La morte è un argomento di cui la maggior parte delle persone non ama ascoltare, parlare o persino pensare. Ma perché? Dopo tutto, piaccia o non piaccia, ciascuno di noi dovrà un giorno morire. E ancor prima di dover affrontare la propria morte noi dovremo, molto probabilmente, affrontare la morte di altre persone: i nostri familiari, amici, colleghi, e così via.
Non sarebbe meglio avvicinare la morte, che è una realtà, un fatto della vita, con apertura e accettazione, piuttosto che con paura e negazione? Forse il disagio che abbiamo verso la morte è perché pensiamo che sarà un’esperienza terribile, dolorosa e deprimente. Ma, non è detto che sia così.
Il morire può essere un tempo di apprendimento e di crescita, un tempo per rendere più profondo il nostro amore, la nostra consapevolezza di cosa è importante nella vita, la nostra fede e impegno verso le credenze e le pratiche spirituali. La morte può essere persino un’opportunità per comprendere la vera natura di noi stessi e di tutte le cose, una comprensione che ci permetterà di liberarci dalla sofferenza.
Intermezzo promozionale ... continua la lettura dopo il box:
Prendiamo l’esempio di Inta McKimm, direttrice del Centro di Brisbane in Australia.
Inta morì di cancro ai polmoni nel 1997. Due mesi prima di morire scrisse una lettera al suo insegnante spirituale, Lama Zopa Rinpoce:
“Sebbene io stia morendo, questo è il periodo più felice della mia vita!… Per molto tempo la vita mi è apparsa così dura, così difficile. Ma quando ci si rende realmente conto della morte, essa si trasforma nella più grande felicità.
Io non vorrei che nessuno evitasse la propria morte e la grande felicità che ne proviene quando sono riconosciute l’impermanenza e la morte.
Questo è veramente sorprendente e inaspettato, ed estremamente gioioso. È la più grande felicità della mia intera esistenza, la più grande avventura e la più grande festa!”
Intermezzo promozionale ... continua la lettura dopo il box:
Inta trascorse gli ultimi mesi della sua vita dedicandosi alla pratica spirituale.
Quando morì la sua mente era in pace ed era circondata da familiari e amici che pregavano per lei.
Ci sono molte storie simili di lama, monaci, monache e praticanti spirituali che sono stati in grado di affrontare la morte con serenità e dignità, e in qualche caso sono stati persino capaci di rimanere in uno stato di meditazione durante e dopo la loro morte.
Con un corretto esercizio e una giusta preparazione, noi tutti possiamo avere una morta tranquilla e positiva.
È importante esaminare i pensieri, le sensazioni e gli atteggiamenti che abbiamo riguardo alla morte e al morire, per vedere se sono realistici e salutari.
Come vi sentite quando leggete o ascoltate le notizie di un disastro, dove molta gente è stata uccisa improvvisamente e inaspettatamente?
Come vi sentite quando venite a sapere che uno dei vostri familiari o amici è morto o gli è stato diagnosticato un cancro?
Come vi sentite quando vedete un carro funebre o passate davanti a un cimitero?
Come pensate che sarà morire? Credete in qualcosa oltre la vita, in un aspetto positivo della morte?
Ci sono due atteggiamenti non salutari che qualche volta le persone hanno verso la morte. Uno è di essere spaventati pensando che sarà un’esperienza terribile, dolorosa o che significherà un totale annientamento. Questa paura porta alla negazione e al voler evitare di pensare e parlare della morte. Vi sembra una buona idea, considerando il fatto che un giorno la dovremo affrontare? Non sarebbe meglio accettare la realtà della morte e poi imparare a superare le nostre paure ed essere preparati quando succederà?
L’altro atteggiamento non salutare è quello noncurante e irriverente quando si è portati a dire: “Io non ho nessuna paura della morte. So che un giorno dovrò morire, ma tutto andrà bene, potrò gestirla”.
Avevo questo atteggiamento quando ero più giovane, ma un giorno mi trovai in mezzo a un terremoto e per alcuni momenti pensai veramente che sarei morta e allora scoprii che in realtà mi ero sbagliata, ero terrorizzata dalla morte e totalmente impreparata ad essa!
Nel Libro tibetano del vivere e del morire Sogyal Rimpoce cita un maestro tibetano che diceva: “La gente fa spesso l’errore di essere superficiale verso la morte e pensa: bene, la morte succede a tutti. Non è un grosso problema, è naturale. Andrà benissimo. Questa è una teoria piacevole fino a quando non si sta morendo”.
Se vi accorgete di avere uno di questi due atteggiamenti, allora sarebbe una buona idea indagare di più su cosa sia la morte.
Saperne di più sulla morte e sul morire ci aiuterà a diminuire la paura della morte (perché noi tendiamo ad avere paura di ciò che non conosciamo o non capiamo) e aiuterà coloro che hanno un atteggiamento irriverente a prendere la morte più seriamente e a rendersi conto dell’importanza di prepararsi a essa.
Questo opuscolo è solo una breve introduzione all’argomento della morte e del morire. L’elenco di letture raccomandate, inserito alla fine, vi permetterà di sapere dove trovare ulteriori informazioni.
Prima di tutto esaminiamo come viene vista la morte nella tradizione buddhista.
LE PROSPETTIVE BUDDHISTE SULLA MORTE
La morte è un aspetto naturale e inevitabile della vita
Talvolta si pensa alla morte come a una punizione per le cose negative che si sono compiute oppure come un fallimento e un errore, ma non è affatto così. È un aspetto naturale della vita.
Il sole sorge e tramonta, le stagioni vanno e vengono, i bei fiori appassiscono, le persone e gli altri esseri nascono, vivono per un certo periodo e poi muoiono. Una delle cose principali che il Buddha scoprì e ci indicò è la verità dell’impermanenza: le cose mutano e muoiono.
Vi sono due aspetti dell’impermanenza, uno evidente e l’altro sottile. L’impermanenza evidente si riferisce al fatto che tutto le cose create -che comprendono gli esseri umani e gli altri esseri viventi, tutti i fenomeni in natura e tutte le cose create dall’uomo non dureranno per sempre, ma usciranno dall’esistenza a un certo punto.
