realizzazione del kirtan, il fine del canto dei mantra.
Innamorarsi del divino attraverso i suoni sacri! Cosa può essere più allettante? Una pratica di yoga efficace renderà la persona particolarmente accorta ai suoni che produce e ai suoni che ascolta, perché la pronuncia e l’ascolto del suono costituisce un cerchio completo nel esperire i suoni sacri. Le scritture vediche sono conosciute come Shruti (conoscenza ricevuta attraverso il sistema uditivo). Shruti è anche conosciuta come apaurusha, cioè la conoscenza che non ha origine dall’uomo. L’“oratore” dei suoni sacri è la divinità stessa, questo è confermato dal Bhagavata Purana (3.26.33). Gli yogi cantano di questo regno immortale quando permettono a loro stessi di essere usati come strumento del divino. Questa esperienza sommerge il cuore dei più sinceri partecipanti al kirtan. Il mantra è dapprima cantato dalla persona che guida il kirtan (mentre l’udienza ascolta), successivamente l’udienza risponde (mentre il leader ascolta). I suoni sacri sono così sviluppati in modo ciclico e dialettico.
Questo dialogo sacro tra colui che guida il kirtan e coloro che rispondono serve come modello di una comunicazione illuminata – le parti sono sintonizzate tra di loro, espressioni che si rispecchiano con l’intento di fare della divinità l’asse attorno al quale ruotano i suoni. In modo simile, nella recitazione individuale del japa è generato un ritmo ciclico simile a un mandala, con l’aiuto di un mala – una corona composta da molti grani – e durante la recitazione il senso del tatto aiuta la concentrazione sulla pronuncia e l’ascolto del mantra.
Lo sviluppo della nostra relazione con il suono sacro è molto illuminante. La nostra percezione della realtà risplende più luminosa quando coscientemente ci sforziamo di unirci alla sinfonia dei sacri suoni che sostengono ogni esistenza. Questo atto di unione è yoga. Il creare suoni che nutrono la nostra esistenza allinea la nostra aria vitale (prana) con la luce della pura coscienza. I suoni così pronunciati aspirano a diventare simili alle canzoni piene d’amore delle gopi. Scopriremo così il potere del suono raggiungendo la destinazione più meravigliosa, questo luogo divino che è già dentro di noi.
Krishna Kanta Dasi (Catherine Ghosh)
fonte: riflessioni.it
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