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Shirdi, L'avatar Che Mi Ha Rapito Il Cuore
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SHIRDI, L’AVATAR CHE MI HA RAPITO IL CUORE

IL SANTO DI SHIRDI

Un giorno del 1850 arrivò a Shirdi, una piccola località piena di alberi e di giardini fioriti dello Stato di Maharashtra, India, a 100 miglia a nord-ovest di Bombay, un ragazzo di circa sedici anni, dai grandi occhi luminosi sbarrati sul mondo. Fu subito considerato un giovane fachiro, un “pazzo dì Dio”, di cui la comunità di Shirdi doveva prendersi cura.

Veniva da nessuna parte. Non aveva genitori, non conosceva il luogo dove era nato, non aveva un nome. Gli abitanti di Shirdi lo chiamarono Sai e presto tutti si innamorarono di questo giovane saggio che faceva miracoli e a cui obbedivano le forze della natura. Faceva cessare all’istante i nubifragi, spegneva il fuoco a distanza, faceva fiorire gli alberi solo guardandoli.

Viveva nudo sotto un albero neem e spesso era come un bambino che avesse bisogno di tutto e di cui la gente, con le lacrime agli occhi, aveva cura, fino a lavarlo e nutrirlo.

Ma presto, durante le ore del mattino, cominciò a ritirarsi in un giardino. E qui si trasformava, diventava come un essere invasato. Fiamme s’accendevano attorno a lui e improvvisi forti colpi di vento lo gettavano a terra. Urlava parole di cui nessuno conosceva il significato. Poi usciva dal giardino, calmo e sorridente, si sedeva sotto il suo albero e con aria pensosa cominciava a parlare. Anche gli animali si fermavano ad ascoltarlo. Le sue parole erano un balsamo per l’anima di tutti, perché sembravano parole pronunciate per portare un messaggio individuale a ciascuno. Fu così che la gente cominciò a chiamarlo il “Santo di Shirdi“ e a venire a lui da lontano per chiedere silenziosamente il suo aiuto.

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Gli indù lo credettero un avatara di qualche loro divinità, i Musulmani lo credettero un pir inviato da Allah per liberare l’umanità dalle ansie e dall’ignoranza. Per alcuni era l’avatara di Dattatreya, l’avatara di Visnù. 

Il saggio del periodo post-vedico, e per altri la reincarnazione di Akalkole Maharaj. Molti gli chiedevano di che religione egli fosse, ma Sai non rispondeva. Li guardava stupito con i suoi grandi occhi, come se non capisse la domanda.

Così fra i suoi fedeli cominciò la battaglia. Gli Indù dicevano che era Indù, i Musulmani che era Musulmano. Nei suoi discorsi citava pagine dei libri sacri degli Indù, dei Musulmani, dei Giainiti e anche dei Cristiani. Sai parlava di Dio, padre di tutti gli uomini e creatore di tutte le cose. Inoltre egli partecipava, con gioia infantile, alle cerimonie e alle feste di tutte le religioni. Cantava con gli uccelli, giocava con i bambini e gli animali.

I primi anni passarono veloci nell’oasi verde di Shirdi e quasi nessuno si accorgeva che Sai stava diventando adulto. Il continuo flusso di gente stava trasformando Shirdi in un luogo santo. La folla attorno a lui cresceva e attorno all’albero neem si dovettero abbattere delle case per allargare la piazza che ospitava i fedeli del Santo di Shirdi.

Un giorno, davanti ad una folla imponente, finalmente parlò di se stesso: “Io non ho una residenza. Sono assolutamente senza attributi. Per azione del Karma ho avuto questo corpo. Il mio nome è un dehi che ha preso corpo. Il mondo è la mia patria. Brahaman è mio padre e maya, l’illusione è mia madre. Dal loro incontro io sono nato. Coloro che credono che io vivo a Shirdi non conoscono il vero Sai, poiché io non ho forma e sono ovunque”.

Dopo questo discorso sparì con grande sgomento della gente di Shirdi e dei suoi fedeli. Dopo quattro anni apparve nello Stato di Nizana, vicino ad Aurangabad, da dove ritornò, verso il 1858, a Shirdi e da qui più non si mosse.