Come il Buddha stesso disse: Ciò che è nato morirà. Ciò che è stato raccolto verrà disperso. Ciò che è stato accumulato verrà esaurito. Ciò che è stato costruito crollerà e ciò che è stato in alto cadrà in basso.
E ancora:
La nostra esistenza è impermanente come le nubi autunnali. Osservare la nascita e la morte degli esseri è come guardare i movimenti di una danza. Una vita intera è come il lampeggiare di un fulmine nel cielo, come un torrente che precipita da una montagna ripida.
L’impermanenza sottile si riferisce ai cambiamenti che avvengono in ogni momento in tutte le cose animate e inanimate.
Il Buddha diceva che a ogni momento le cose non rimangono le stesse, ma cambiano costantemente.
Ciò trova conferma nella fisica moderna come fa notare Gary Zukav in The Dancing Wu Li Masters:
Ogni interazione subatomica comporta la distruzione delle particelle originarie e la creazione di nuove particelle subatomiche.
Il mondo subatomico è una danza continua di creazione e distruzione, di massa che si trasforma in energia e di energia che si trasforma in massa. Le forme effimere entrano ed escono dall’esistenza, creando una realtà infinita che viene sempre ricreata.
Il Buddha impartì l’insegnamento dell’inevitabilità della morte in una maniera molto abile a una sua discepola, Kisa Gotami.
Kisa Gotami era sposata e aveva un figlio che era molto caro al suo cuore. Quando aveva circa un anno il bambino si ammalò e morì.
Sopraffatta dal dolore e incapace di accettare la morte del figlio, Kisa Gotami lo prese fra le braccia e andò alla ricerca di qualcuno che potesse riportarlo in vita. Alla fine incontrò il Buddha e gli chiese di aiutarla.
Il Buddha accettò e le domandò di portargli alcuni semi di senape che avrebbe dovuto trovare in una casa in cui non fosse morto nessuno.
Kisa Gotami andò di casa in casa nel villaggio e sebbene tutti fossero disposti a darle dei semi di senape non riuscì a trovare una casa in cui non c’era stata la morte.
Pian piano si rese conto che la morte era capitata a tutti e quindi ritornò dal Buddha, seppellì il figlio e divenne una sua seguace.
Sotto la sua guida riuscì a ottenere il nirvana, la totale liberazione dal ciclo di nascita e morte.
Le persone hanno forse paura che pensare alla morte e accettarla li renderà morbosi o rovinerà il loro godimento dei piaceri della vita. Ma sorprendentemente è vero il contrario. Negare la morte causa tensione, accettarla porta pace.
Ci aiuta a diventare consapevoli di ciò è veramente importante nella vita, ad esempio, essere gentili e affettuosi verso gli altri, essere onesti e altruisti, in modo da mettere la nostra energia in queste cose ed evitare ciò che potrebbe crearci paura e rimpianto di fronte alla morte.
È molto importante accettare la morte ed esserne consapevoli.
Nel Sutra del Parinirvana il Buddha disse:
Di tutte le arature, quella autunnale è la suprema.
Di tutte le impronte, quella dell’elefante è la suprema.
Di tutte le percezioni, il ricordo della morte e dell’impermanenza è la suprema.
La consapevolezza e il ricordo della morte sono estremamente importanti nel buddhismo per due ragioni principali:
1) Comprendendo che la nostra vita è transitoria, sarà più probabile che trascorreremo il tempo in maniera saggia, compiendo azioni positive, benefiche e virtuose ed evitando azioni negative e non virtuose. Il risultato sarà che potremo morire senza rimpianti e nella nostra prossima vita rinasceremo in circostanze fortunate.
2) Ricordare la morte ci renderà consapevoli della grande necessità di prepararci alla morte. Ci sono vari metodi (ad esempio, la preghiera, la meditazione, lavorare con la nostra mente) che ci permetteranno di superare la paura, l’attaccamento e altre emozioni che potrebbero sorgere al momento della morte e disturbare, inquietare o addirittura rendere negativa la mente.
3) Prepararci alla morte ci permetterà di morire in maniera tranquilla, con uno stato della mente chiaro e positivo. I benefici della consapevolezza della morte possono essere corroborati dagli stati di esperienze di quasi morte. Queste si manifestano quando una persona sembra morire, ad esempio, su un tavolo operatorio o in un incidente d’auto, ma poi ritorna in vita e descrive l’esperienza avuta. Come sottolinea Sogyal Rimpoce nel Libro tibetano del vivere e del morire:
Forse una delle rivelazioni più sorprendenti è come essa [l’esperienza di quasi morte] trasforma la vita di coloro che l’hanno sperimentata.
I ricercatori hanno notato una sorprendente serie di effetti e cambiamenti successivi: una minore paura della morte e una sua accettazione più profonda; un maggiore interesse altruistico; una visione amplificata dell’importanza dell’amore, un minor interesse per i conseguimenti materialistici; una maggiore fede nella dimensione spirituale e nel significato spirituale della vita e, naturalmente, una più ampia apertura a credere nella vita oltre la morte.
La morte non è la fine di ogni cosa, ma un passaggio a un’altra vita
Ognuno di noi è costituito dal corpo e dalla mente. Il corpo è fatto dalle nostre parti fisiche pelle, ossa, organi, ecc.- e la mente è costituita dai nostri pensieri, percezioni, emozioni, ecc.
La mente è un flusso continuo e continuamente mutevole di esperienze: non ha né inizio né fine. Quando moriamo la mente si separa dal corpo e prende una nuova vita. Poter accettare e integrare questo concetto è molto utile per superare la paura della morte ed essere meno attaccati alle cose della vita.
Nella tradizione tibetana, ci viene suggerito di pensare alla nostra esistenza in questa vita come all’esperienza di un viaggiatore che rimane un paio di notti in un albergo. Anche se la camera e l’albergo sono di suo gradimento, egli non si abitua a quelle comodità perché pensa che non è il suo posto e sa che domani riprenderà il cammino.
Il tipo di vita in cui nasceremo e le esperienze che avremo sono determinate dal modo in cui viviamo.
