Sistema immunitario ‘in tilt’ per 5 mila italiani: in tanti, infatti, sulla base della prevalenza delle diverse patologie, si stima siano colpiti da immunodeficienza primitiva, un gruppo di malattie rare e croniche, che rendono più vulnerabili alle infezioni.
“Solo 2 mila sono censiti nella banca dati nazionale: questo significa che ci sono 3 mila pazienti con immunodeficienza che non lo sanno, non vengono curati in modo adeguato e arriveranno tardi alla diagnosi, con una situazione già compromessa per i danni agli organi come polmoni o intestino che insorgono nel tempo”, sottolinea Isabella Quinti, del Policlinico Umberto I di Roma. All’appello degli specialisti manca, dunque, un 70% di pazienti, “che deve essere recuperato e trattato”, sottolinea l’esperta, responsabile del Centro regionale per le Immunodeficienze primitive del policlinico capitolino, intervenuta a un incontro dedicato a queste malattie rare, promosso da Baxter ieri sera a Roma.
A mandare in tilt il sistema immunitario è la compromissione di alcune componenti, come la mancanza di immunoglobuline, che aumenta la suscettibilità alle infezioni.
Questo difetto può anche essere conseguenza di malnutrizione, tumori, trattamenti con farmaci ad azione immunosoppressiva o chemioterapici, o ancora infezioni a carico delle stesse cellule del sistema immunitario come l’Aids: sono le immunodeficienze secondarie.
Quando il difetto è la mancanza di immunoglobuline, “per curare il paziente – spiega Carlo Agostini, direttore della Scuola di specializzazione in allergologia e immunologia clinica dell’università di Padova – vanno sostituite con una terapia trasfusionale, che inizialmente si eseguiva per via endovenosa e negli ultimi anni anche sottocute.
In quest’ultimo caso il paziente può farlo a casa propria, continuando a recarsi in ospedale per i controlli dallo specialista, ma non più per le infusioni”.
Con effetti positivi per la qualità di vita dei malati, che ci guadagnano in autonomia, e anche per il Sistema sanitario.
Secondo uno studio pubblicato sul Giornale italiano di Health Technology Assessment (Hta), il trattamento sottocutaneo favorisce un risparmio per il Ssn, pari a circa 2.200 euro per paziente.
Questa modalità di somministrazione delle immunoglobuline si affianca sempre più a quella tradizionale.
Non solo.
La ricerca ha portato a una nuova tecnica che facilità l’infusione sottocute e aumenta l’emivita del farmaco, che così rimane in circolo ed efficace per 3-4 settimane, quasi il doppio della durata attuale: questo è reso possibile dal pretrattamento con ialuronidasi umana ricombinante, un enzima che, scindendo l’acido ialuronico presente nel sottocute, apre in maniera transitoria e reversibile alcuni spazi in cui le immunoglobuline possono essere infuse in maggiore quantità. L’Italia, però, sul fronte della diagnosi e della terapia delle immunodeficienze, non parla un linguaggio comune: “Ci sono Regioni in cui non è stata inserita ancora la possibilità di ricevere le immunoglobuline sottocute oppure non vengono date le pompe per le infusioni.
Non bisogna solo farne una questione di costi: un malato curato è un malato che vive bene”, sottolinea Francesca Ballali, dell’associazione di pazienti Pro-Idpi, auspicando una maggiore uniformità sul territorio nazionale.
Adnkronos Salute
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