Da quel giorno fu chiamato il Padre Sai. Sotto l’albero neem riprese a parlare: “Ho il compito di riportare un numero sempre più grande di gente sul subhra marga, sul sentiero sacro che porta l’individuo a scoprire la Realtà Spirituale, la vera realtà”.

SHIRDI entrava in dyanastha, una trance d’amore con Dio, e la gente attorno era presa da una tale commozione che da quel momento non era più la stessa.

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Diceva che ogni individuo aveva sette sosia sulla Terra. Un Indù o un Musulmano dell’India, se sviluppavano la loro anima, influivano sui loro sette sosia che venivano così inconsciamente attratti dallo Spirito, dall‘amore divino. Chi migliora se stesso, migliora altri sette individui, che diventano centri di buona volontà e di spiritualità.

Certi giorni portava i suoi seguaci sulle rive del vicino fiume Godavari, e l’acqua del fiume usciva dall’argine e veniva a bagnare i suoi piedi. Egli guardava allora la gente attorno a lui e, senza parole, faceva captare loro l’enorme bontà della Natura-Madre. Con i suoi frequenti lila, i giochi con cui usava le forze e le energie in perpetuo movimento per creare l’illusione terrena, egli faceva intuire ai suoi seguaci la potenza di tutto ciò che è eterno, cioè che emana da Brahman, il Tutto, l’Assoluto (l’antimateria da cui deriva la nostra illusoria materia).

A SHIRDI ogni miracolo era possibile, perché viveva nella Realta dell’Essere Supremo. Sai aveva l’abitudine di andare a farsi riempire di olio una lampada che teneva sempre accesa vicio a sé.

Un giorno il bottegaio non gli volle regalare l’olio. Allora Shirdi riempì la lampada d‘acqua, l’accese e una fiamma più brillante scaturì da quell’acqua e restò accesa tutto il giorno e tutta la notte. Per i suoi seguaci era un miracolo. Ma lui disse che era soltanto un altro aspetto dell’illusione, un atto d’amore verso il bottegaio.

Questi non gli aveva dato l’olio perché era irato contro se stesso e con il mondo. Con questo lila Sai tanto stupì il bottegaio che dimenticò le sue negatività e fu toccato dall’amore del santo.

Shirdi possedeva l’anterjnana, l’onniscienza.

Sapeva tutto di tutto e spesso diceva: “In qualunque luogo siate, qualsiasi cosa facciate, ricordatevi che io so sempre ciò che voi fate o dite”.

Insegnava a vedere Dio in ogni cosa. Va. Diceva: “Non dimenticate mai che l’odio e il rancore sono illusioni negative, non dimenticate mai che io, voi e tutte le cose del mondo sono tutte parti di Dio”.

Senza aver frequentato una scuola, senza l’aiuto di un guru, Sai  conosceva tutto.

Era la “Conoscenza incarnata”, ma egli continuava a ripetere che non era venuto per insegnare ma per svegliare le anime alla Realtà Spirituale.

Diceva: “Sono un completo schiavo dei miei devoti. Amo la devozione. Colui che lascia il mondo per amarmi è il mio vero amante e si fonde in Me come un fiume nel mare.

lo non sono il corpo e i sensi. Sono l’eterna Sakshi, l’eterna testimonianza”.

Molta gente veniva a lui solo per i suoi miracoli, non per dividere i tesori del suo spirito.

Qualche volta, con un triste sorriso, diceva:

“Nessuno si cura di ascoltare le mie parole, di raccogliere la saggezza che io posso dare loro.

Dopo quindici giorni che avrò lasciato questo mondo, tanti mi avranno già dimenticato”.

Il 15 ottobre 1918 fu un triste giorno per gli abitanti di Shirdi.

Quel martedì, alle ore 14.30, Shirdi Sai Baba cessò di respirare ed entrò in maha samadhi in quello stato di grande concentrazione in Dio, che mantiene il corpo fisico in stato di perfetta conservazione.

Dopo 65 anni l’ashram di Shirdi è ancora meta di pellegrinaggi. Vicino alla sua tomba si prova ancora quel senso di beatitudine che per tanti anni ha attirato gente a Shirdi.

QUESTO E’ UN AVATAR CHE MI HA “RAPITO IL CUORE” ED IO LO AMO MOLTO

GRAZIE SHIRDI

JOTI KAUR

di  www.spaziosacro.it

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