Le azioni positive, benefiche ed etiche condurranno a una buona rinascita e ad esperienze felici mentre le azioni negative e dannose porteranno a una rinascita sfortunata e a esperienze dolorose.
Un altro fattore cruciale per determinare la nostra prossima rinascita è lo stato della mente al momento della morte.
Dovremmo cercare di morire con uno stato d’animo positivo e tranquillo per assicurarci una buona rinascita.
Morire con rabbia, attaccamento o altri atteggiamenti negativi può condurci a nascere in circostanze sfortunate nella nostra prossima vita.
Questa è un’altra ragione per cui è così importante prepararci alla morte, poiché per avere uno stato mentale positivo in quel momento, dobbiamo cominciare ora a imparare a mantenere la nostra mente libera da atteggiamenti negativi e a familiarizzarci il più possibile con atteggiamenti positivi.
È possibile diventare liberi da morte e rinascita
Morire e rinascere sono due sintomi dell’esistenza ciclica comune (samsara), la condizione di problemi continuamente ricorrenti, insoddisfazione e non-libertà in cui siamo tutti coinvolti.
La ragione per cui siamo in questa situazione è la presenza nella nostra mente di difetti mentali – soprattutto attaccamento, rabbia e ignoranza- e le tracce delle nostre azioni (karma) compiute sotto l’influenza dell’ignoranza.
Una volta Buddha era come noi, imprigionato nel samsara, ma trovò la via per liberarsi e raggiunse lo stato di perfetta e completa illuminazione.
Lo fece non solo per se stesso, ma a vantaggio degli altri esseri, perché si rese conto che tutti gli esseri hanno il potenziale per diventare illuminati: la cosiddetta natura di Buddha, che è la vera, pura natura della nostra mente.
Buddha ha una perfetta e pura compassione e amore per tutti noi, per tutti gli esseri viventi e ci ha insegnato che anche noi abbiamo la capacità di liberarci dalla sofferenza e di ottenere l’illuminazione. È di questo che parla il suo insegnamento, il Dharma.
Il Dharma ci mostra come liberare la nostra mente dai difetti mentali e dal karma – le cause di morte, rinascita e di tutti gli altri problemi del samsara – e quindi come liberarci dal samsara e raggiungere lo stato definitivo dell’illuminazione. Ricordare la morte è una delle più potenti fonti di energia di cui abbiamo bisogno per mettere in pratica gli insegnamenti del Buddha e quindi ottenere dei risultati di felicità
Vediamo ora alcuni modi in cui possiamo cominciare a prepararci alla morte.
COME PREPARARSI ALLA MORTE
I quatto compiti del vivere e del morire
Christine Longaker, una donna americana con oltre 20 anni di esperienza con i morenti, ha formulato quattro compiti che ci aiuteranno sia a prepararci alla morte sia a vivere la nostra vita in maniera piena e significativa.
I quattro compiti sono:
1) Capire e trasformare la sofferenza.
Sostanzialmente questo significa arrivare ad accettare problemi, difficoltà ed esperienze dolorose, che sono una parte inevitabile della vita, e imparare ad affrontarli.
Se noi impariamo ad affrontare le più piccole sofferenze che incontriamo nella nostra vita,riusciremo meglio ad affrontare le sofferenze più grandi che avremo innanzi quando moriremo. Possiamo chiederci: come reagisco quando sopraggiungono problemi fisici o mentali? Il mio modo di reagire è salutare e soddisfacente o potrebbe essere migliorato? Quali sono le maniere con le quali posso affrontare meglio i problemi?
Le pratiche proposte dalla tradizione tibetana includono la pazienza, il pensare al karma, la compassione e il Tong-Len (prendere e dare).
2) Entrare in connessione con gli altri, guarire le relazioni e lasciare andare.
Questo compito si riferisce alle nostre relazioni con gli altri, in particolare famiglia e amici. In questo caso, i punti principali sono: imparare a comunicare onestamente, con compassione e con disinteresse e a risolvere qualsiasi problema non risolto che possiamo avere con gli altri.
Pensa alle tue relazioni con la tua famiglia, gli amici, le persone con cui lavori e così via. Hai dei problemi non risolti con loro? Come puoi iniziare a lavorare per risolverli?
Consigli: la meditazione del perdono per risolvere i problemi.
4) Prepararsi spiritualmente alla morte.
5)
Christine scrive:
“Ogni tradizione religiosa sottolinea che per prepararci spiritualmente alla morte è molto importante iniziare ora una pratica spirituale giornaliera, una pratica così profondamente radicata da diventare parte della nostra carne e ossa, la nostra risposta riflessiva a ogni situazione della vita, comprese le nostre esperienze di sofferenza”.
Verifica: prova ad immaginare il momento della tua morte. Che pensieri e sentimenti verranno fuori dalla tua mente in quel momento? Ci sono idee o pratiche spirituali, che tu hai imparato o sperimentato, che ti potrebbero dare conforto e pace in quel momento?
4) Trovare significato nella vita.
Molti di noi passano la vita senza una chiara idea sullo scopo e il significato della propria esistenza. Questa mancanza di lucidità può diventare un problema quando diventiamo più anziani e più vicini alla morte, perché diventiamo meno capaci e più dipendenti dagli altri. Perciò è importante esplorare quesiti come: “Qual è lo scopo della mia vita? Perché sono qui? Cosa è importante e cosa non è importante?”.
Vivere in maniera etica
Le esperienze dolorose o spaventose, che accadono al momento della morte e in seguito, sono il risultato di azioni negative, o karma. Per impedire tali esperienze, dobbiamo astenerci da azioni negative e fare quante più possibili azioni positive.
Per esempio, noi possiamo fare del nostro meglio per evitare le dieci azioni non virtuose (uccidere, rubare, avere una cattiva condotta sessuale, dire parole dure, mentire, calunniare, spettegolare, avere bramosia, malevolenza, e punti di vista negativi)
e praticare le dieci virtù (astenersi consapevolmente dall’uccidere, e così via e fare azioni opposte alle dieci non virtuose).
È anche bene prendere voti o precetti e fare pratiche quotidiane di purificazione.
