NUOVE CURA PER LA LEUCEMIA, NIENTE CHEMIO INIZIALE PER LE LEUCEMIE LINFOBLASTICHE
Roma – La leucemia linfoblastica ‘Philadelphia positiva’ e’ stata considerata, prima dell’avvento dei farmaci basati sugli inibitori delle tirosin chinasi, tra le leucemie a prognosi peggiore.
Ora e’ in fase di sperimentazione una nuova terapia che permetterebbe “una sopravvivenza globale del 95% a 18 mesi”, un successo che migliora significativamente i risultati delle cure ad oggi applicate.
Il nuovo trattamento non utilizza la chemioterapia nelle fasi iniziali della terapia, ma la combinazione di un inibitore delle tirosin chinasi (dasatinib) e di un anticorpo (blinatumomab).
A dimostrarne questa efficacia preliminare e’ uno studio pubblicato sulla rivista scientifica New England Journal Medicine, che vede tra i suoi autori Nicola Fracchiolla, responsabile del Programma Leucemie acute dell’Unita’ di Ematologia del Policlinico di Milano. L’Ematologia del Policlinico, diretta da Luca Baldini, partecipa al team di ricerca Gimema (Gruppo Italiano Malattie EMatologiche dell’Adulto), che ha coordinato lo studio.
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Questa pubblicazione- spiega Nicola Fracchiolla- e’ una straordinaria esperienza corale e un importante riconoscimento dell’impegno della nostra Unita’ nella diagnosi e cura delle leucemie acute. Lo studio, di fase 2, descrive un nuovo regime terapeutico che non utilizza chemioterapia nelle fasi iniziali della cura della leucemia linfoblastica Philadelphia positiva, ma combina una terapia target molecolare che bersaglia meccanismi specifici del tumore, il dasatinib, un inibitore delle tirosin chinasi, con una immunoterapia pura basata su un anticorpo ‘bi-specifico’, il blinatumomab. Secondo i dati pubblicati, questa combinazione ha permesso di ottenere una sopravvivenza globale del 95% e una sopravvivenza libera da malattia dell’ 88% a 18 mesi dalla diagnosi”.
I risultati dello studio, secondo gli autori, sono stati ottenuti con “sorprendentemente pochi effetti tossici dovuti alla terapia e con brevissimi periodi di ricovero”. I dati dovranno ora essere ampliati e confermati da nuove sperimentazioni, ma per gli esperti potrebbe partire proprio da qui una possibile nuova era nel trattamento delle leucemie linfoblastiche
Philadelphia positive.
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