Un altro aspetto dell’etica buddhista è quello di lavorare sulla mente per ridurre le cause stesse delle azioni negative: difetti mentali, o emozioni disturbanti, come rabbia, bramosia, orgoglio, e così via.
E la consapevolezza della morte è uno dei più efficaci antidoti dei difetti mentali.
Un esempio per chiarire questo punto: “sono venuta a conoscenza della storia di una donna che aveva litigato col figlio poco prima che quest’ultimo uscisse di casa con suo padre per andare a pescare. Il figlio fu ucciso lungo il tragitto. Potete immaginare il dolore che la madre deve aver sofferto, non soltanto per la perdita del figlio, ma anche per le ultime parole colleriche che gli aveva detto”.
Non c’è modo di sapere quando la morte arriverà per noi o per gli altri. Ogni volta che ci separiamo da qualcuno, anche per poco tempo, non c’è certezza che lo incontreremo di nuovo. Rendendoci conto di questo, possiamo cercare di evitare l’attaccamento a sentimenti negativi e di risolvere i nostri conflitti con gli altri il più rapidamente possibile. Questo ci garantirà di non morire con quelle responsabilità nella nostra mente o di non vivere con rimorsi dolorosi se la persona con la quale abbiamo avuto un problema è morta prima di aver avuto la possibilità di scusarci e chiarire la questione.
Inoltre, siccome ci avviciniamo alla morte, è bene cominciare a dare via i nostri beni, o almeno fare testamento. Fosse anche spirituale per chi non ha che quello…..
Fare questo ci aiuterà a ridurre attaccamento e preoccupazione (Cosa accadrà alle mie cose? Chi prenderà che cosa?) al momento della morte.
Studiare gli insegnamenti spirituali
L’apprendimento di insegnamenti spirituali come quelli dati dal Buddha, ci aiuterà a superare i difetti mentali e il comportamento negativo e ci aiuterà a diventare più saggi e compassionevoli. Inoltre, quanto più conosceremo la realtà o verità -la natura della nostra vita, l’universo, il karma, la nostra capacità di sviluppo spirituale e come portarla avanti, tanto meno avremo paura della morte.
Coltivare una pratica spirituale
Mentre stiamo morendo potremo fare esperienza di disagi fisici e dolore.
Inoltre potremo fare anche esperienza di pensieri ed emozioni disturbanti, come rimorsi per il nostro passato, paure per il futuro, tristezza per doverci separare dai nostri cari e dai nostri beni, e rabbia per le disgrazie che ci stanno succedendo.
Come è stato detto prima, è importante mantenere la nostra mente libera da tali pensieri negativi e avere invece pensieri positivi al momento della morte.
Esempi di pensieri positivi possono comprendere:
– ricordare un oggetto della nostra fede come Buddha o Dio;
– accettare tranquillamente la nostra morte e i problemi a essa associati;
– non avere attaccamento per i nostri cari e per i nostri beni;
– sentirci positivi per il modo in cui abbiamo vissuto la nostra vita, ricordando le cose buone che abbiamo fatto;
– sentirci gentili, amorevoli e compassionevoli verso gli altri.
Allo scopo di essere capaci di invocare tali pensieri o atteggiamenti al momento della morte, abbiamo bisogno di familiarizzarci con essi.
La familiarità con gli stati positivi della mente dipende dal tempo e dallo sforzo che noi mettiamo nella pratica spirituale mentre siamo vivi. Il miglior momento per cominciare è adesso, dato che non possiamo sapere quando verrà la morte.
Alcune pratiche raccomandate dalla tradizione buddhista includono:
1) Prendere rifugio
Nel buddhismo prendere rifugio è un modo di sentire fiducia e di fare affidamento nei Tre gioielli:
il Buddha, il Dharma e il Sangha, accompagnato da un sincero sforzo di imparare a integrare gli insegnamenti buddhisti nella nostra vita.
Negli insegnamenti buddhisti si dice che prendere rifugio al momento della morte ci garantirà di ottenere una rinascita fortunata e di evitarne una sfortunata nella successiva esistenza. Aver fiducia nei propri insegnanti spirituali, o in uno specifico buddha o bodhisattva, come Amitabha o Guan Yin, ci darà lo stesso risultato e, al momento della morte, porterà grande conforto alla mente.
2) La pratica della terra pura
Una pratica popolare, specialmente nella tradizione mahayana, è quella di pregare per la rinascita in una terra pura, come la Terra Pura della Beatitudine (Sukhavati) del Buddha Amitabha.
Le terre pure sono rese manifeste dai Buddha per aiutare coloro che desiderano continuare la loro pratica spirituale nella vita successiva, liberi dalle distrazioni, controversie e interferenze del mondo ordinario.
Bokar Rimpoce menziona quattro requisiti essenziali che occorre coltivare allo scopo di prendere rinascita nella Terra Pura di Amitabha:
1) creare familiarità con le immagini della terra pura e meditarci sopra,
2) avere un desiderio sincero di nascere là e pregare regolarmente per una tale rinascita,
3) purificare le nostre azioni negative e accumulare azioni positive e dedicarle alla nascita nella terra pura,
4) avere la motivazione di bodhicitta, l’aspirazione a raggiungere l’illuminazione (uddhità) per essere in grado di aiutare tutti gli esseri, come la ragione per desiderare di nascere nella terra pura.
3) La pratica dell’attenzione consapevole
L’attenzione consapevole è una pratica meditativa che riguarda l’essere consapevoli di qualunque cosa stia accadendo nel corpo e nella mente, accompagnata da equanimità, libera da attaccamento a quello che è piacevole e avversione per quello che è spiacevole.
Una forte familiarità con questa pratica dà la capacità di affrontare dolore e sconforto, tenere la mente libera da emozioni disturbanti, e rimanere sereni mentre stiamo morendo.
Parecchi libri sull’attenzione consapevole e la meditazione sono menzionati nella lista di letture raccomandate.
4) La pratica della gentilezza amorevole
Questa pratica riguarda il coltivare sentimenti di cura, attenzione e gentilezza verso tutti gli altri esseri. Quando affrontiamo difficoltà o dolori, il nostro forte attaccamento all’ “Io” aumenta la nostra sofferenza, mentre l’essere meno preoccupati verso noi stessi e più preoccupati per gli altri diminuisce la nostra sofferenza.
Al momento della morte, pensare agli altri esseri viventi e augurare loro di essere felici e liberi dalla sofferenza porterà grande pace alla nostra mente.
Lama Zopa Rimpoce dice che questi sono i migliori pensieri e sentimenti che noi possiamo avere nella mente prima e durante la morte. Non soltanto ci aiutano ad avere una morte più serena, ma purificano anche le nostre negatività e accumulano potenzialità positive o meriti, che assicurano una buona rinascita nell’esistenza successiva.
Familiarizzarsi con gli stadi del processo di morte
Una delle ragioni per cui le persone tendono ad aver paura della morte è perché non conoscono cosa gli succederà.
Nella tradizione del buddhismo tibetano, c’è una chiara e dettagliata spiegazione del processo del morire, che coinvolge otto stadi. Gli otto stadi corrispondono alla graduale dissoluzione di vari elementi, come i quattro elementi: terra, acqua, fuoco ed aria. Quando si attraversano gli otto stadi, ci sono vari segni interni ed esterni.
I quattro elementi si dissolvono nei primi quattro stadi.
Nel primo stadio si dissolvono gli elementi della terra, i segni esterni riguardano il corpo che diventa più sottile e più debole, e come segno interno sorge la visione di un miraggio.
Il secondo stadio concerne la dissoluzione dell’elemento acqua; il segno esterno è che i liquidi del corpo esterno si asciugano e come segno interno sorge la visione di fumo.
L’elemento fuoco si dissolve nel terzo stadio; il segno esterno è il declinare del calore e del potere digestivo del corpo, e internamente, come segno interno si ha una visione di scintille.
Nel quarto stadio, dove l’elemento aria o vento si dissolve, il segno esterno è che il respiro cessa e come segno interno si ha la visione di una fiamma pronta a uscire.
Questo è il momento in cui una persona normalmente viene dichiarata clinicamente morta. Gli elementi fisici grossolani si sono tutti dissolti, il respiro si è fermato, e non c’è più alcun movimento nel cervello o nel sistema circolatorio.
Tuttavia, secondo il buddhismo, la morte non è ancora avvenuta perché la mente o coscienza è ancora presente nel corpo.
Ci sono diversi livelli della mente: grossolani, sottili e molto sottili.
La mente grossolana o coscienza include le nostre sei coscienze (visiva, uditiva, olfattiva, gustativa, tattile e la coscienza mentale) e le ottanta concezioni innate.
Le sei coscienze si dissolvono nei primi quattro stadi del processo di morte, le ottanta concezioni si dissolvono nel quinto stadio, e seguendole si fa esperienza di una visione bianca. Nel sesto stadio, la visione bianca si dissolve e appare una visione rossa. Nel settimo stadio, la visione rossa si dissolve e appare una visione nera. Le visioni bianca, rossa e nera costituiscono il livello sottile della coscienza.
Infine, nell’ottavo stadio, la visione nera si dissolve e la mente molto sottile di chiara luce si manifesta. Questo è il livello più sottile e puro della nostra mente, o coscienza. I meditatori esperti sono capaci di usare questa mente di chiara luce per meditare e guadagnare una realizzazione di assoluta verità, e persino raggiungere l’illuminazione. Questo perché tali meditatori non hanno paura della morte e l’aspettano persino con impazienza, come se stessero andando a una festa!
Questa è una breve spiegazione degli otto stadi.
Ulteriori spiegazioni dettagliate si possono trovare in altri libri, come IL LIBRO TIBETANO DEI MORTI.
Siccome noi siamo naturalmente più spaventati di quello che non conosciamo, familiarizzandoci con gli stadi del processo di morte, possiamo alleviare alcune delle nostre paure sulla morte.
Se siamo in grado di praticare le meditazioni che imitano il processo di morte e risvegliano la mente di chiara luce, che si trovano nella tradizione tibetana vajrayana, possiamo persino essere in grado di ottenere una realizzazione durante il processo della morte.
Ci sono soltanto poche pratiche spirituali raccomandate, che possiamo imparare ed esercitare durante il corso della nostra vita, che ci aiuteranno a essere più preparati alla morte.
Tuttavia, per persone con differenti caratteristiche e personalità vi sono molti altri metodi adatti alla loro mente. Quando giunge il momento di scegliere il metodo giusto per noi, possiamo usare la nostra intuizione e saggezza o consultare gli insegnanti spirituali nei quali riponiamo fiducia. Vediamo adesso cosa possiamo fare per aiutare chi sta morendo.
L’ASSISTENZA A CHI STA MORENDO
Negli insegnamenti buddhisti viene detto che aiutare un’altra persona a morire in uno stato sereno e positivo della mente è uno dei più grandi atti di gentilezza che possiamo offrire. Questo perché il momento della morte è tanto cruciale per determinare la futura rinascita. Tuttavia, l’assistenza a una persona morente non è un compito facile.
Quando le persone stanno morendo, fanno esperienza di numerose difficoltà e cambiamenti e ciò fa naturalmente aumentare la loro confusione e le emozioni dolorose. Le persone hanno bisogni fisici: il sollievo dal dolore e dal disagio, l’assistenza nel fare compiti essenziali come: bere, mangiare,
alleviare il proprio dolore, fare il bagno e così via.
Hanno bisogni emotivi: essere trattati con rispetto, gentilezza ed amore; parlare ed essere ascoltati o, certe volte, essere lasciati soli e in silenzio.
Hanno bisogni spirituali: per dare senso alla loro vita, alla loro sofferenza, alla loro morte; per avere speranza su cosa c’è dopo la morte, per sentire che saranno curati e guidati da qualcuno più saggio e più forte di loro.
Di conseguenza una delle abilità più importanti nell’assistere le persone morenti è cercare di capire i loro bisogni e fare del nostro meglio per prendersene cura.
Possiamo realizzare al meglio questo compito mettendo da parte i nostri bisogni e desideri ogni qualvolta facciamo loro visita, disponendo la nostra mente a stare semplicemente là per loro, pronti a fare qualunque cosa debba essere fatta, qualunque cosa li aiuterà a essere a proprio agio, felici e in pace.
Qui noi ci concentreremo sui bisogni spirituali e come provvedere ad essi.
Lavorare sulle nostre emozioni
Come detto in precedenza, quando le persone si avvicinano alla morte hanno talvolta l’esperienza di emozioni disturbanti come paura, rammarico, tristezza, attaccamento alle persone e alle cose di questa vita e persino rabbia.
Possono avere difficoltà ad affrontare queste emozioni e sentirsene sopraffatti come se vi affogassero dentro.
La cosa utile da fare durante questi periodi difficili è sedersi con loro, ascoltare con compassione e offrire parole confortanti per calmare la loro mente.
Ma per essere capaci di compiere questo compito efficacemente, dobbiamo sapere come affrontare le nostre emozioni.
Essere in presenza della morte, molto probabilmente, procurerà nella nostra mente le stesse emozioni disturbanti che procura nella mente delle persone che stanno morendo: paura, tristezza, attaccamento, senso di impotenza e così via.
Possiamo non aver avuto una precedente esperienza di alcune di queste emozioni e possiamo sentirci sorpresi e persino confusi nel trovarle nella nostra mente.
Pertanto abbiamo bisogno di sapere come affrontarle in noi stessi prima di poter realmente aiutare qualcun altro ad affrontarle. Uno dei migliori metodi per affrontare le emozioni è la meditazione consapevole.
Un altro è ricordarci dell’impermanenza: il fatto che noi, gli altri, i nostri corpi e menti e proprio ogni cosa nel mondo che ci circonda sta costantemente cambiando e non è mai la stessa da un istante all’altro.
La consapevolezza e l’accettazione dell’impermanenza sono i più potenti antidoti all’attaccamento, come pure alla paura, che è spesso un senso di resistenza al cambiamento.
Anche il coltivare una salda fede nei Tre Gioielli del rifugio (il Buddha, il Dharma e il Sangha) è estremamente utile per darci la forza e il coraggio di cui abbiamo bisogno per guardare ed affrontare le emozioni disturbanti.
Se la persona morente è un membro della famiglia o un amico, avremo la sfida aggiuntiva di dover affrontare l’attaccamento e le aspettative in relazione a lei/lui.
Sebbene sia difficile, la cosa migliore che possiamo fare è imparare a lasciar andare la persona.
Attaccarsi alla persona è irrealistico e causerebbe soltanto più sofferenza per entrambi. Di nuovo, dobbiamo ricordare che l’impermanenza è il più efficace rimedio all’attaccamento.
Donare speranza e trovare perdono
Sogyal Rimpoce, nel Libro tibetano del vivere e del morire, dice che due cose sono molto importanti nell’assistere una persona morente: donare speranza e trovare perdono.
Quando si sta morendo, molte persone sperimentano senso di colpa, rimorso, scoraggiamento o senso di disperazione.
Noi possiamo aiutare queste persone permettendo loro di esprimere i propri sentimenti e ascoltandoli con compassione e senza giudicare.
Ma anche incoraggiandoli a ricordare le cose buone che hanno fatto nella loro vita e a sentire positivamente il modo in cui hanno vissuto.
Li possiamo aiutare a concentrarsi sui loro successi e virtù, non sui loro punti deboli e peccati.
Se sono aperti all’idea, ricordiamo loro che la natura della mente è fondamentalmente pura e buona (nel buddhismo viene chiamata natura di Buddha) e che i loro sbagli ed errori sono temporanei e rimovibili, come la polvere da una finestra.
Alcune persone potrebbero essere preoccupate e pensare che le loro azioni cattive, essendo così numerose e grandi non potranno mai essere perdonate.
Se tali persone credono in Dio o nel Buddha, assicuriamoli e ricordiamo loro che l’incondizionato e puro amore compassionevole di Dio e Buddha perdona sempre, indipendentemente dagli errori compiuti. Se le persone non hanno tale fede, allora ciò di cui hanno bisogno è perdonare se stessi.
Noi possiamo aiutarli a fare questo, incoraggiandoli a esprimere un sincero dispiacere per i loro errori e chiedere perdono. Questo è tutto ciò che hanno bisogno di fare. Ricordiamo loro che qualsiasi azione abbiano fatto nel passato è ora terminata e non può essere cambiata, così è meglio lasciarla andare.
Tuttavia possiamo cambiare da questo momento in poi. Se la persona si dispiace sinceramente dei suoi errori e desidera trasformarli, non c’è ragione per cui non possa trovare il perdono. Se ci sono precise persone che il morente ha danneggiato e che sono ancora vive, incoraggiamolo a esprimere il suo dispiacere e a chiedere il perdono.
Sogyal Rimpoce scrive:
“Tutte le religioni sottolineano il potere del perdono, e questo potere non è mai tanto necessario, e tanto più profondamente sentito, come quando si sta morendo. Attraverso il perdonare e l’essere perdonati, noi purifichiamo noi stessi del male che abbiamo commesso e ci prepariamo con maggiore completezza al viaggio attraverso la morte”.
Come aiutare qualcuno che non è buddhista
Se la persona morente appartiene a un’altra religione fate uno sforzo per capire cosa conosce e in cosa crede, e parlatele di conseguenza.
Ad esempio, se crede in Dio e nel paradiso, incoraggiatela ad avere fede e pregare Dio, a sentirsi fiduciosa che sarà con Dio in paradiso, dopo che avrà lasciato questa vita. E abbiate un atteggiamento rispettoso verso la persona e le sue credenze e pratiche. Ricordate che la cosa più importante è aiutare la persona ad avere pensieri positivi nella mente, in accordo con le sue credenze e pratiche religiose.
Non tentate di imporre le vostre convinzioni o di convertirla. Farlo potrebbe essere irrispettoso e non etico e potrebbe causarle confusione e turbamento.
Se la persona non ha religione, usate una terminologia non religiosa al fine di aiutarla a liberarsi dai pensieri negativi quali rabbia e attaccamento e sviluppare pensieri positivi e uno stato mentale sereno.
Se mostra interesse a conoscere quello in cui credete, potete parlargliene, ma state attenti a non predicare.
Potrebbe essere più efficace avere una discussione nella quale condividete apertamente le idee con l’altro. Per esempio, se la persona vi chiede cosa succede dopo la morte, invece di lanciarvi immediatamente in una spiegazione sulla rinascita, potreste dire qualcosa come: “Io non sono veramente sicuro. Cosa ne pensi tu?”. E cominciare da lì.
Ricordate che la cosa più importante è aiutare la persona a rimanere il più possibile libera da pensieri negativi, ad avere uno stato mentale positivo e sereno.
Se la persona non è buddhista e non vuole essere confortata ascoltandovi o vedendovi fare una preghiera o pratica buddhista, allora potete fare queste pratiche in silenzio, senza farlo vedere.
Ad esempio, potreste sedervi accanto e meditare sulla gentilezza amorevole e mandare l’energia della gentilezza amorevole dal vostro cuore per colmarla di pace. Oppure potreste visualizzare il Buddha o Cenresig sopra la testa della persona e recitare in silenzio le preghiere o i mantra mentre visualizzate un raggio di luce che scorre dal Buddha alla persona, purificandola e aiutando la sua mente a divenire più pura e serena.
È molto probabile che la persona sentirà gli effetti di queste pratiche anche se non ha idea che sono state fatte a suo beneficio.
Il tempo della morte
Potete continuare a fare meditazione o recitare preghiere, mantra, i nomi dei Buddha e così via mentre la persona sta morendo, e per tutto il tempo possibile dopo che ha smesso di respirare.
Ricordate che la cessazione del respiro non è segno di morte secondo il buddhismo.
È soltanto il quarto degli otto stadi del processo di morte, e il punto reale di morte è dopo l’ottavo stadio, quando la coscienza lascia il corpo.
Quanto tempo occorre alla persona per giungere a quello stadio dopo che ha smesso di respirare? Non vi è certezza; dipende da vari fattori quali le cause di morte (per esempio, se la persona è stata gravemente ferita in un incidente automobilistico, la coscienza potrebbe lasciare il corpo più velocemente che non se si trattasse di una morte naturale) e lo stato mentale della persona (un
meditante esperto potrebbe essere capace di stare nell’ottavo stadio, lo stato di chiara luce, molto più a lungo di qualcun altro con poca o nessuna esperienza meditativa).
Come possiamo sapere se una persona è veramente morta? Secondo la tradizione tibetana, ci sono diversi segni indicanti che la coscienza ha lasciato il corpo: il calore al cuore che non viene più percepito, l’odore che comincia a sprigionarsi dal corpo e una piccola quantità di liquido che viene emessa sia dalle narici sia dall’organo sessuale.
E’ meglio lasciare il corpo indisturbato fino a quando questi segni non saranno presenti, il che potrebbe essere parecchie ore o persino parecchi giorni dopo che il respiro si è fermato.
SI DICE CIRCA TRE GIORNI NEI QUALI LA PERSONA NON DOVREBBE ESSERE TOCCATA…. A MAGGIOR RAGIONE NE’ CREMATA NE’ SEPOLTA
Fare questo è possibile se la persona è morta in casa, ma potrebbe essere difficile in ospedale, perché l’ospedale ha delle regole riguardanti il tempo in cui un corpo può essere tenuto in una stanza o all’obitorio.
Potete domandare al personale ospedaliero di spostare il corpo in un’altra stanza dove potrebbe essere lasciato per diverse ore, mentre si continuano a recitare preghiere e mantra. Poi portarlo a casa e non toccarlo per tre giorni
È meglio non toccare il corpo dal momento in cui il respiro si è fermato fino a quando la coscienza se ne è andata. Tuttavia, se è necessario toccare il corpo durante questo tempo, innanzitutto tirate i capelli sulla corona della testa (o toccate la corona se non ci sono capelli).
Questo stimolerà la mente della persona a uscire dalla corona, che è il punto propizio per una rinascita fortunata, come una terra pura.
Dopo potrete toccare altre parti del corpo. Nella tradizione buddhista si raccomanda di non piangere in presenza di qualcuno che sta morendo o ha smesso di respirare. È anche bene non parlare del patrimonio della persona e come potrebbe essere distribuito. Ascoltare tali suoni potrebbe disturbarne la mente. I membri della famiglia e gli amici possono andare in un’altra stanza a piangere o a discutere di questioni pratiche. In presenza della persona morta, è meglio che si odano solo i suoni delle preghiere, i mantra e gli insegnamenti spirituali.
Se non c’è “un ministro della sua fede” disponibile, allora fate soltanto qualsiasi preghiera o pratica che conoscete con tutta la fede, sincerità e compassione che potete generare nel vostro cuore.
L’assistenza dopo la morte
Dopo che la persona è deceduta, possiamo continuare a beneficiarla facendo azioni positive e virtuose, come dire preghiere (o dire ai monaci e alle monache di farlo), fare offerte, liberare animali che sarebbero destinati a essere macellati, fare meditazione etc., e dedicare i meriti di queste azioni affinché la persona abbia una buona rinascita, e si liberi dalle esistenze cicliche e raggiunga l’illuminazione.
È perfettamente corretto fare queste pratiche sia se la persona era buddhista o meno.
Va bene usare un po’ del denaro della persona per creare meriti, per esempio, facendo donazioni agli istituti di carità. Anche il merito accumulato dai membri della famiglia (parenti diretti della persona deceduta) è particolarmente potente e utile.
Facendo azioni virtuose e dedicando i meriti alla persona deceduta, si aiuta la persona nel bardo
(lo stadio intermedio tra la morte e la vita successiva, che potrebbe durare fino a 49 giorni).
Tuttavia, una volta che la persona ha preso la rinascita, il merito che noi le dedichiamo potrebbe aiutarla, per esempio accorciando la lunghezza di una rinascita sfavorevole.
CONCLUSIONE
Spero che le idee presentate in questo opuscolo vi aiuteranno ad accettare maggiormente la morte e ad averne meno paura, sia la vostra che quella altrui.
C’è una grande ricchezza di materiale che ci può aiutare e che proviene dalle antiche religioni e tradizioni spirituali, così come dalle scienze moderne come la psicologia, la sociologia e la medicina delle cure palliative, che possono guidarci a vivere la vita in maniera tale da rimanere tranquilli, calmi e coraggiosi di fronte alla morte. E quando qualcuno che amiamo attraverserà questa esperienza, noi potremo essere per loro una sorgente di conforto, serenità e speranza.
Possa questo piccolo testo ispirarvi ad apprendere di più su questo argomento. E possano tutti gli esseri eliminare dalle sofferenze della morte e raggiungere la più alta pace e felicità oltre il ciclo della nascita e della morte.
APPENDICE
Un Tong-len semplice (prendere e dare)
Meditare usando il proprio problema
Si può usare questo metodo ogni volta che c’è un problema-fisico, emotivo, di relazione o di lavoro. Sedetevi, calmate la mente e create una motivazione positiva per fare la pratica. Focalizzatevi poi sul vostro problema, fatelo sorgere nella mente, sentite quanto è doloroso, quanto la vostra mente vuole allontanarlo… Poi pensate: ”Non sono l’unica persona ad avere questo problema. Ce ne sono molte altre…” Pensate ad altre persone che possono vivere un problema uguale o simile, alcune anche con un’intensità maggiore (ad esempio, se avete perso una persona
cara, pensate a coloro che ne hanno perse molte in una guerra o in un’epidemia).
Poi generate compassione pensando: ”Come sarebbe bello se tutte queste persone fossero libere dalla sofferenza”. Decidete poi di accettare e fare vostro questo problema in modo che non debbano patirlo altri esseri. Lo potete fare col respiro: visualizzate di inspirare la sofferenza sotto forma di fumo nero. Esso giunge al vostro cuore dove è collocata la mente egoica nera e dura come un sasso. Il fumo scuro della sofferenza si assorbe nel sasso dell’egoicità e lo distrugge… Poi espirate la felicità, le qualità positive e il merito sotto forma di luce chiara dando a voi stessi e a tutte le altre persone tutte le qualità necessarie per affrontare il problema e per progredire lungo il sentiero dell’illuminazione. Concludete la meditazione sentendo la gioia di aver fatto questa pratica e dedicate il merito (l’energia positiva) affinché tutti gli esseri siano felici e liberi dalla sofferenza.
Meditazione sul perdono
Man mano che sviluppiamo la nostra pratica di meditazione diventiamo naturalmente più consapevoli di quello che succede nella nostra mente. Ci diventa più chiaro quello che sentiamo e perché. Cominciamo a scoprire i conflitti della nostra vita ed entriamo in contatto con le ferite di vecchie relazioni. Lentamente siamo in grado di definire le cose ancora in sospeso e di guarire le ferite.
La pratica della meditazione sul perdono è un mezzo meraviglioso di guarire il dolore di vecchie ferite che ci bloccano il cuore e ci impediscono di avere fiducia e di amare noi stessi e gli altri. Il perdono è la chiave per aprire i nostri cuori, per apprendere dalle lezioni dolorose del passato, per muoverci verso il futuro senza ostacoli. Cominciate sedendo in maniera tranquilla, con il corpo rilassato e la mente focalizzata sul respiro. Lasciate che ricordi, immagini ed emozioni fluiscano liberamente nella vostra mente: cose che avete fatto, detto e pensato per le quali non vi siete perdonati.
Dal profondo del cuore dite a voi stessi: ”Mi perdono per qualsiasi cosa ho fatto in passato, in maniera intenzionale o meno, con le azioni, le parole e i pensieri.
Ho sofferto abbastanza! Ho appreso e sono cresciuto e ora sono disponibile ad aprire il cuore a me stesso. Che io possa essere felice, libero da confusione, che possa conoscere la gioia della vera comprensione di me stesso,
degli altri e del mondo.
Che possa giungere a conoscere la mia completezza e integrità e aiutare gli altri a fare la stessa cosa”.
Immaginate ora, nello spazio di fronte a voi, una persona che amate e che volete perdonare o del cui perdono avete bisogno. Comunicate direttamente al suo cuore la seguente frase:
”Con tutto il mio cuore ti perdono per qualsiasi cosa tu abbia fatto che mi ha procurato dolore, in maniera intenzionale o meno, con le tue azioni, parole o pensieri. Ti perdono e ti chiedo di perdonarmi per qualsiasi cosa io ti abbia fatto, in maniera intenzionale o meno, con le mie azioni, parole o pensieri chiedo il tuo perdono. Che tu possa essere felice, libero e gioioso. Che si possa entrambi aprire i nostri cuori e le nostre menti a un incontro di amore e comprensione, procedendo nel nostro cammino di completezza”.
Immaginate che questo messaggio sia stato ricevuto e accettato, e confermate la guarigione che ha avuto luogo dentro di voi e fra voi due. Poi lasciate che l’immagine si sciolga nello spazio. Poi pensate alle innumerevoli persone verso le quali avete chiuso il vostro cuore. Ricordate come vi siete sentiti e cosa avete fatto quando la gente vi ha fatto del male, vi ha parlato duramente, ha preso il “vostro” parcheggio… Pensate a quante persone avete ferito in qualche modo, con le vostre
azioni, parole o pensieri consapevoli o inconsapevoli.
Quante volte siete stati voi a fare del male, a imporvi, a parlare duramente? Immaginate questi innumerevoli esseri che stanno davanti a voi. Verso tutti loro esprimete queste parole: ”Vi perdono e vi chiedo di perdonarmi per qualsiasi cosa io abbia fatto, in maniera consapevole o inconsapevole e che vi ha ferito. Che io e voi tutti si possa creare le basi della felicità nelle nostre vite. Che si possa conoscere la gioia di conoscere e sperimentare veramente la nostra interrelazione. Che si possa aprire i nostri cuori e le nostre menti uno all’altro e incontrarci in armonia”.
Ripetete questa meditazione riflessiva quante volte volete. Alla fine immaginate e sentite nella maniera più vivida e incondizionata possibile che avete veramente lasciato andare tutta la colpa e il biasimo verso voi stessi. In questo preciso momento permettetevi di sentire il perdono e un’ accettazione paziente di tutte le vostre azioni passate.
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.